Kim de l’Horizon, 2022 (Thomas Lohnes, Getty Images)

Il bambino in questione è timido. Si sente più vicino alla natura che alle persone. Parla con le castagne, i lamponi, gli alberi. Si sottrae alle voci che lo chiamano, alle mani ruvide, si rende invisibile. “Il bambino lo sa: non deve diventare un uomo”. L’amore di sua madre è enorme, divorante, ma finisce dove comincia la virilità. Così il bambino corre nel pollaio e prova a fare incantesimi per trovare il sesso che un giorno gli andrà bene. La storia del bambino raccontata in questo romanzo d’esordio fa parte di un’inquieta ricerca del vero significato che si nasconde dietro la superficie delle cose; una ricerca che comincia con la malattia della nonna, la sua demenza, e che poi sfocia nella ricerca del proprio corpo, di ciò che dà forma al proprio sesso. Un libro costruito come una matrioska: di volta in volta uno strato narrativo cade, è osservato da tutti i lati e rivela il successivo, e per ognuno Kim de l’Horizon trova il tono adatto. Descrivere un libro del genere è difficile. Proprio come il bambino, il libro rifiuta le categorie. Un romanzo familiare? Un romanzo di formazione? Un romanzo sulla queerness? Kim de l’Horizon riesce a far percepire il disagio di quando il nostro corpo ci rimane estraneo. La ricerca conduce alle biografie segrete di due donne della famiglia, una morta giovane e un’altra rimasta incinta e poi finita in prigione. Dai segreti familiari Kim de l’Horizon spera di trarre spunti di riflessione su se stessa. Solo molto più tardi, la sofferenza femminile è rivelata dall’ampio albero genealogico delle donne della famiglia compilato dalla madre. Donne capaci e disadattate, donne uccise per la loro bellezza o perché si diceva che diffondessero la peste. In modo sottile e poetico, la storia parla dell’esperienza che si tramanda tra genitori, nonne e bisnonne, e di come le persone siano radicate l’una nell’altra. La lettura richiede dedizione, ma la si concede volentieri a questa voce narrante ostinata e ai suoi voltafaccia linguistici, alla sua capacità di tenere insieme immagini e pensieri per centinaia di pagine, di trasformare con sensibilità il materiale di ricerca e di manomettere maliziosamente il canone e le convenzioni senza mai perdere di vista la tradizione.
Elena Witzeck, Frankfurter Allgemeine Zeitung

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Questo articolo è uscito sul numero 1535 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati