L’elenco degli ingredienti di molti alimenti ultraprocessati spesso termina con una quantità sconcertante di additivi, come se l’eccesso di sale, di grassi e di vari tipi di zucchero non fosse già abbastanza. Per chi non è esperto queste sostanze, indicate con una E seguita da un numero oppure con il loro nome scientifico completo, sono misteriose e inquietanti. Si tende a definirle in tono spregiativo “chimiche”, anche se, tecnicamente, tutto è chimico. Alcuni di questi additivi, chiamati emulsionanti, sono rimasti nell’ombra per molti anni. Ma di recente, quando gli scienziati hanno cominciato ad avere una maggiore comprensione del microbioma intestinale, sono stati individuati come i possibili responsabili di problemi intestinali legati alla dieta occidentale moderna. E ormai sappiamo che la salute intestinale determina la salute in generale, perché l’intestino governa tutto, dall’umore al metabolismo, dall’infiammazione alla risposta immunitaria.

Gli emulsionanti, però, sono difficili da evitare. “Nei prodotti alimentari distribuiti nel Regno Unito ce ne sono di 63 tipi”, sostiene Kevin Whelan, nutrizionista del King’s college di Londra. “Da un nostro studio è emerso che più di seimila alimenti venduti nel paese contengono emulsionanti”, in molti casi più di uno.

Questo perché gli emulsionanti sono estremamente utili. “Possono essere usati nella preparazione di pane, cioccolato, torte, gelati, margarina e carni lavorate”, spiega Natalie Alibrandi, scienziata dell’alimentazione e fondatrice della società di consulenza Nali Consulting. Aiutano a fare in modo che i prodotti siano ben amalgamati e di consistenza uniforme, impedendo agli ingredienti di separarsi. “Un emulsionante viene usato per combinare acqua e olio”, dice Alibrandi. “Ha una parte idrofoba, che non ama l’acqua, e una parte idrofila, a cui l’acqua piace. Quindi una serve a legare l’olio o il grasso del prodotto, e l’altra a legare l’acqua”.

Separazione naturale

L’elenco degli ingredienti del Mighty White, un pane in cassetta molto diffuso nel Regno Unito, comprende gli emulsionanti E471 (mono e digliceridi degli acidi grassi), E472e (esteri dell’acido diacetiltartarico di mono e digliceridi, noto anche come datem) ed E481 (stearoil lattilato di sodio o ssl).

Nel caso del pane, delle torte e dei pasticcini, aggiunge Alibrandi, gli emulsionanti “possono allungare il tempo di conservazione e rendere i prodotti più morbidi, per impedire che si secchino”. Ma nei prodotti da forno con diversi componenti, dal pan di spagna alle farciture, dalle glasse alle gocce di cioccolato, gli emulsionanti possono accumularsi.

Nel cioccolato sono usati per ritardare la comparsa del velo bianco che si forma quando lo zucchero o il grasso salgono in superficie

Nel cioccolato sono usati per ritardare la comparsa del velo bianco che si forma quando lo zucchero o il grasso salgono in superficie. “Nel caso del gelato”, dice Alibrandi, “è importante avere la giusta quantità di grasso e aria per dargli la consistenza desiderata: aggiungendo un emulsionante, il grasso e l’acqua si combinano per ottenere quella consistenza. Lo stesso discorso vale per la margarina”.

Alcune aziende, continua la scienziata, stanno eliminando gli additivi, con slogan come “la separazione è naturale”. Cita l’esempio di alcuni prodotti lattiero-caseari a base vegetale. Il lato negativo per il consumatore “è che il latte vegetale si separa quando viene aggiunto al caffè. Non ha un bell’aspetto, non ha un buon sapore e ha una consistenza diversa. Aggiungendo gli emulsionanti, invece, si può dare al prodotto un aspetto e un sapore migliori”.

Alibrandi non ha problemi con questi additivi. In fondo sono usati da più di cinquant’anni nell’industria alimentare e sono da tempo considerati sicuri dagli enti competenti. “Gli emulsionanti sono dovunque”, dice. “Sono in tutta la filiera alimentare e delle bevande. Senza di loro non avremmo prodotti facili da consumare e che possono essere conservati a lungo”.

Il problema, sottolinea Megan Rossi, ricercatrice del King’s college di Londra e fondatrice di The gut health clinic, è che le valutazioni sulla sicurezza alimentare sono state fatte prima che imparassimo alcune cose sul microbioma intestinale. Lei e gli altri ricercatori che hanno puntato i riflettori sugli emulsionanti stanno cercando di aiutare le persone che soffrono di malattie infiammatorie intestinali, la cui incidenza nel mondo occidentale aumenta costantemente, da quando la produzione di cibo è diventata industriale, e ora sta aumentando nei paesi in via di sviluppo. “Sappiamo da tempo che le persone che mangiano molti prodotti ultraprocessati hanno rischi per la salute più alti”, dice Rossi, “e da decenni stiamo cercando di capire perché. La malattia infiammatoria intestinale colpisce una persona su duecento. Quindi è piuttosto comune e al momento non esiste una vera cura”.

In una dieta con cibi ultraprocessati sono molti gli elementi che potrebbero danneggiare il microbioma intestinale. A proposito di emulsionanti, Rossi spiega: “Se pensiamo a come combinano acqua e grassi, trasformandoli in una specie di sapone (queste sostanze sono usate anche nei detergenti), è possibile che rendano il rivestimento intestinale più vulnerabile alla penetrazione di specifici microrganismi infiammatori”.

Gli studi preliminari, di cui di recente si è parlato molto, suggeriscono una situazione del genere. Il dibattito sul tema è cominciato seriamente nel 2015, dice Whelan, quando fu pubblicato un articolo di uno dei suoi collaboratori, Benoit Chassaing dell’université Paris Cité. Chassaing aveva testato gli effetti sui topi di due emulsionanti comuni: la carbossimetilcellulosa (cmc ) e il polisorbato 80 (p80). “Aveva dato da bere ai topi acqua contenente cmc, p80 oppure nessuno dei due”, continua Whelan. “L’intestino dei topi che avevano ingerito gli emulsionanti mostrava importanti cambiamenti nella flora batterica. Presentava una riduzione nel numero di vari tipi di batteri. E non pensiamo che questa sia una buona cosa per il microbioma intestinale”. Era presente anche un numero maggiore di batteri che favorivano l’infiammazione, ma non era tutto qui.

Nei topi che avevano ingerito gli emulsionanti, la parete di muco che protegge le viscere era molto più sottile. “Gli additivi avevano emulsionato il muco, che in parte si era sciolto”, dice Whelan. “Questo significava che i batteri erano molto più vicini al rivestimento dell’intestino. E che la zona di ‘intestino permeabile’ era più vasta, quindi il passaggio dei batteri, ma anche di altre molecole che attraversavano il rivestimento, causava più infiammazione”. Sembrava che questi emulsionanti potessero provocare disturbi infiammatori simili al morbo di Crohn e alla colite ulcerosa. Ma stavamo parlando di topi, non di esseri umani.

Megan Rossi capisce perché tante persone fanno fatica a rinunciare all’abitudine di mangiare prodotti molto processati

Un grande studio

Il passo successivo era eliminare gli emulsionanti dalla dieta delle persone, e vedere se serviva ad alleviare le loro infiammazioni. A quel punto è entrato in gioco Whelan. “Passo il mio tempo a progettare diete complesse e a cercare di capire come convincere le persone a seguirle”, dice.

Nel 2020 con i suoi collaboratori ha lanciato un piccolo studio su venti persone affette dal morbo di Crohn, per vedere se riuscivano a evitare gli emulsionanti per due settimane. “Abbiamo scoperto che rispettavano scrupolosamente le indicazioni”, afferma Whelan, “e in effetti molti di loro si sentivano un po’ meglio. Il problema è che non possiamo considerarla una prova che la dieta funzioni, perché quando prendono parte a una ricerca e sono più seguite, le persone si sentono sempre un po’ meglio. “Ecco perché ora si sta lavorando a un grande studio che include un gruppo di controllo a cui viene somministrato un placebo.

Nel frattempo, nel 2017, i ricercatori statunitensi hanno condotto un altro piccolo studio in cui dodici pazienti affetti da colite ulcerosa, un’infiammazione del colon e del retto, hanno tolto tutti gli emulsionanti dalla loro dieta per un anno. Cinque hanno preso ogni giorno una capsula contenente l’emulsionante carragenina e gli altri sette hanno preso un placebo. Tre dei cinque che assumevano carragenina hanno avuto una ricaduta, ma nessuno del gruppo placebo l’ha avuta. Lo stesso anno, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha identificato gli emulsionanti alimentari come fattore di rischio emergente.

Il nuovo studio clinico di Whelan è controllato con placebo e coinvolge 150 persone affette dal morbo di Crohn. Per otto settimane, metà di loro seguirà una dieta normale e l’altra metà passerà a una dieta a basso contenuto di emulsionanti, per vedere se l’infiammazione si riduce. “Siamo a circa due terzi del percorso”, dice il nutrizionista, “e siamo davvero entusiasti di avere più pazienti, quindi se potesse menzionarlo nell’articolo sarebbe fantastico”.

Scelte difficili

Queste ricerche lasciano noi consumatori in una situazione difficile: prima di comprare un prodotto dovremmo leggere l’etichetta per vedere se contiene emulsionanti? “Posso capire che molte persone siano preoccupate”, riconosce Whelan. “Ma secondo me è troppo presto per dire che non bisognerebbe aggiungere emulsionanti ai nostri alimenti. Penso che sia troppo presto anche per affermare che tutti dovrebbero smettere di mangiare prodotti che contengono qualsiasi tipo di emulsionante”.

Questo non significa che non valga la pena di mangiare alimenti meno processati. “Dovremmo incoraggiare le persone a cucinare di più, a non fare tanto affidamento su piatti pronti”.

Tra le molte cose che non sappiamo sugli emulsionanti è quali sono i più dannosi. Dopo i suoi primi studi sui topi, Chassaing ha condotto esperimenti su molti altri emulsionanti. “Alcuni in realtà non hanno nessun impatto”, dice Whelan. “La lecitina di soia, comunemente usata nel cioccolato, non ha effetti significativi. Ma ancora una volta sono ricerche condotte solo sugli animali. Nel mondo della nutrizione ci sono tante sfumature, quindi non è ancora il momento di consigliare alla gente quali additivi evitare”. Alla fine, a lavoro completato, potremmo collaborare con l’industria alimentare per aiutarla a riformulare i prodotti. “Ci sono molte alternative ed è un problema complesso da risolvere”.

Davvero complesso. Per Sarah Berry, scienziata a capo della Zoe, un’applicazione personalizzata basata sulle ricerche di esperti in salute intestinale, gli emulsionanti “sono solo una piccola parte del problema degli alimenti ultraprocessati, e penso che sbagliamo a concentrarci eccessivamente sui singoli ingredienti”. Questi alimenti contengono più calorie rispetto agli equivalenti meno lavorati e li consumiamo nella metà del tempo, dice, e questo significa che i segnali che indicano la sazietà non riescono a scattare. Normalmente ci vorrebbero “circa dieci, venti minuti” per sentirsi pieni, aggiunge.

Da sapere
Regole europee

◆ Gli additivi alimentari sono sostanze aggiunte ai prodotti per dargli un certo colore o una certa consistenza, per renderli più dolci o per conservarli meglio. Nell’Unione europea gli additivi alimentari e la loro funzione sono identificati da un numero preceduto dalla lettera E, leggibile nelle etichette degli ingredienti. Il processo di autorizzazione prevede una valutazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e una decisione finale della Commissione europea. ◆La diffusione degli alimenti ultraprocessati preoccupa nel mondo occidentale e nei paesi in via di sviluppo. Secondo una ricerca dei National institutes of health degli Stati Uniti, le persone che ne mangiano molti assumono più calorie. Studi preliminari hanno scoperto un legame tra questi prodotti e il rischio di malattie cardiovascolari e cerebrovascolari.The Economist


Gli alimenti ultraprocessati tendono ad avere meno ingredienti come fibre, proteine di alta qualità e grassi sani, e più zucchero e grassi saturi. A tutto questo si aggiunge uno degli argomenti a cui Berry ha dedicato le sue ricerche più recenti, cioè il modo in cui la struttura del cibo viene modificata dalla lavorazione industriale. Ha scoperto che i prodotti che usano mandorle macinate sono il 30 per cento più calorici di quelli con mandorle intere e che mangiare porridge di avena in polvere si traduce in un picco di zucchero del 30 per cento superiore. Semplicemente perché sono state rotte più pareti cellulari, rilasciando più calorie.

E a proposito di additivi, gli emulsionanti non sono gli unici a suscitare preoccupazione. Ci sono anche stabilizzanti, conservanti, coloranti e dolcificanti, che creano, dice Berry, “una tempesta perfetta”. Non si tratta di allarmismo. Gli scienziati sono riluttanti a trarre conclusioni premature sui singoli ingredienti, anche se nella sua pratica clinica, dice Rossi, “quando parlo con i miei pazienti, preciso che stiamo studiando gli additivi alimentari e che, se hanno una predisposizione o il morbo di Crohn, probabilmente farebbero meglio a limitare la quantità di questi alimenti ultraprocessati, che molto spesso contengono additivi”.

Rossi capisce perché così tante persone fanno fatica a rinunciare all’abitudine di mangiare prodotti molto processati, nonostante il loro impatto sulla salute. “Sono una mamma che lavora”, dice, “i cibi confezionati ci permettono di tirare avanti, di avere un impiego a tempo pieno e fare tutto il resto”.

Anche se sa benissimo quanti tipi di additivi ci sono negli alimenti, ricorda che non sono tutti dannosi e che gli effetti negativi dipendono dalle dosi. La lecitina è un tipo di emulsionante, dice, ma si trova naturalmente nelle uova. “Penso che dobbiamo essere cauti, altrimenti facciamo nascere nelle persone un’ossessione per queste sostanze. Un altro additivo comune è l’acido ascorbico, che è solo vitamina c. Non dobbiamo demonizzare tutti gli additivi, molti garantiscono un maggior tempo di conservazione”.

Non tutti gli alimenti ultraprocessati contengono emulsionanti o additivi nocivi, ma hanno alcuni degli altri elementi potenzialmente dannosi elencati da Berry. “Probabilmente finora siamo stati troppo dipendenti da questi prodotti”, afferma Rossi. “Dobbiamo scavare un po’ più a fondo e sforzarci di capire meglio quello che mangiamo. Certamente non sarà tossico e non ci causerà il cancro da un giorno all’altro, quindi possiamo ancora consumarlo. Ma se la maggior parte della nostra dieta si basa su questi alimenti confezionati ultraprocessati, allora probabilmente vale la pena di modificarla”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati