Si è appena chiuso il festival di Sanremo più corto degli ultimi anni. Non per il minutaggio, colossale come al solito, ma per i pochi episodi memorabili sul fronte musicale. Non sarà stata un’edizione di pura retroguardia, ma il messaggio “mettetevi nei vostri panni” deve aver funzionato per quasi tutti gli artisti in gara: Madame ha portato un buon pezzo ma, a differenza di Voce del 2021, Nel bene e nel male è uno dei suoi tipici singoli da classifica, qualcosa che avrebbe presentato anche fuori da Sanremo, senza un particolare azzardo pensato per un palco diverso (che invece era il punto forte di Voce).

Pure Lazza ha fatto Lazza, con il merito d’inserire gli spezzoni più interessanti del repertorio grazie alla produzione di Dardust e Davide Petrella, una specie di finto sample anni novanta che riporta Moby nel cuore.

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Mengoni si è calato dentro se stesso e ha vinto con il bignami della canzone sanremese, senza troppi aggiornamenti urban, trainando un’edizione di binarismi e poli opposti: lui parla di Due vite specchiate e scisse, Elodie di Due che si sono lasciati senza lasciare spazio a troppi compromessi, e in generale nelle canzoni si è percepita una scarsità e debolezza di fondo a vantaggio di relazioni solipsistiche o molto strette: perfino I cugini di campagna, con un bel pezzo scritto da La Rappresentante di lista, cedono al pop elettrificato della malinconia, con l’appello a non restare soli.

In queste serate girava un monito sul pensarsi libere, ma la cosa più interessante, sul piano delle canzoni, sarebbe stato ascoltare artisti che si pensassero diversi, almeno per un attimo. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1499 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati