Nel 2022 le incursioni militari israeliane nella Cisgiordania occupata sono state all’ordine del giorno, causando l’uccisione di più di 150 palestinesi, combattenti e civili. Eppure il raid a Jenin del 26 gennaio, quando decine di agenti delle forze speciali israeliane hanno attaccato una casa in cui si trovavano dei sospetti combattenti provocando intensi scontri, ricorda più le scene viste in città nel 2002 durante la seconda intifada, la rivolta palestinese. Allora come oggi Jenin era un centro importante per i gruppi armati palestinesi che combattevano contro l’occupazione israeliana. La battaglia di Jenin durò una settimana e morirono 52 palestinesi, molti dei quali civili, e 23 soldati israeliani.

Dalla fine della seconda intifada nel 2005 Israele ha adottato una politica per cui l’occupazione dei territori palestinesi, che prosegue dal 1967 ed è illegale per il diritto internazionale, è gestita come un problema di sicurezza invece che politico. In Cisgiordania sono stati eretti muri e gli israeliani si sono messi relativamente al sicuro dagli attacchi, mentre l’esercito interviene contro i palestinesi quando serve.

L’uomo che ha diretto gran parte di queste politiche è di nuovo a capo del governo. Benjamin Netanyahu è convinto che la sua strategia abbia funzionato, indicando gli accordi di normalizzazione firmati dal 2020 con diversi paesi arabi. Israele ha incontrato poche resistenze internazionali, pur spostandosi a destra e stringendo la sua morsa sulla vita dei palestinesi.

Ma finora Netanyahu ha avuto a che fare con la vecchia generazione di palestinesi, mentre molti ragazzi sono frustrati e determinati a reagire. Questo nell’ultimo anno ha portato alla comparsa in Cisgiordania di gruppi armati che non sono sotto il controllo di formazioni palestinesi tradizionali come Al Fatah, Hamas e la Jihad islamica palestinese, né dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), sempre più impopolare. I loro affiliati sono giovani. Molti hanno legami con le fazioni tradizionali ma hanno deciso di andare per la loro strada e passare all’offensiva. Questo è un motivo dell’aumento di attacchi palestinesi contro gli israeliani all’inizio del 2022, che ha spinto Israele a lanciare un’operazione militare in Cisgiordania.

Sull’orlo del precipizio

Questi gruppi sono il segnale di una questione più ampia: la crescente irrilevanza dei vecchi politici che hanno dominato la scena palestinese per decenni. Tra loro c’è il presidente dell’Anp, Abu Mazen, che ha 87 anni, problemi di salute, è impopolare e senza un successore. La mancanza di leadership e l’ascesa dei gruppi indipendenti rendono più difficile per i paesi stranieri intervenire e calmare le acque.

Per i nuovi gruppi armati l’obiettivo non è calmare le acque, ma mettere fine all’occupazione. Con il radicarsi delle forze di estrema destra nel governo israeliano l’occupazione si è consolidata. Gli insediamenti illegali in Cisgiordania, in cui vivono cinquecentomila persone, aumentano, e il governo israeliano è pronto a “legalizzare” gli avamposti dei coloni, considerati illegali dalla stessa legge israeliana. Gli israeliani tengono anche prigionieri migliaia di palestinesi, di cui ottocento senza processo.

Azioni come il raid di Jenin spingono la situazione sull’orlo del precipizio. Qualunque cosa potrebbe scatenare una terza rivolta: scontri alla moschea Al Aqsa a Gerusalemme Est, un’altra guerra contro Gaza, l’espulsione dei palestinesi o un raid in un campo profughi. Eventi simili si sono verificati nella prima e nella seconda intifada. E dopo un anno così sanguinoso dovrebbe sembrare evidente che una terza intifada è già cominciata. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1497 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati