Il 10 agosto il quartiere di avenida Gaspar de Villarroel a Quito, nel cuore finanziario della capitale dell’Ecuador, si è svegliato paralizzato dalla paura. Diversi commercianti hanno tenuto i negozi chiusi, altri cercavano di tornare ai ritmi di sempre mentre la polizia portava via i 64 bossoli sparati la sera prima davanti al collegio Anderson. È lì che è stato ucciso Fernando Villavicencio, candidato alle presidenziali, in un attentato che per alcuni minuti ha trasformato il quartiere in una zona di guerra e ha sconvolto il paese a meno di dieci giorni dalle elezioni del 20 agosto.

L’agguato fa parte di un’ondata di terrore che ha colpito l’Ecuador. Secondo il presidente Guillermo Lasso, la criminalità organizzata ha lanciato una sfida allo stato di diritto e mostra “la volontà di sabotare” il voto. La campagna elettorale è stata sospesa, ma ricomincerà nonostante l’emergenza decretata da Lasso per sessanta giorni. Nel frattempo, il paese cerca di riprendersi da una serata tragica.

“Mi sono svegliata con una grande tristezza”, racconta Passy Cevallos cercando di trattenere le lacrime. Insieme ad altri, Cevallos è rimasta in attesa davanti all’obitorio per chiedere giustizia. “Hanno ucciso il nostro presidente!”, urlava un gruppo di sostenitori di Villavicencio. L’agguato è avvenuto pochi giorni dopo un’altra aggressione criminale contro il sindaco della città costiera di Manta, Agustín Intriago. “Siamo indifesi, non possiamo fare nulla”, hanno detto i sostenitori.

Nella capitale regnano il silenzio e l’indignazione. Luis Fernández, avvocato di Villavicencio, parla di “crimine di stato” e spiega che al suo cliente “non è stata garantita una protezione adeguata, anche se la polizia aveva ammesso che il rischio di un attentato contro di lui era altissimo”. Fernández riferisce che Villavicencio aveva ricevuto le prime minacce con l’annuncio della sua candidatura: “Ovunque andasse c’erano sempre allarmi bomba. Ogni volta bisognava portarlo via di corsa”. L’avvocato spiega che le minacce non erano state rese pubbliche per non intralciare la campagna elettorale. In ogni caso, aggiunge, “erano assolutamente reali, e i funzionari dello stato ne erano a conoscenza”. Villavicencio aveva denunciato pubblicamente una serie di intimidazioni, che aveva attribuito a un gruppo legato al cartello messicano di Sinaloa.

Il sicario scarcerato

Il politico, che aveva 59 anni ed era un giornalista, è stato ucciso mentre si trovava all’interno del veicolo che lo stato gli aveva fornito per i suoi spostamenti, un furgone bianco non blindato. Il comandante della polizia, Fausto Salinas, ha spiegato che Villavicencio aveva un veicolo blindato di sua proprietà. Lo aveva usato la mattina del 9 agosto per partecipare a un incontro a Guayaquil, ma poi era andato in aereo a Quito, dove era salito sul mezzo messo a disposizione dalle autorità. Villavicencio viaggiava sul furgone, che non era attrezzato per resistere a un attentato, seguito da un’auto della polizia. In una conferenza stampa organizzata dopo l’attentato e presieduta dal ministro dell’interno Juan Zapata, la polizia ha assicurato che il candidato, anche se non aveva la massima protezione, poteva contare su un livello rafforzato di sicurezza. Non è stato chiarito cosa non ha funzionato nella sicurezza né il movente dell’omicidio. I funzionari non hanno accettato domande dai giornalisti, preferendo dedicare gli otto minuti del loro intervento alle sei persone arrestate per l’attentato, di nazionalità colombiana e con precedenti penali. I sospettati erano già stati fermati un mese fa, ma il giudice non aveva convalidato la custodia preventiva in carcere, limitandosi a richiedere che si presentassero periodicamente in tribunale. Nessuno di loro lo aveva fatto.

Anche il sicario di Villavicencio, morto poco dopo l’agguato in uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza, era stato arrestato a giugno per possesso illegale di armi, ma era stato scarcerato. Salinas ha dichiarato che tutti gli accusati facevano parte di organizzazioni criminali attive nel paese, senza però fornire dettagli.

In una delle sue ultime interviste, Villavicencio aveva accusato le autorità di non fare abbastanza per contenere la peggiore ondata di violenza nella storia recente dell’Ecuador. Aveva anche fatto riferimento a un gruppo chiamato i Choneros e alle minacce di un criminale soprannominato Fito. “Se continuo a fare il nome di Fito e dei Choneros mi faranno fuori”, aveva avvertito. Però non aveva voluto fare passi indietro: “Io ci metto la faccia, non ho paura di loro”.

I Choneros sono un gruppo di narcotrafficanti nato alla fine degli anni novanta a Manta e diventato tra i più potenti del paese. Oggi opera nel traffico della cocaina per conto del famigerato cartello messicano di Sinaloa. Tra i suoi avversari ci sono i Lobos, i Tiguerones e i Chone Killers, tre bande che si occupano di logistica per il cartello Jalisco Nueva Generación, il più importante del Messico.

L’Ecuador sta vivendo una campagna elettorale in massima allerta. Lasso ha definito l’agguato “un crimine politico”. Dopo aver indetto tre giorni di lutto nazionale e lo stato di emergenza, il presidente ha sottolineato la necessità di portare avanti il processo elettorale, dichiarando che sospendere il voto significherebbe darla vinta alla criminalità. “Non consegneremo il potere e le istituzioni democratiche al crimine organizzato”, ha promesso. ◆ as

Da sapere
La violenza non si ferma

◆ Il 14 agosto 2023 il partito di centro Construye (Costruisci) ha scelto il sostituto di Fernando Villavicencio, il candidato alle presidenziali del 20 agosto ucciso qualche giorno prima. Si tratta di Christian Zurita, un giornalista di 53 anni, che come Villavicencio si è occupato a lungo di corruzione e criminalità organizzata. Inizialmente era stato fatto il nome di Andrea González, un’ambientalista di 36 anni. Ma temendo che questa candidatura non fosse considerata valida (González era già indicata per la vicepresidenza), si è scelto Zurita.

◆Il 15 agosto il politico Pedro Briones è stato ucciso davanti alla sua casa nella provincia di Esmeraldas, nel nord dell’Ecuador. Briones faceva parte di Revolución ciudadana, il partito di sinistra dell’ex presidente Rafael Correa e di Luisa González, favorita alle presidenziali. El País


Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1525 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati