I l piccolo cestino di vimini color pastello è pieno di candele e di icone. Ci sono il volto di padre Pio, che Louis chiama “il vecchio nonno”, un elefante di vetro, dei cristalli di rocca e un Gesù in ceramica che a lui fa paura perché ha le mani insanguinate. Quando Louis non era stato ancora salvato, quando era un neonato con una speranza di vita che non superava i 24 mesi, tutti gli amici della sua famiglia sparsi in Italia, in Francia e in Australia gli mandavano preghiere, amuleti ed ex voto. Solo Dio poteva salvarlo. Oggi la scatola dei miracoli sta in un angolo della stanza e viene tirata fuori solo per ricordare il passato.

Nella camera di Louis ci sono due letti. La sua sorella gemella, Mila, dorme accanto a lui sotto una foresta di acchiappasogni. Non si somigliano per niente. Alcune settimane dopo la nascita, il 5 agosto 2015, la differenza era evidente: “Louis era più inerte di Mila, meno reattivo, non piangeva quasi mai”, racconta la madre Maria. “Quando li mettevo a pancia in giù, Mila cominciava ad alzare la testa, Louis no”. Forse erano semplici ansie materne. Maria aveva cercato di convincersi che i neonati maschi si sviluppano più lentamente delle femmine. Ma quando lo ha portato da un chiropratico, la donna ha visto bambini molto più vivaci del suo.

Lo stabilimento della Novartis a Libertyville, negli Stati Uniti, 2021 (Arnaud Robert e Paolo Woods)

Il 29 agosto, tre settimane dopo la nascita di Louis, Maria è andata in ospedale. “Un medico ha visto che la lingua di mio figlio tremava leggermente. Oggi so che questo può essere un sintomo della malattia. E hanno fatto le analisi del sangue”. La pediatra l’ha chiamata il fine settimana successivo. “Mi ha dato la diagnosi, supplicandomi di non andare a cercare su internet cosa significava. Ma io ovviamente ci sono andata lo stesso. Ho commesso molti peccati nella mia vita e ho pensato che le mie preghiere non sarebbero servite a nulla. Allora ho chiamato mia madre per chiederle di pregare per Louis”.

Louis ha una malattia genetica, l’atrofia muscolare spinale o Sma, la cui variante più aggressiva (il tipo 1 su una scala di tre livelli per i bambini piccoli) è una condanna a morte entro il quarto anno di vita. Louis ha la Sma di tipo 1. Nel 2015 non esisteva nessun trattamento, eccetto le terapie ortopediche e la fisioterapia per mantenere le capacità funzionali. È come rallentare la marea che sale svuotando la barca con un secchio. La malattia mangia inesorabilmente i muscoli fino a provocare il soffocamento. “Mio marito Marco ha detto che Louis non sarebbe morto e stranamente gli ho creduto”.

La madre di Louis, Maria, è originaria di Lille ma da diversi anni vive vicino a Melbourne, in Australia. Lì aveva incontrato Marco, proprietario di un’azienda agricola. Con lui ha avuto due figli e poi sono arrivati i gemelli. Una neurologa ha parlato alla coppia di una sperimentazione clinica in corso in Australia: stavano testando un nuovo farmaco, lo Spinraza, sviluppato dal laboratorio statunitense Biogen. Un terzo dei partecipanti (scelto a sorte) riceveva un placebo: “Ma per noi era impensabile che a Louis potesse essere somministrata un’altra cosa rispetto al farmaco che poteva curarlo”.

facebook.com/groups/842747695840819, (per gentile concessione delle famiglie, via Paolo Woods)

Così la coppia ha cominciato a cercare su internet, dove non mancano le promesse e le illusioni. Per 18mila dollari le è stato proposto di andare in Messico a fare iniettare illegalmente delle cellule staminali a Louis. Le sono state offerte polveri, unguenti, massaggi, insomma il classico campionario della taumaturgia digitale. Poi, contro ogni attesa, Maria e Marco sono venuti a sapere che dall’altra parte del mondo era stato avviato un test clinico senza placebo. Il farmaco, che fino a quel momento era stato iniettato solo a dieci neonati, si chiamava Zolgensma.

Il topo Mimì

Lo Zolgensma, come Maria, ha origini francesi. All’inizio degli anni duemila la ricercatrice Martine Barkats lavorava nel laboratorio Généthon, il ramo di terapia genica dell’Associazione francese contro le miopatie (Afm), che organizza anche Téléthon. Dopo aver incontrato Marie, una bambina in carrozzella colpita dalla Sma, Barkats ha indirizzato le sue ricerche su questa malattia rara che colpisce un neonato su diecimila ed è la prima causa genetica di mortalità infantile: “Marie è stata la scintilla. Ho lasciato perdere l’alzheimer e il parkinson e ho deciso di lavorare sulla Sma. Mi sono detta che dovevo trovare qualcosa, non volevo deludere Marie”.

Così la ricercatrice ha iniettato dei virus vettori a dei topi malati perché sostituissero i geni difettosi con un gene sano. Un liquido fluorescente veniva aggiunto al vettore per fare in modo che il midollo spinale si illuminasse se era attivo. Tutti i topi colpiti dalla Sma sono morti entro tredici giorni. Tutti tranne Mimì. Il topolino bianco è sopravvissuto 14, 15, 20, 40 giorni. Martine Barkats non riusciva a crederci: “Mi sono chiesta se Mimì aveva veramente la malattia, se non c’eravamo sbagliati. Ma la sua colonna vertebrale era fluorescente. Il topolino è sopravvissuto più di 350 giorni. Per la prima volta eravamo riusciti a introdurre un gene nei neuroni motori. Questo apriva la strada a ogni sorta di terapia per le malattie del sistema nervoso. Era qualcosa di sconvolgente. Abbiamo subito depositato il brevetto”.

(per gentile concessione delle famiglie, via Paolo Woods)

La ricercatrice ha mandato un articolo alla rivista Nature, che ha chiesto degli approfondimenti. Alcuni mesi dopo, nel marzo 2010, un’équipe guidata da un ricercatore statunitense ha pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology le stesse conclusioni dell’articolo non pubblicato da Barkats, con lo stesso metodo. Per Christian Cottet, direttore generale dell’Afm-Téléthon, la vicenda è sospetta: “Non sapremo mai com’è andata, ma siamo quasi certi che le ricerche di Martine siano state plagiate”.

Il ricercatore statunitense Brian Kaspar è un nome famoso nel campo della Sma. Sulla base del suo articolo è riuscito a creare una startup, l’AveXis, e a raccogliere 500 milioni di dollari per condurre dei test clinici di fase due e tre sullo Zolgensma. Nel 2018 ha venduto l’AveXis al gruppo farmaceutico svizzero Novartis per 8,7 miliardi di dollari (circa sette miliardi di euro). In seguito la Food and drug administration (Fda, l’agenzia statunitense dei farmaci) ha individuato delle manipolazioni di dati nel dossier sullo Zolgensma, ma questo non ha messo in discussione l’approvazione della terapia. Kaspar è stato comunque licenziato dalla Novartis.

Quando la Novartis ha acquistato l’AveXis, ha scoperto che Kaspar non aveva mai depositato il brevetto e di conseguenza ha dovuto negoziare con il suo legittimo proprietario, la Généthon. L’Afm-Téléthon ha ricevuto 15 milioni di dollari per il diritto di usare il suo brevetto, più il 5 per cento dei diritti sulle vendite del farmaco. Erano briciole in confronto ai profitti previsti per lo sfruttamento dello Zolgensma.

(per gentile concessione delle famiglie, via Paolo Woods)

Un pianeta sconosciuto

Nel settembre del 2015 la madre di Louis ha contattato il dottor Jerry Mendell, che stava facendo i primi test clinici sul farmaco. “Gli abbiamo scritto per disperazione e lui ci ha risposto molto rapidamente”. L’ospedale di Columbus, nell’Ohio, cercava un bambino di otto settimane su cui sperimentare il farmaco. Louis ne aveva sette. La coppia stava crescendo quattro figli in Australia, aveva una casa, un lavoro. Dovevano decidere nel giro di poche ore di trasferirsi per almeno un anno negli Stati Uniti e ottenere un visto in tutta fretta.

Maria descrive quelle ore concitate come un thriller in cui in ogni istante era in gioco la vita di suo figlio. Non piange, ma il suo respiro accelera quando parla dei documenti che ha dovuto raccogliere, l’atto di nascita, il dipendente dell’ambasciata che le ha detto che era “troppo tardi” ma alla fine l’ha lasciata fotocopiare i formulari da riempire.

Se quel giorno i genitori non avessero ottenuto i documenti necessari, oggi Louis esisterebbe solo in qualche foto e nella scatola dei miracoli.

Louis ha ricevuto l’iniezione di Zolgensma all’età di due mesi (per gentile concessione delle famiglie, via Paolo Woods)

Sono arrivati all’aeroporto all’ultimo minuto. Maria e Marco viaggiavano con i gemelli, i suoceri si sarebbero occupati degli altri due bambini. Trentasette ore dopo si sono ritrovati a Columbus. Una grossa limousine nera li aspettava all’aeroporto. “In quel momento abbiamo pensato che forse ci avrebbero rapito per rubarci gli organi!”. In realtà sono stati accolti “come re” alla Ronald McDonald house, dove diverse famiglie di bambini malati vivevano in attesa del trattamento. Un castello con scivoli e sale gioco che sembrava un luna park. “Ovviamente una terapia così sperimentale presentava dei rischi. Ma non avevamo nulla da perdere”.

La settimana successiva il bambino ha ricevuto la sua iniezione: pochi millilitri di un liquido traslucido. Fino all’ultimo momento non era sicuro che Louis sarebbe stato accettato come candidato, visto che le sue condizioni continuavano a peggiorare. “Siamo andati a battezzarlo in una chiesa messicana di Columbus, ci sembrava una cosa importante”. Per mesi Maria e Marco si sono alternati a Columbus, facendo la spola con Melbourne. Louis era seguito costantemente, sia per rilevare eventuali effetti inattesi sia per seguire i progressi. Moltissimi video testimoniano i suoi movimenti: un braccio che riusciva a stendersi, le gambe che reggevano il peso del suo corpo. Alcuni si possono vedere sul sito creato dalla Novartis per promuovere lo Zolgensma. Louis era un astronauta sbarcato su un pianeta che doveva ancora essere conquistato. Tutto quello che gli è successo dopo l’iniezione non era mai stato documentato prima.

Nel 2019 lo Zolgensma è stata una delle prime terapie geniche approvata dall’Fda. Le speranze che ha suscitato vanno molto al di là del trattamento della Sma. È stata una pietra miliare per tutte le terapie di questo tipo, con ripercussioni mediche ed economiche enormi. “Ci eravamo resi conto che questo farmaco sarebbe diventato qualcosa di redditizio”, spiega Maria. “Così abbiamo comprato alcune azioni a 17 dollari. Abbiamo cercato di convincere i nostri amici a investirci, ma senza successo. Quando la Novartis ha acquistato l’AveXis, nel 2018, le azioni valevano già duecento dollari”.

I dipendenti della Novartis a Libertyville, 2021 (Arnaud Robert e Paolo Woods)

Dopo la sua approvazione, lo Zolgensma è stato presentato come il farmaco più caro di tutti i tempi. La dose unica costava 2,1 milioni di dollari. La maggior parte dei Louis del mondo non avrebbe mai potuto beneficiarne.

Limonata andata a male

L’addetto alle relazioni pubbliche è entusiasta: “Vuole vedere il nostro muro?”. Due pareti in un grande edificio che sembra un hangar. Sono ricoperte di adesivi di tutti i colori: ognuno rappresenta la mano di un neonato a cui è stato iniettato lo Zolgensma. Su ogni piccola mano è stato scritto con un pennarello il nome del paziente, il suo paese di provenienza e la data dell’iniezione: “Più di 1.400 neonati hanno già avuto la loro dose”. Su una mano s’intravede il nome di Louis, il suo paese (l’Australia), e la data della sua iniezione (il 14 ottobre 2015).

La fabbrica della Novartis Gene Therapies è come appoggiata sul parcheggio di una zona industriale nell’estrema periferia di Chicago, a Libertyville. Sembra un magazzino clandestino, con uomini in scafandro che si aggirano tra laboratori hi-tech. Tecnici in tuta con cuffie e maschere, che manipolano grandi recipienti trasparenti. Si vede un liquido vagamente giallastro: il materiale biologico che serve per produrre lo Zolgensma. Ce ne sono decine di litri. Deve ancora essere concentrato. Nonostante questo non possiamo fare a meno di contare. La dose unica dipende dal peso del bambino: da 16,5 millilitri per un bambino di tre chili a 74,3 millilitri per uno di 13 chili. Quanto possono valere tutte le bottiglie di questa specie di limonata andata a male? Decine, centinaia di milioni di dollari?

Nello stabilimento della Novartis alcuni schermi trasmettono frasi prese dai forum delle famiglie che hanno beneficiato del farmaco

È la mistica brutale dello Zolgensma. Da un lato c’è una promessa immensa, addirittura smisurata: salvare la vita a dei neonati. Dall’altro c’è il costo incredibile del farmaco. All’interno dello stabilimento, alcuni schermi trasmettono a ciclo continuo frasi prese dai forum delle famiglie che hanno beneficiato del trattamento: “Siamo stati benedetti!”, scrive la madre di Axel sull’account “Axel brings joy to life!”. “Grazie per tutto quello che fate per aiutare i nostri figli”, Olivia. “Grazie per aver salvato la mia vita!”, il piccolo Eli. Tra questi messaggi rivolti al personale, uno mostra il volto radioso di una biologa e lo slogan: “Benvenuti nel futuro della medicina”.

Dave Lennon indossa una camicia chiara e dei jeans. È appoggiato all’immensa vetrata che dà sui giardini curati e sul serbatoio d’acqua di Libertyville. Prima di essere nominato amministratore delegato della Novartis Gene Therapies, Lennon ha studiato biofisica e medicina molecolare. Parla dell’acquisto dell’AveXis da parte della Novartis per 8,7 miliardi di dollari, “perché eravamo convinti di poter dimostrare che lo Zolgensma avrebbe soppiantato il primo farmaco disponibile, lo Spinraza”. Sottolinea che il costo della terapia non si basa su quello della ricerca, ma sul fatto che è meno caro dei suoi concorrenti: “A differenza degli altri farmaci, la dose è unica”.

Lennon sembra riprendere le frasi usate per negoziare il prezzo dello Zolgensma con i vari paesi. L’idea è che non si può ridurre un farmaco al suo costo, ma bisogna considerare i suoi benefici: i risparmi sulle terapie future, sulla produttività dei pazienti e dei loro genitori (che spesso devono abbandonare il lavoro se il figlio sta male), la pressione psicologica di un lutto e le sue implicazioni economiche. Lennon aggiunge che un trapianto cardiaco su un bambino e le sue conseguenze superano ampiamente i due milioni di dollari: “Dire che è il farmaco più caro del mondo è semplicemente falso. In realtà è uno dei medicinali con il più alto valore al mondo. In particolare per le famiglie dei malati”.

Zach, 8 anni, un bambino statunitense che ha ricevuto lo Zolgensma (Arnaud Robert e Paolo Woods)

Gli parliamo dei post sui social network che parlano della morte di un bambino per mancanza di mezzi finanziari. Quando la Novartis ha annunciato il prezzo dello Zolgensma nel 2019, aveva ovviamente messo in conto le critiche. I suoi dirigenti sapevano che si sarebbe parlato dei bambini che avrebbero salvato, ma anche di quelli che sarebbero morti per non avere avuto accesso allo Zolgensma.

Così hanno inventato una lotteria. “Non usiamo il termine lotteria. Parliamo di managed access program”, un programma di accesso controllato. Per i bambini che non vivono nei circa quaranta paesi in cui il farmaco è rimborsato dallo stato, la Novartis Gene Therapies offre ogni anno un centinaio di dosi gratuite. Le famiglie possono fare richiesta attraverso il medico. La selezione finale viene fatta con un’estrazione a sorte.

Quando questo programma è stato annunciato, diverse associazioni di pazienti hanno protestato. A Parigi l’Afm-Téléthon ha pubblicato un comunicato indignato. “È inaccettabile da parte della Novartis”, spiega la direttrice generale dell’associazione Christine Cottet. “La vita dei nostri figli malati era presentata come il primo premio di una lotteria”.

Ma nonostante lo scandalo la multinazionale non ha cambiato strategia. Lennon spiega: “Dobbiamo aiutare pazienti che hanno bisogno urgente di cure, ma non possiamo soddisfare tutte le domande. Dopo aver valutato il numero di dosi che potevamo mettere a disposizione, abbiamo riunito un comitato etico per decidere come procedere. L’estrazione a sorte era il metodo migliore”. In questo modo la Novartis ha curato più di 1.400 bambini. “Anche se abbiamo avuto cattiva pubblicità, continuo a credere che questo programma sia fondamentalmente positivo”.

Immagini delle campagne di crowd­funding per i bambini affetti da Sma (woods instagram.com/hifaya_umutol, (per gentile concessione delle famiglie, via Paolo Woods))

Lennon ha creato i Feel good fridays (Venerdì della gioia), in cui il racconto miracoloso di un bambino è condiviso con tutti i dipendenti. Nel video di Louis i suoi genitori, Maria e Marco, raccontano la loro storia. Si vede il bambino di tre anni che gioca su un tavolo, si lancia su uno scivolo, si dondola su un’altalena, si alza appoggiandosi a un oggetto, cammina con le stampelle aiutato dal padre. Maria dice che non è “magia”, che bisogna “lavorare sodo”. Ma ogni giorno ci sono nuovi progressi.

Soluzione collettiva

Il letto di Louis è pieno di adesivi di Super Mario. Il suo personaggio preferito è Sonic, un porcospino blu che corre alla velocità del suono. Come Sonic, anche Louis ha una capigliatura abbondante e non ha paura: “So che ho rischiato di morire quando ero piccolo, ma ora sto bene”.

Anche se Maria ha accettato di somministrare a Louis un medicinale che rappresenta il vertice dell’industria farmaceutica, continua a curare i suoi bambini con agopuntura e oli essenziali, evitando gli antibiotici e rifiutando il vaccino contro il covid-19. Quando le parliamo del costo dello Zolgensma risponde: “È la triste realtà. Ci sono molti bambini che muoiono per questo. Noi abbiamo avuto l’enorme fortuna di non dover pagare. Abbiamo un angelo custode. Lo Zolgensma è ovviamente una cosa bellissima, ma in fin dei conti è il prodotto di un’azienda. È big pharma”.

facebook.com/TeeraFightsSMA, (per gentile concessione delle famiglie, via Paolo Woods)

Nei paesi in cui il farmaco non è rimborsato i genitori dei bambini malati cercano di organizzare delle raccolte di fondi su internet. Basta cercare “Sma” su un social network qualsiasi per trovarsi di fronte un fiume infinito di richieste di donazioni. Famiglie disperate che vendono tutto, scarpe, vestiti, mobili, che postano video drammatici del loro figlio alimentato con un sondino e che respira a fatica. Famiglie polacche, turche o egiziane parlano delle loro raccolte di fondi.

In questo spazio digitale dove l’appello alla solidarietà sembra essere l’ultima risorsa, il sacro Graal è un’iniezione di pochi millilitri. Una pozione di vita da 2,1 milioni di dollari.

Una decina di anni fa Piyush Jain studiava alla Harvard business school di Boston. All’epoca aveva sentito parlare delle prime iniziative di finanziamento partecipativo (il crowdfunding sul modello di Kickstarter o Indiegogo) e di una nuova serie di soluzioni per raccogliere fondi in campo medico (come la statunitense GoFundMe o la piattaforma cinese Qingsongchou). Una volta tornato in India, Jain ha fondato la ImpactGuru, basata su un’idea piuttosto semplice. La maggioranza degli 1,4 miliardi di indiani non ha la copertura sanitaria, e anche la maggior parte della classe media può contare su un’assistenza limitata. La ImpactGuru offre un aiuto nella raccolta fondi per curarsi dopo un incidente automobilistico, per un tumore al seno, un’operazione della cornea o un trapianto di fegato, o per raccogliere i due milioni di dollari necessari ad aiutare una bambina che si chiama Teera.

instagram.com/help_vladyslav_sma, (per gentile concessione delle famiglie, via Paolo Woods)

“In India la nostra ricchezza è il numero. Non mancano gli indiani disposti a dare un dollaro per salvare una bambina”, dice Jain. La ImpactGuru offre ai pazienti tre tipi di servizi, dal semplice uso della piattaforma fino al servizio completo che mette a disposizione un esperto per aumentare le donazioni, un fotografo professionale per migliorare i post e un redattore per scrivere un racconto capace di suscitare generosità. L’azienda organizza eventi pubblici, serate per la raccolta fondi e interviste televisive, e trasmette un enorme numero di messaggi su WhatsApp attraverso delle liste per incoraggiare i versamenti via sms. In cambio di questi servizi, la ImpactGuru trattiene l’8 per cento delle donazioni. “Ma in molti casi negoziamo direttamente con gli ospedali per convincerli a farsi carico del nostro margine”, dice Jain. “Così le famiglie non devono pagare nulla”. I rapporti tra la ImpactGuru e le istituzioni sanitarie sono ottimi. L’azienda monta dei piccoli stand davanti agli ospedali delle megalopoli indiane. I suoi dipendenti attirano i pazienti ancora traumatizzati da una diagnosi devastante e che non hanno i soldi per curarsi.

“Francamente quando i genitori di Teera sono venuti da me non pensavo che saremmo riusciti a raccogliere due milioni di dollari in poche settimane”, ricorda Jain. Quando hanno saputo che Teera soffriva di Sma di tipo 1, i suoi genitori, una coppia della classe media di Mumbai, si sono rivolti alla ImpactGuru, che ha subito lanciato una campagna senza precedenti: star di Bollywood, concerti, manifesti, magliette e post sponsorizzati su Facebook, tutto quello che era necessario perché ogni indiano potesse riconoscere il volto della bambina.

Sul sito dell’azienda Baby Teera appare stesa su un lettino con una tutina rosa e un piccolo punto dipinto in mezzo alla fronte. Migliaia di donazioni le hanno permesso di ottenere la sua dose di Zolgensma. Questo successo ha dato grande fiducia a Piyush Jain: “Niente mi sembra più impossibile. Oggi un’altra famiglia dello stato del Gujarat sta cercando di salvare il suo bambino insieme a noi. Ha invaso la città con un esercito di migliaia di volontari, organizza manifestazioni per bloccare il traffico. Tutti i partecipanti hanno dei codici qr stampati sulle magliette per facilitare le donazioni. Abbiamo ottenuto più di cinquantamila donazioni in venti giorni. Non avevamo mai raggiunto un ritmo simile!”.

instagram.com/brave_ryukoizumisma, (per gentile concessione delle famiglie, via Paolo Woods)

Nessun miracolo

Louis vuole mostrarci Jacky la giraffa, la sua maschera nasale gialla a macchie marroni. Sembra un giocattolo. Ogni volta che Louis fa fatica a respirare, l’infermiere che lo aiuta di notte si alza e gli infila Jacky la giraffa. “Per fortuna abbiamo questo aiuto, altrimenti non potrei dormire. Louis si sveglia diverse volte nel corso della notte”.

Oggi Louis ha sei anni. È stato l’undicesimo paziente a ricevere una dose di Zolgensma, ed è tra quelli che sperimentano gli effetti a lungo termine del farmaco. Maria ha creato un gruppo privato su Facebook, “My little man Louis”, dove giorno dopo giorno racconta con immagini e testi questa odissea moderna. Descrive le sue immense gioie, il piacere di vedere Louis girare da solo la manopola di un tavolo da disegno. Ma anche lo sconforto di passare una giornata tra un fisioterapista e l’altro: “A ogni tappa del suo sviluppo, Louis si indebolisce e perde dei punti di riferimento. Sappiamo che è un passo indietro e poi due in avanti. Anche se sono una persona molto positiva, in questi momenti sono terrorizzata. Continuo a sorridere davanti agli altri, ma dentro di me piango”.

Louis non riesce ancora a camminare. È già stato ricoverato sette volte in terapia intensiva a causa delle sue difficoltà respiratorie. Una parte della sua vita si svolge negli studi di fisioterapia, dove i genitori e i medici lo spingono a superare i suoi limiti. “Può sembrare molto duro, ma non abbiamo rimpianti. Questa prova ha ridefinito le nostre relazioni familiari, senza Louis i nostri figli più grandi sarebbero molto meno sensibili alla sofferenza. Louis è un bambino felice che ama la vita. Bisogna solo capire che non esistono miracoli. Non si fa un’iniezione e via, tuo figlio torna normale. Dopo comincia un lavoro enorme. Lo Zolgensma non è Gesù che cammina sulle acque”.

Zion, 3 anni, un bambino statunitense affetto da Sma (Arnaud Robert e Paolo Woods)

Promesse irresponsabili

L’idea che lo Zolgensma sia una pozione magica che può regalare ai bambini una vita normale è un punto cruciale. La biologa svizzera Nicole Gusset, presidente dell’associazione europea dei malati di Sma, ha una figlia a cui una decina di anni fa è stata diagnosticata la variante 2 della malattia. Vittoria è nata prima che arrivasse sul mercato un trattamento, e comunque non è affetta dalla Sma di tipo 1, l’unica che può essere trattata con il farmaco.

Gusset è perplessa di fronte al modo in cui lo Zolgensma è pubblicizzato. “Quando la Novartis ha messo sul mercato il suo prodotto, ha suscitato nelle famiglie delle aspettative enormi. Famiglie che subito dopo la nascita di un bambino ricevono una diagnosi devastante e devono prendere una decisione così importante nel giro di pochi giorni. È terribile. Queste persone si aggrappano alla convinzione che la terapia potrà guarire il bambino. C’è una tale attenzione per le terapie genetiche che lo Zolgensma è visto come una cura miracolosa”. La biologa si rammarica che la Novartis abbia usato il termine “cura”: “È sbagliato. È vero che nel migliore dei casi il bambino si svilupperà correttamente e potrà anche camminare. Ma ci sono molte possibilità che rimanga gravemente disabile, che abbia bisogno di una sedia a rotelle e di assistenza medica per tutta la vita”.

Ad alcuni bambini viene somministrato più di un trattamento. All’iniezione di Zolgensma si aggiunge uno degli altri farmaci approvati: il Risdiplam della Roche o lo Spinraza. “Al momento non ci sono prove scientifiche che dimostrino la validità di questa combinazione”, avverte Gusset. “Ma quando i genitori si accorgono che un medicinale non basta a migliorare le condizioni dei loro figli, ne provano un altro”. Con costi che saranno difficili da sopportare per i sistemi sanitari, anche nei paesi più ricchi e anche se queste combinazioni dovessero dare dei risultati positivi.

A undici anni la figlia di Gusset si muove in sedia a rotelle: “Ha una buona qualità della vita. Ma l’immagine dei bambini in sedia a rotelle non corrisponde al sogno che i nuovi farmaci alimentano tra i genitori. Per loro è un fallimento”. Gusset osserva che da quando esistono queste terapie rivoluzionarie non ci s’interessa più ai pazienti cronici che dovranno convivere con la malattia. A tutti interessano i bambini salvati. “Questo solleva la questione dell’uso delle risorse pubbliche. Anche i pazienti cronici hanno bisogno di aiuto, di assistenza medica, di sedie a rotelle e di fisioterapia, tutte cose che costano molto. I miti della vita normale e della pillola magica non devono far dimenticare i bambini affetti dalle varianti 2 e 3. I nostri figli invalidi sono utili alla società. Sono avvocati, matematici. Ma nessuno sembra interessarsi a loro”.

Da sapere
Lo Zolgensma in Italia

◆ In Italia, dove l’atrofia muscolare spinale di tipo 1 colpisce tra i venti e i venticinque bambini ogni anno, la somministrazione dello Zolgensma è a carico dello stato: nel marzo del 2021 l’Agenzia italiana del farmaco ha stabilito che può essere rimborsato. Gli accordi tra gli stati e la Novartis vengono negoziati caso per caso e di solito prevedono uno sconto sul prezzo, ma le cifre precise non sono rese note. Una fuga di notizie però ha rivelato che il Giappone paga 1,55 milioni di dollari per ogni dose, il 25 per cento in meno rispetto al prezzo di mercato. Le altre terapie possono essere ancora più care a lungo termine: lo Spinraza (disponibile in Italia dal 2017) costa 125mila dollari a dose, ma dev’essere somministrato tre volte all’anno, mentre il Risdiplam costa mille dollari al giorno.


L’illusione di riparare dei bambini rotti è comprensibile per genitori che vogliono il meglio per i loro figli. Gusset la considera però meno tollerabile quando è alimentata da multinazionali che dovrebbero preoccuparsi delle conseguenze dei loro annunci: “Il minimo che possiamo dire è che la comunicazione della Novartis è ai limiti dell’accettabile”.

Capita spesso che delle famiglie contattino Maria, la madre di Louis, su Messenger. Il più delle volte hanno ricevuto una diagnosi di Sma e vogliono essere rassicurate, vedere in Louis le promesse fatte a loro, sapere se i loro figli potranno stare seduti e camminare. “E ogni volta è un trauma. Vogliono un farmaco che renda i loro bambini normali. È come dire che la vita di mio figlio non merita di essere vissuta. Mio marito non sopporta che dopo aver parlato con noi dei genitori decidano di non far curare il loro bambino e scelgano la morte. Ma io li capisco. Da quando c’è Louis non sono più stata al centro della mia vita. È un sacrificio immenso. Sono felice di farlo, ma non tutti ci riuscirebbero”.

Dalla nascita di Louis, Maria registra su un diario ogni svolta nella vita di suo figlio. È pieno di preghiere rivolte a Dio: “Fa che Louis sia un bambino normale e ne farò un uomo buono che aiuterà gli altri, credo nei miracoli e il mio ometto sarà un miracolo, farà parte della storia della medicina. Starà bene”.

Louis si è stancato di parlare con noi. Ha indossato dei guanti medici, “guarda, ho le mani blu”. Si rotola ridendo nel suo lettino d’ospedale coperto di adesivi di Super Mario e di Sonic il porcospino. Non è un miracolo. È solo vivo. ◆ adr

Questo articolo
Fa parte del progetto Happy pills (Internazionale 1427) di Arnaud Robert e Paolo Woods, che è anche una mostra, un libro (Delpire & co 2021) e un film documentario.

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Questo articolo è uscito sul numero 1446 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati