Cultura Suoni
Cousin
Wilco (Annabel Mehran)

Fare qualcosa di diverso dopo quasi trent’anni di carriera non è mai facile. Ma con l’aiuto di un nuovo produttore con una nuova prospettiva su quello che potrebbe essere il loro suono, gli statunitensi Wilco si sono avventurati in acque ghiacciate per il loro tredicesimo album in studio. Spinto dalle idee della produttrice e cantautrice gallese Cate Le Bon, capace di trovare un punto d’incontro con la poetica malinconia del leader della band Jeff Tweedy, il suono del gruppo si è decisamente rinnovato. L’album si apre con un torbido suono di chitarra prima che Tweedy emerga dalla nebbia: in Infinite surprise la band viene gettata tra acque tranquille e formicolii di dissonanza. La maggior parte del disco è pensata per costruire progressivamente tensione, con una lenta salita verso il climax del brano che dà il titolo al lavoro ed è il centro tonale di tutto: Cousin è un teso tira e molla che riflette sull’identità individuale, mentre Tweedy canta “Sei mio cugino / mio cugino / sono te”. La batteria di Glenn Kotche è confinata e lasciata libera solo nei momenti più rari. Dopo aver lottato contro la solitudine e l’alienazione, Tweedy ci lascia con un pizzico di ottimismo nella conclusiva Meant to be. Se Cruel country del 2022 era un cenno alle radici country della band, Cousin rappresenta un al­lontanamento da quelle origini in favore di nuovi lidi sonori.
Clay Geddert, Exclaim

Scarlet
Doja Cat (Arturo Holmes, Wireimage/Getty)

L’album senza ospiti di Doja Cat vorrebbe dirne quattro a chiunque ha sostenuto che lei non è davvero una rapper. Scarlet afferma l’abilità di Doja nel rappare e il suo diritto di avere molti talenti. Ma è un album ripetitivo, che abbina interpretazioni non sorprendenti dell’hip-hop tradizionale con risposte taglienti agli insulti ricevuti negli ultimi mesi, anche dai suoi fan. Concettualmente, l’album è a metà strada tra Anger management di Rico Nasty e Reputation di Taylor Swift, come se la sua autrice avesse sempre qualcosa da dimostrare. Dopo le iniziali Paint the town red e Demons, Scarlet è un purgatorio di canzoni dal ritmo simile che suonano come echi progressivamente meno profondi dell’orgoglio e della spavalderia dei già citati singoli. La performance vocale di Doja Cat è dinamica, ma la sua scrittura rende i pezzi poco più che degli insulti da parco giochi. La già citata Paint the town red è un meritato successo di Halloween e il ghigno con cui Doja Cat dice “preferirei essere famosa” fa pensare all’Eminem dell’era Slim Shady. Ma le tinte horrorcore che tanto avrebbero fatto bene a questo disco finiscono lì. Scarlet dovrebbe essere un manicomio, e invece è come un viaggio nella sala d’attesa della clinica dell’hip-hop.
Anna Gaca, Pitchfork

Vivaldi: Le quattro stagioni e altri concerti per violino

No, probabilmente il mondo non ha bisogno di un altro disco delle Quattro stagioni di Vivaldi. Però forse possiamo aggiungerne uno: questo. È un po’ come un parente che ti sta simpatico e, anche se lo vedi solo una volta all’anno, quando c’è è sempre divertente. In questo cd c’è più di un’ora di grande divertimento e anche di entusiasmo, perché insieme ad alcune delle opere più familiari di Vivaldi ce ne sono altre mai registrate prima. Arrivo a dire che sono le Quattro stagioni più impressionanti che ci siano su disco. Provate il Presto dell’Estate: non avete mai sentito le sue scale suonate con una furia così abbagliante e una velocità tanto vertiginosa. Oppure l’Allegro di apertura dell’Inverno: vi verranno i brividi anche se fuori ci sono quaranta gradi. Se siete come me e vi siete chiesti dove sono i grandi strumentisti ad arco italiani – i discendenti di coloro che suonarono e composero gran parte della musica che è ancora parte del repertorio standard, quelli che hanno inventato le forme emulate da tutto il resto d’Europa – basta ascoltare Giuliano Carmignola e i suoi colleghi. Non si limitano a suonare questa musica, la possiedono.
David Vernier, ClassicsToday

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1531 - 29 settembre 2023

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