D opo aver fallito nel tentativo di conquistare l’Ucraina con metodi convenzionali, la Russia ha provato con una guerra dell’energia, cercando di mettere fuori uso la rete elettrica del paese nella speranza che il freddo spingesse i suoi cittadini ad arrendersi. Ora ha lanciato una guerra alimentare. Il crollo della diga di Kachovka, distrutta a giugno, rischia di trasformare le terre dell’Ucraina meridionale in un deserto. Dopo essersi ritirata da un accordo negoziato dall’Onu che consentiva l’esportazione dei cereali ucraini attraverso il mar Nero, la Russia ha annunciato un blocco navale dei porti ucraini e ha lanciato una serie di bombardamenti sulla costa e nell’entroterra, colpendo i porti fluviali di Reni e Izmail e distruggendo 220mila tonnellate di cereali pronti per l’esportazione.

La fine dell’Iniziativa del mar Nero (Black sea grain initiative, Bsgi), che in un anno aveva permesso il transito di 32 milioni di tonnellate di granaglie (più di metà delle esportazioni ucraine) ha fatto salire del 10 per cento i prezzi sul mercato globale. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha invitato Vladimir Putin a riconsiderare la sua decisione, ma nel settore pochi credono che l’accordo possa essere salvato.

Trasformando il cibo in un’arma, la Russia ha fatto ricorso a uno dei modi più antichi di fare la guerra. In passato gli eserciti bruciavano regolarmente i granai del nemico per affamarlo e costringerlo ad arrendersi. L’economia ucraina è ulteriormente danneggiata, mentre la Russia può vendere i suoi cereali a un prezzo più elevato. Ma stavolta la minaccia della fame si trova a migliaia di chilometri di distanza, nei paesi poveri, che potrebbero essere spinti verso una catastrofe alimentare dai prezzi alti e dalla riduzione degli aiuti umanitari.

L’Ucraina produceva metà del grano che il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (World food programme, Wfp) acquistava e inviava nelle aree più bisognose in Afghanistan, Etiopia, Kenya, Somalia, Sudan e Yemen. Era economico e dal porto di Odessa era facile raggiungere lo Yemen e il Corno d’Africa. Ora il Wfp è costretto ad acquistare grano a prezzi più alti e trasportarlo da più lontano. Secondo il portavoce del Wfp, Steve Taravella, a causa della carenza di fondi l’organizzazione ha già dovuto prendere decisioni difficili: “Siamo costretti a scegliere tra ridurre le razioni individuali o il numero di persone da sfamare”.

Costi proibitivi

Oggi più di cinquanta paesi forniscono armi all’Ucraina. Sono riusciti a creare rapidamente un meccanismo per il coordinamento delle consegne, il “formato Ramstein”. Ma finora non c’è stato uno sforzo simile per garantire la sicurezza alimentare, che è stata affidata alle forze del mercato e a una serie di accordi limitati.

Fonte: The Guardian

L’Unione europea ha annunciato l’apertura di alcuni “percorsi di solidarietà” per le esportazioni ucraine. La Croazia e gli stati baltici hanno messo a disposizione i loro porti. Ma i percorsi verso ovest sono complessi e costosi. L’Ucraina ha ereditato il sistema ferroviario sovietico, con binari più larghi rispetto a quelli europei, e al confine i carichi devono essere trasferiti da un treno all’altro.

Cedendo alla pressione dei loro agricoltori, cinque paesi europei hanno vietato l’importazione di prodotti alimentari ucraini. I prodotti che transitano verso altri paesi sono esclusi dal bando, ma al confine polacco si formano comunque lunghe file di camion a causa delle ispezioni veterinarie sul bestiame. Si parla di creare “corridoi verdi” per permettere alle esportazioni ucraine di viaggiare fino al porto di destinazione, ma ancora non è stato trovato un accordo.

Secondo Aleksandr Korolyov di Transferry, una società che gestisce lo stoccaggio a Odessa, esportare cereali attraverso la Germania costa 150 euro a tonnellata in più. Il governo ucraino ha suggerito che i costi aggiuntivi siano pagati da un fondo internazionale, ma non è chiaro da dove arriverebbe il denaro. Korolyov spiega che allo stato attuale non ci sono alternative valide alla Bsgi. L’unica possibilità è usare i porti ucraini e romeni sul Danubio, dove i cereali potrebbero essere caricati su delle chiatte e percorrere i canali navigabili fino al porto di Costanza, in Romania. Lì sarebbero trasferiti su navi più grandi, che proseguirebbero lungo la costa restando nelle acque territoriali romene, bulgare e turche fino al Bosforo. Nel 2022 su questa rotta hanno viaggiato circa venti milioni di tonnellate di cereali. Con qualche investimento si potrebbe arrivare a 35 milioni di tonnellate, più di quelle esportate grazie alla Bsgi.

Ma ci sono diversi problemi. I russi sanno che la rotta del Danubio è un’alternativa praticabile e stanno cercando di bloccarla. I droni lanciati a luglio e agosto contro Reni e Izmail hanno distrutto magazzini e silos e i cereali che contenevano, sufficienti a sfamare 66 milioni di persone per un giorno. Ma l’impatto più significativo è stato sulla fiducia degli equipaggi, degli armatori e degli assicuratori. “Le compagnie esitano ad assicurare le spedizioni senza garanzie russe, ovvero ciò che forniva la Bsgi”, spiega un funzionario delle Nazioni Unite.

Al momento ci sono grandi ingorghi di navi alla foce del Danubio e davanti a Costanza, in attesa di capire se è sicuro salpare. Anche nelle acque costiere, infatti, le navi sono minacciate dalle mine e dai detriti lasciati dall’esplosione della diga di Kachovka. Si potrebbero installare difese aeree intorno ai porti fluviali ucraini, ma i russi potrebbero attaccare in altri modi. Due anni fa due chiatte sul Danubio sono affondate in circostanze misteriose. Secondo alcuni si è trattato di un’operazione organizzata dai servizi russi per capire quanto tempo ci sarebbe voluto per ripristinare la navigazione.

Oltre ai problemi di sicurezza ci sono anche limiti materiali. Il delta del Danubio è già molto trafficato, e alcuni canali sono talmente stretti che le navi possono transitare in un senso solo. Per non parlare della carenza di navi ed equipaggi. Si stanno rimettendo in sesto vecchie chiatte arrugginite e richiamando i timonieri in pensione, ma in Romania i rimorchiatori sono gestiti da un piccolo cartello e le aziende straniere non riescono a entrare nel mercato.

“Il porto di Costanza potrebbe essere ampliato rapidamente”, spiega un investitore europeo. Al momento l’Unione europea e Bucarest ne stanno discutendo, ma a causa della criminalità organizzata il processo di espansione è “lento e corrotto”. Inoltre la rotta sul Danubio dipende dal livello delle acque, che limita le dimensioni delle imbarcazioni. Per garantire il transito i paesi situati a monte – Germania, Austria, Ungheria e Serbia – dovrebbero aprire le chiuse.

Davanti alla complessità e ai costi delle rotte alternative, crescono le pressioni per creare un organismo di coordinamento. Korolyov, come molti funzionari ucraini, vorrebbe che fosse istituito un ente apposito. Ma finora gli Stati Uniti sono stati scettici su questa soluzione. “Non credo che un singolo ente sia la risposta al problema”, ha dichiarato James O’Brien, capo dell’ufficio per il coordinamento delle sanzioni del dipartimento di stato.

Altri avvertono che l’Ucraina, l’occidente e i paesi poveri andranno incontro a conseguenze disastrose se aspetteranno che sia il mercato a risolvere la crisi creata dalla Russia. “L’idea è fare in modo che il mercato funzioni, ma è impossibile se uno stato distrugge una parte del sistema”, spiega Fiona Hill, responsabile della sicurezza alimentare per la Brookings Institution di Washington. “Bisogna applicare ai cereali la stessa logica con cui abbiamo affrontato la crisi energetica causata dalla guerra”. ◆ as

Da sapere
Acque agitate

◆ Il 13 agosto 2023 la marina russa ha messo in atto per la prima volta le minacce rivolte alle imbarcazioni dirette ai porti ucraini: una nave da guerra russa ha sparato dei colpi di avvertimento per fermare un mercantile in rotta verso Izmail, sul delta del Danubio. Nei giorni successivi i porti di Odessa e Izmail sono stati nuovamente colpito da missili e droni russi. Il 4 agosto un attacco ucraino con droni marittimi aveva danneggiato una nave da sbarco e una petroliera vicino al porto di Novorossijsk, uno dei principali punti di partenza delle esportazioni di cereali russi. Reuters


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Questo articolo è uscito sul numero 1525 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati