Raramente i ministri del governo di Giorgia Meloni sono andati cosi spesso avanti e indietro nel Mediterraneo. Dopo diverse visite in Nordafrica (tre a Tunisi) accompagnate dalla promessa che l’Italia sarebbe riuscita a istituire un blocco navale per impedire le traversate di migranti, a settembre c’è stato un record di sbarchi a Lampedusa. Tra gennaio e settembre di quest’anno il ministero dell’interno italiano ha registrato l’arrivo di 115mila persone. Era dal 2016 che non si vedeva un afflusso simile. Nel 2022 i migranti sbarcati erano stati 62mila. A differenza del passato, però, Giorgia Meloni e il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini non descrivono più la questione migratoria come una minaccia incontrollabile o un’“invasione”. “L’Italia non può permettersi di far fronte a un’estate di sbarchi”, twittava Meloni nel giugno 2022.

Un anno dopo, mentre il centro di accoglienza di Lampedusa, che ha una capienza di quattrocento posti, deve gestire settemila persone, Giorgia Meloni sembra pesare meglio le parole quando si rivolge all’opinione pubblica. Anche se in Italia la retorica contro i migranti raccoglie molti consensi, è soprattutto in Africa che la leader del governo italiano cerca di farsi sentire.

Sentimento antifrancese

Il 25 ottobre 2022 alla camera dei deputati Meloni ha detto di avere in mente “un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area subsahariana. Ci piacerebbe così recuperare, dopo anni in cui si è preferito indietreggiare, il nostro ruolo strategico nel Mediterraneo”, in cambio del controllo delle frontiere. Mentre in molti stati dell’Africa francofona si diffondono sentimenti antifrancesi, Roma si presenta come un’alternativa alla politica di Parigi e dei suoi alleati in Africa, spesso definita paternalista e neocolonialista.

Tra l’Italia di Giorgia Meloni e la Francia di Emmanuel Macron, indebolita dai recenti colpi di stato nel Sahel, le tensioni in materia di politica africana si toccano con mano. Le ultime vicende in Niger, dove il presidente Mohamed Bazoum è stato rovesciato da un colpo di stato il 26 luglio, ne sono una prova. In una recente intervista all’ italiana Agenzia Nova, l’ambasciatore algerino a Roma Abdelkrim Touahria ha dichiarato che l’Italia potrebbe dare un “grande contributo” allo sforzo algerino per risolvere la crisi nigerina in modo pacifico ed evitare un intervento militare della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas), sostenuta dalla Francia.

“Il contributo dell’Italia è molto importante, in particolare nel contesto dell’ultima conferenza internazionale sullo sviluppo e le migrazioni che si è tenuta a Roma. Questa iniziativa italiana è strettamente legata a quello che succede in Africa”, ha dichiarato Touahria. A gennaio Meloni era andata ad Algeri per negoziare accordi energetici privilegiati, accompagnata da Claudio Descalzi, presidente dell’Eni, la principale partner della compagnia petrolifera algerina Sona­trach.

Meloni è andata tre volte a Tunisi in meno di un mese, ogni volta accompagnata dal presidente del consiglio olandese Mark Rutte e dalla presidente della commissione europea Ursula von der Leyen. Il 16 luglio del 2023 ha ottenuto la firma di un accordo tra Unione europea e Tunisia. Un “successo comune ottenuto grazie alla mediazione dell’Italia”, afferma una fonte diplomatica a Roma. In Europa però ci sono state delle voci critiche.

Giorgia Meloni è andata tre volte a Tunisi in meno di un mese

Memoria coloniale

Secondo il quotidiano tedesco Süddeut­sche Zeitung, che cita una nota interna del ministero degli esteri tedesco, Berlino non ha apprezzato di essere stata esclusa nei negoziati. Questa protesta avrebbe trovato un orecchio attento nella direttrice generale del servizio giuridico del consiglio europeo Emer Finnegan, che potrebbe rimettere in discussione la validità dell’accordo, anche se è stato presentato come un modello.

Il consiglio europeo e il servizio diplomatico dell’Unione europea sarebbero stati esclusi dalle discussioni, così come i rappresentanti della società civile. In un comunicato del 14 settembre, il mediatore europeo ha chiesto alla Commissione europea se “fosse stata fatta una valutazione dell’impatto sui diritti umani prima di firmare il protocollo”. Diversi eurodeputati, tra cui il presidente del gruppo politico Alleanza progressista dei socialisti e democratici, hanno chiesto il ritiro dell’accordo voluto da Meloni. Lo stesso giorno sei politici del gruppo non hanno ottenuto il visto di ingresso a Tunisi. Il 23 luglio, una settimana prima della firma dell’accordo, Meloni accoglieva a Roma i leader di diversi paesi dell’Africa settentrionale, del Medio Oriente e del Golfo. Nelle foto ufficiali della conferenza sulle migrazioni e lo sviluppo, organizzata dal governo italiano, lei appariva sorridente, seduta tra i suoi alleati, l’emiratino Mohamed Ben Zayed e il tunisino Kais Saied, che aveva suggerito l’idea di questo vertice.

La conferenza di Roma, annunciata all’ultimo momento, ha rafforzato l’immagine che la presidente del consiglio cerca di costruirsi da quando è al governo: una leader amica dei capi di stato africani, sostenitrice di una visione non coloniale delle relazioni diplomatiche tra la sponda nord e sud del Mediterraneo. In Africa Roma vuole adottare “una cooperazione paritaria, un approccio che non deve essere paternalistico, che deve aiutare queste nazioni, accompagnarle, cercare di capire le loro difficoltà, intervenire su quelle difficoltà”, ha dichiarato alla conferenza.

Queste frasi non sono nuove e riecheggiano i discorsi contro la Francia che Meloni pronunciava prima di essere nominata presidente del consiglio. “Fratelli d’Italia tenta da tempo di accendere i riflettori su questioni neocoloniali che, attraverso le migrazioni di massa, ci toccano da vicino”, spiegava nel febbraio 2019 durante un incontro intitolato “L’economia delle ex colonie francesi dell’Africa e il franco cfa”. Qualche mese dopo, durante una trasmissione televisiva aveva tirato fuori dal portafoglio una banconota: “La conoscete? È la moneta coloniale francese, il franco cfa, usato per sfruttare le risorse delle nazioni africane”, aveva spiegato davanti alle telecamere. “Ed ecco un bambino che lavora in una miniera d’oro in Burkina Faso, uno dei paesi più poveri del mondo”, aveva aggiunto indicando una foto.

Cavalcando queste dichiarazioni, tradotte in inglese, in francese e in arabo e diventate virali sui social network, Meloni riesce a far dimenticare le sue posizioni apertamente razziste e ostili ai migranti, trasformandosi in una paladina dei diritti dei popoli africani francofoni.

È la nuova icona della lotta contro il neo­colonialismo in Africa? C’è da dubitarne. Nel libro Mafia nigeriana. Origini, rituali, crimini, di cui è coautrice, la leader del governo italiano difende un’idea apertamente razzista dei nigeriani e più in generale degli africani che vivono in Italia. Parla di “richiedenti asilo illegali” e non esita a denunciare la “sostituzione etnica in corso” nel suo paese, provocata da popoli “retrogradi”, “che fanno ancora ricorso alla stregoneria”.

Nell’aprile 2023 Meloni ha simbolicamente scelto l’Etiopia, un’ex colonia italiana, per annunciare il suo “Piano Mattei per l’Africa”, una serie di accordi energetici che puntano a rendere l’Italia “una cerniera naturale e un ponte energetico tra il Mediterraneo e l’Europa”. Il modello di cooperazione bilaterale che propone e che intende replicare in tutto il continente prevede più fondi ed equipaggiamenti per le forze di difesa e di sicurezza dei singoli stati in cambio di un’intensificazione della lotta all’immigrazione e di nuovi accordi energetici vantaggiosi per Roma.

Ma la novità di Meloni è che con la retorica del suo governo cancella la memoria coloniale italiana. A proposito di questo fenomeno lo storico italiano Angelo Del Boca parlava di “italiani brava gente”: nonostante la violenza del sistema coloniale, gli italiani sono convinti di essersi comportati da “brave persone”. Questa convinzione non è mai stata messa in discussione e orienta le scelte politiche dell’attuale governo.◆ gim

Arianna Poletti è una giornalista italiana che vive a Tunisi. Il 29 settembre sarà a Ferrara al festival di Internazionale per parlare dell’esportazione di energia solare dal Nordafrica all’Europa attraverso cavi sottomarini.

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Questo articolo è uscito sul numero 1531 di Internazionale, a pagina 41. Compra questo numero | Abbonati