Durante la settimana il traffico è particolarmente congestionato su Zakariya Maimalari street e Muhammadu Buhari way, nel quartiere degli affari di Abuja, la capitale della Nigeria. È dovuto al flusso di giovani uomini e donne che parcheggiano sui marciapiedi prima di entrare nei centri dove si fa la richiesta di un visto. Da tempo il parcheggio per i visitatori della Vfs global non è più sufficiente ad accogliere tutte quelle auto.

Lo stesso vale per quello della concorrente TlsContact, che occupa il terzo piano del gigantesco palazzo di uffici Mukhtar El-Yakub place. Tra le centinaia di persone che aspirano a partire ci sono operatori sanitari qualificati, informatici, contabili e altri professionisti. Quello che vogliono si chiama japa, un termine yoruba che si può tradurre con “scappare”, “fuggire via”. I motivi sono vari: l’alto tasso di disoccupazione, che tra le persone in età da lavoro raggiunge il 41 per cento; la povertà estrema, che colpisce 133 milioni di persone su una popolazione complessiva di 200 milioni; la corruzione e il malgoverno di un’élite straricca. Pochi sperano in un cambiamento, che di certo non si concretizzerà nell’immediato futuro. Nel febbraio 2023 le elezioni le ha vinte ancora una volta una figura autoritaria, Bola Tinubu, 71 anni, che come prima cosa è volato in Francia per delle cure. Negli ultimi anni le proteste per la giustizia sociale e i diritti umani in Nigeria sono state represse con la violenza.

Secondo Ejike Oji, medico, ex consigliere del governo e attivista per il diritto alla salute in Nigeria, a far scappare le persone è “la frustrazione dell’eccellenza” in un sistema basato sul clientelismo invece che sulla competenza. “Gli incarichi non sono affidati in base al merito. Persone qualificate sono scavalcate dai figli dei politici e delle élite. Le persone discriminate devono trovare altri modi per sopravvivere, e questo comprende la partenza verso l’Europa o il Nordame­rica”.

Harare, Zimbabwe

Tra le migliaia di giovani in fila per i passaporti al palazzo Makombe, la sede dell’anagrafe nazionale dello Zimbabwe, ai margini del centro di Harare, molti si allontanano quando capiscono di aver a che fare con dei giornalisti.

“Non voglio finire nei guai. Mi negheranno il passaporto se mi fotografate”, dice una donna di una ventina d’anni, coprendosi il volto. Da quando il 23 dicembre 2022 è entrata in vigore la legge chiamata Patriotic bill “danneggiare volontariamente la sovranità e l’interesse nazionale dello Zimbabwe” è un reato. Questo comprende anche criticare il governo.

Chi racconta la propria situazione personale lo fa a patto di mantenere l’anonimato, ma le storie si somigliano: tutti vogliono ottenere un passaporto e lasciare lo Zimbabwe al più presto.

Le interviste davanti al palazzo Makombe sono state condotte prima delle elezioni del 23 agosto 2023. Per quella data molte delle persone in fila erano probabilmente già partite e avevano votato per così dire “con i piedi”, l’unico modo che i cittadini hanno per esprimersi. Nonostante le pressioni, i leader dello Zimbabwe non concedono il diritto di voto agli emigrati, che sono fra i tre e i cinque milioni.

Le ragioni economiche per lasciare il paese sono, ancora più che in Nigeria, aggravate dalla repressione di ogni forma di opposizione, dissenso o attivismo. Il presidente del sindacato degli insegnanti rurali, Obert Masaraure, e i suoi colleghi raccontano di aver cercato per anni di migliorare la situazione: “Abbiamo scritto lettere aperte, abbiamo manifestato, abbiamo cercato di ottenere l’attenzione del governo, che però l’anno scorso all’improvviso ci ha accusato di omicidio”.

La stessa accusa è stata rivolta al segretario generale del sindacato degli insegnanti rurali Robson Chere per la morte di Roy Issa, un uomo che nel 2016 è precipitato dal balcone di un albergo ad Harare. Le accuse contro Masaraure e Chere lasciano perplessi, perché nessuno dei due era stato formalmente sospettato durante le indagini della polizia e l’inchiesta era già arrivata alla conclusione che si trattasse di “morte accidentale”. Secondo l’ong Amnesty international si tratta di un chiaro esempio di persecuzione politica.

Negli ultimi anni decine di attivisti per i diritti umani e militanti dell’opposizione zimbabweana sono stati arrestati e messi in carcere, in attesa di un processo, con accuse considerate pretestuose. Cercando su Google “accuse false” in Zimbabwe si ottengono migliaia di rimandi a notizie dal 2017, l’anno in cui Emmerson Mnangagwa, all’epoca vicepresidente, salì al potere con un colpo di stato cacciando il suo vecchio capo, Robert Mugabe.

Da un sondaggio interno al sindacato di Masaraure è emerso che il 95 per cento degli iscritti sta cercando lavoro fuori dello Zimbabwe. Per questo, dice il sindacalista, comprende perfettamente gli insegnanti che si uniscono alla fuga di cervelli, poiché nel suo paese “non si riesce a trovare di che vivere, e chi alza la voce viene punito. Non si può avere una vita dignitosa”. Parlando di un messaggio ricevuto da un collega che ha ottenuto un lavoro negli Emirati Arabi Uniti, commenta che “è fortunato a essere fuori dallo Zimbabwe”.

Nel cortile inondato dal sole di un ristorante di Harare, alcuni dipendenti pubblici si ritrovano per il pranzo, che costa un dollaro statunitense. È un prezzo alto per lavoratori, come gli insegnanti, che guadagnano circa 300 dollari (280 euro) al mese, ma è comunque una delle opzioni meno care. Un uomo di mezz’età in cravatta chiacchiera volentieri del costo della vita. È un dipendente pubblico, e ammette che la situazione “è dolorosa” anche per lui. Al contrario di quanto si legge nei rapporti governativi, che proclamano invariabilmente un miglioramento dell’economia, il funzionario ammette che “sono tutti nei guai” e che perfino a lui e ai suoi colleghi capita regolarmente di “non poter comprare da mangiare, pagare l’affitto o il biglietto dell’autobus”.

Kampala, Uganda

La Makerere university di Kampala un tempo era un vivace terreno di dibattito per aspiranti intellettuali, come lo scrittore keniano Ngũgĩ wa Thiong’o, il poeta malawiano David Rubadiri e il padre fondatore della Tanzania, Julius Nyerere. Ma oggi sembra deserta. Nell’ultimo decennio si è intensificata l’oppressione del regime ugandese, guidato dal settantenne leader autoritario Yoweri Museweni. Accademici che criticavano il potere come la ricercatrice Stella Nyanzi hanno lasciato l’Uganda o sono stati ridotti al silenzio. I docenti che lavorano ancora alla Makerere hanno accettato di rispondere alle domande a patto di poter restare anonimi. Dicono di aver paura di diventare le vittime dei funzionari nominati dal governo come il vicerettore Barnabas Nawangwe o il nuovo presidente della commissione che conferisce gli incarichi, Edwin Karugire, genero di Museveni. “Oggi i professori universitari non sono liberi di esprimersi. Ci troviamo in una situazione pericolosa, da ogni punto di vista”, dice uno di loro.

Yusuf Serunkuma, ex studente della Makerere, vive ad Halle, in Germania, dove insegna studi africani alla Martin Luther university. Conferma di aver notato una “paura diffusa” tra gli ex colleghi e trova “sbalorditiva la rapidità con cui Nawangwe firma lettere per espellere professori e studenti dissenzienti”.

Negli Stati Uniti Moses Khisa, docente associato della North Carolina state university, è convinto che non sia un fatto casuale: “Una volta conquistata l’intellighenzia, puoi comandare come ti pare”.

Nel frattempo il telefono di Danson Kahyana, docente di letteratura della Makerere university, squilla a vuoto. Il suo ultimo articolo, pubblicato nell’aprile 2022 sul settimanale ugandese The Observer, raccontava di un’aggressione subita dopo aver scritto alcuni pezzi che criticavano il governo. Kahyana ha scritto di essere stato inseguito e fermato da uomini in motocicletta che l’hanno aggredito rompendogli i denti. Da allora la sua vita è cambiata. “Vedi un potenziale aggressore su ogni boda boda (mototaxi) che passa”, ha scritto. “Ma peggio del trauma c’è l’autocensura: muori dentro, come scrittore e come intellettuale”.

Sempre a Kampala, molti giovani medici che hanno cercato di convincere il governo a migliorare il settore sanitario stanno gettando la spugna dopo che la polizia e l’esercito hanno represso le loro proteste. Nell’ultimo anno almeno dieci manifestazioni per chiedere migliori condizioni di lavoro negli ospedali, oltre al pagamento degli stipendi arretrati, sono state accolte con pestaggi, gas lacrimogeni e arresti di massa.

Su Twitter è stata diffusa la campagna Uganda health exhibition, in cui hanno circolato foto di medici che operavano i pazienti sul pavimento e di ambulatori senza il tetto.

Da sapere
Disposti a tutto

◆Il sito ghaneano New Crusading Guide è uno dei quattordici mezzi d’informazione africani ed europei che hanno pubblicato l’inchiesta “The making of migration”, coordinata da Evelyn Groenink del sito olandese Zam Magazine. Cinque giornalisti africani – Elizabeth BanyiTabi (Camerun), Theophilus Abbah (Nigeria), Emmanuel Mutaizibwa (Uganda), Ngina Kirori (Kenya) e Brezh Malaba (Zimbabwe) – hanno cercato di capire perché tanti loro connazionali siano disposti ad affrontare violenze, ricatti e perfino la morte pur di lasciare i loro paesi, ignorando le campagne di persuasione lanciate dai paesi occidentali per convincerli a restare “a casa loro”.


La specializzanda in medicina Judith Nalukwago, che ha partecipato alle proteste, dice di voler restare in Uganda perché sogna di aprire un ospedale e un fondo di beneficenza per aiutare gli ugandesi. Ma ammette che molti colleghi si preparano ad andarsene “appena ottenuta l’abilitazione”.

Il dottor Ekwaro Obuku, ex presidente dell’Uganda medical association, stima che negli ultimi anni 2.500 medici, su circa ottomila registrati nel paese, sono andati a lavorare all’estero.

Probabilmente quello che disturba di più i professionisti ugandesi è che il settore pubblico è disperatamente povero mentre l’élite di governo vive nel lusso. Si è scoperto che nel 2023 il presidente Museveni ha ricevuto 350 milioni di scellini ugandesi (85mila euro) per i suoi acquisti personali di lenzuola, vestiti e calzature.

“I politici importanti ricevono i servizi sanitari migliori. Il resto della popolazione vive in condizioni di estrema povertà”, si legge in un tweet della campagna Uganda health exhibition.

I governi di Nigeria, Kenya e Zimbabwe hanno formalmente espresso preoccupazione per la fuga di cervelli che interessa i loro paesi, ma non hanno ancora adottato misure concrete per migliorare le condizioni e le opportunità di lavoro dei professionisti.

All’inizio del 2023 il parlamento nigeriano ha tentato di approvare una legge in base alla quale gli operatori sanitari avrebbero potuto lasciare la Nigeria solo dopo aver prestato servizio nel paese per almeno cinque anni. Il disegno di legge è stato respinto in quanto “discriminatorio”, forse perché gli stessi parlamentari nigeriani potrebbero avere parenti e amici intenzionati a emigrare. All’inizio di giugno è stata proposta un’altra misura per scoraggiare l’emigrazione, ma nemmeno questa è stata approvata.

Nello stesso periodo i rappresentanti del governo keniano hanno annunciato politiche per migliorare le condizioni di lavoro di medici e ingegneri, che stanno lasciando il paese in massa, ma al momento della pubblicazione di quest’inchiesta non è stato adottato nessun provvedimento concreto.

Dal 2021 lo Zimbabwe ha chiesto l’aiuto delle Nazioni Unite per ottenere un risarcimento per i danni causati da quei governi che “vanno a caccia” del personale sanitario zimbabweano, come il Regno Unito.

Senza rispondere direttamente, il governo britannico ha pubblicato una revisione del codice che regola le assunzioni nel settore della salute. In base alla riforma “le organizzazioni sanitarie e di assistenza sociale non assumeranno attivamente personale dai paesi che l’Organizzazione mondiale della sanità indica come più in difficoltà in materia di forza lavoro nel settore sanitario e dell’assistenza, a meno che non esista un accordo tra governi per sostenere forme di assunzione regolamentate”.

Medici e infermieri, però, continuano a lasciare i fatiscenti ospedali dello Zimbabwe. Le lacrime versate per la loro fuga da un governo che lascia gli ospedali sprovvisti di medicinali ed equipaggiamenti ricordano proprio quelle del “coccodrillo”, che non a caso è il soprannome del presidente Mnangagwa.

Yaoundé, Camerun

In Camerun l’attivista dell’opposizione Kah Walla, in prima linea nella lotta contro la corruzione e l’ingiustizia sociale, non pensa che le persone emigrate all’estero torneranno presto. “Finché ci sarà questo regime le cose continueranno a peggiorare e se ne andrà un numero sempre maggiore di camerunesi”, afferma.

Walla è convinta che “se si riuscisse a cambiare il governo e a ricostruire il paese, anche le persone torneranno”. La sua ong, Stand up 4 Cameroon, chiede alla comunità internazionale di aiutare le forze democratiche locali e di fermare gli aiuti allo sviluppo che finiscono nelle tasche del regime di Paul Biya. I loro appelli, però, sono caduti nel vuoto: di recente il Fondo monetario internazionale, ha rinnovato un prestito di 300 milioni di dollari (280 milioni di euro) al governo di Yaoundé.

Questi soldi dovrebbero aiutare i paesi africani a svilupparsi. “Ma come facciamo a crescere se tutte le nostre menti migliori se ne vanno?”, si chiede una persona intervistata in Nigeria per quest’inchiesta. ◆ gim

Da sapere
Speculazioni sui visti

◆ Durante il viaggio i migranti africani vanno incontro a varie forme di estorsione e truffe, che fanno parte ormai di un business milionario. Per esempio, un rapporto del 2023 del dipartimento di stato statunitense parla di corruzione e complicità delle autorità nel traffico di esseri umani in Camerun. Il centro di giornalismo investigativo Museba Project ha scoperto il coinvolgimento di funzionari pubblici e dell’Unhcr in una vendita di documenti falsi per candidati alla migrazione.
Ad agosto del 2023 i mezzi d’informazione hanno ipotizzato che la morte di Christian Hué, viceconsole francese a Douala, trovato morto nella sua residenza in un apparente suicidio, fosse collegata al ricatto di un imprenditore camerunese, che è stato arrestato poche settimane dopo. L’uomo avrebbe preteso il rilascio di quasi cinquecento visti per l’area Schengen da vendere a seimila dollari l’uno. Dopo la vicenda, la concessione di visti per la Francia dal Camerun, già diminuita dopo le manifestazioni antifrancesi nella regione, sembra essersi completamente fermata. Zam Magazine


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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati