Tre attacchi aerei contro obiettivi iraniani, compiuti in quarantott’ore, sono stati attribuiti a Israele. Il primo bersaglio è stato uno stabilimento per la produzione di armi a Isfahan. Poi sono stati colpiti convogli di armi provenienti dall’Iran, sul lato siriano del confine tra Siria e Iraq.

Gli attacchi sembrano indicare che Israele sta intensificando l’attività contro l’Iran. E che non si limita a combattere il programma nucleare di Teheran né a concentrarsi su un paese nella regione. In passato gli attacchi israeliani erano di due tipi: da un lato sabotaggi e omicidi in territorio iraniano, connessi al programma nucleare; dall’altro azioni per impedire all’Iran di distribuire armi a gruppi terroristici e guerriglieri nella regione e di stabilire basi militari in altri paesi. L’ex premier israeliano Naftali Bennett ha eliminato la distinzione: nel 2022 ci sono stati almeno tre attacchi israeliani contro obiettivi in Iran, non tutti legati al nucleare.

La notte tra il 28 e il 29 gennaio una fabbrica di missili a Isfahan è stata bombardata con dei droni. L’attacco, che probabilmente ha richiesto la presenza di qualcuno sul territorio, si è svolto mentre il governo d’Israele si riuniva per decidere come rispondere alla morte di sette civili uccisi un palestinese a Gerusalemme. Le operazioni di sicurezza israeliane si estendono a luoghi distanti e combinano alta e bassa tecnologia. L’uso d’intelligence e tecnologie avanzate si è visto con gli attacchi nei pressi del valico di Boukamal, sul confine tra Siria e Iraq, il 29 e il 30 gennaio, in cui sono morte undici persone.

Sotto gli occhi degli Stati Uniti

Sulla base di precedenti azioni nella zona, si possono fare due ipotesi. La prima è che l’obiettivo d’Israele sia impedire il traffico di armi verso Hezbollah, in Libano. La seconda è che la decisione di colpire sia stata presa appena erano arrivate informazioni affidabili sulla posizione dei camion. Israele sta dicendo all’Iran che non ha paura d’intensificare lo scontro militare.

Poi c’è il fattore statunitense. I primi due attacchi si sono svolti mentre il capo della Cia, William Burns, era in Israele. Il terzo poco prima della visita del segretario di stato statunitense Antony Blinken. Se è vero che non sono stati gli Stati Uniti ad agire, è difficile credere che il nuovo governo israeliano fosse disposto a mettere in imbarazzo i suoi ospiti bombardando obiettivi iraniani senza confrontarsi con loro. Pochi giorni prima, inoltre, un’esercitazione aerea congiunta aveva coinvolto un gran numero di forze statunitensi, alcune schierate in territorio israeliano. Queste mosse comunicano all’Iran che Stati Uniti e Israele sono coordinati. Non preannunciano però un imminente attacco ai siti nucleari iraniani.

La strategia dell’amministrazione di Joe Biden è tenersi stretto Israele e tollerare le sue iniziative verso l’Iran. Teheran negli ultimi mesi non si è fatta nuovi amici in occidente, con il rifiuto di rientrare nell’accordo nucleare, la repressione delle proteste nel paese e, soprattutto, il crescente aiuto alla Russia sotto forma di droni per la guerra in Ucraina.

Come ritorsione per i bombardamenti di questi giorni, l’Iran ha minacciato di colpire navi israeliane. Tre anni fa alcuni attacchi israeliani nel mar Rosso e nel Mediterraneo avevano danneggiato navi iraniane che contrabbandavano carburante in Siria. L’Iran aveva colpito navi civili in parte di proprietà israeliana che si trovavano nel golfo Persico e nell’oceano Indiano. Dopo la rappresaglia Israele aveva smesso di colpire le navi iraniane. È chiaro che l’Iran intende rispondere agli ultimi attacchi. Questa guerra continuerà, su vari fronti e con mezzi diversi, ma per ora con un’intensità piuttosto bassa. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1497 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati