L’Argentina ha davanti a sé quattro anni di governo di estrema destra sotto la presidenza di Javier Milei. Il Buenos Aires Herald crede che la sua vittoria sia una minaccia per la coesistenza democratica, ma la popolazione ha espresso la sua volontà nelle urne e il processo democratico va rispettato. Il paese deve affrontare una serie di sfide, a cominciare da una crisi economica prolungata che ha trascinato nella povertà più del 40 per cento dei cittadini. Il risultato del 19 novembre è il grido d’allarme di un popolo che non vede un futuro prospero ed è stato impoverito dagli errori commessi dai governi precedenti. Tuttavia le misure d’austerità annunciate da Milei rischiano di colpire proprio i più fragili.

Ora Milei dovrà costruirsi una legittimità agli occhi di chi non l’ha scelto. Sarà il presidente di 46 milioni di argentini, non solo dei 14,5 milioni che l’hanno votato. Il suo governo dovrà fronteggiare un’opposizione a cui dovrà avvicinarsi con il dialogo, non con la repressione. Vincere il ballottaggio non significa avere carta bianca per calpestare la democrazia. La presenza della negazionista dei crimini della dittatura Victoria Villarruel ai vertici del governo non deve compromettere il processo della memoria, della verità e della giustizia. Il piano di sterminio sistematico messo in atto dal regime militare dal 1976 al 1983 è stato terrorismo di stato e un crimine contro l’umanità.

Basandoci sui commenti rilasciati dai leader di La libertad avanza, il partito di Milei, temiamo che il governo possa calpestare i diritti delle donne, della comunità lgbt, delle persone con disabilità e di altre minoranze. Il nuovo esecutivo dovrà garantire la sicurezza e il benessere di queste persone, ascoltandone la voce.

Non bisogna cancellare la democrazia che abbiamo costruito negli ultimi quarant’anni. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati