Cultura Suoni
Debí tirar más fotos
Bad Bunny (Eric Rojas)

Con cinque album in studio in poco più di sei anni, Bad Bunny ha fatto musica per le masse senza sacrificare la sua cultura. Ora, compiuti trent’anni, si è fermato a riflettere su questo momento senza precedenti: un’epoca in cui l’urbano è salito sul palcoscenico globale e rischia di essere vittima della sua stessa mercificazione. Avrebbe potuto reclutare i più grandi nomi della musica latina per inseguire altri Grammy, invece è tornato nella sua amata Puerto Rico, stringendo un legame più profondo con la sua comunità. In un momento politico difficile, dopo la vittoria di Donald Trump e la sconfitta del Partito indipendentista portoricano alle elezioni del 2024, il disco in studio Debí tirar más fotos (avrei dovuto fare più foto) è una dichiarazione coraggiosa, una testimonianza innovativa della sua evoluzione artistica. Il brano d’apertura, Nuevayol, si accende con un campionamento della hit salsa del 1975 Un verano en Nueva York, prima d’infiammarsi in un’esplosione di follia dembow dominicana in una sapiente collisione tra passato e presente. Forse il risultato più impressionante ottenuto da Bad Bunny con questo lavoro è che le generazioni più anziane hanno cominciato ad aprezzare davvero l’urbano. Con la sua applicazione equilibrata di riferimenti intergenerazionali, Debí tirar más fotos sta colmando un divario. Questo album è nostalgico per gli anziani portoricani ma ispira anche le nuove generazioni a portare avanti i loro insegnamenti. Recuperare le radici. È lì che si trova la medicina.
Tatiana Lee Rodriguez, Pitchfork

Perverts
Ethel Cain (Silken Weinberg)

Nel suo secondo album, Ethel Cain, nome d’arte di Hayden Anhedönia, contraddice chi l’aveva etichettata come la nuova beniamina dell’indie e gli offre novanta minuti di rumore e voce spettrale. Del suo debutto Preacher’s daughter prende solo gli angoli più bui. Il brano di apertura è una versione distorta e disturbante di un inno cristiano che dura dodici minuti. Housofpsychoticwomn evoca un’energia simile, dove le uniche parole comprensibili tra le interferenze sono “I love you” e “I do”. In tutto il disco non c’è un attimo di silenzio: echi di graffi, passi, rumori elettrici e strane frequenze sono sempre in agguato. Il momento migliore è Pulldrone, una raggelante discesa nella follia in spoken-word. Perverts non è una pillola facile da mandare giù per i fan che l’avevano amata con American teenager. E va bene così, non è per tutti. Non è un album facile da ascoltare, ma è eccezionale.
Vicky Greer, Clash

Il viaggio di Daniil Trifonov nella vita si riflette anche nella sua musica. Nato a Nižnij Nov­gorod, ha cominciato come un interprete del repertorio russo. Ora vive negli Stati Uniti e ha abbracciato la musica statunitense in tutta la sua varietà. Il suo ultimo album, My american story. North, spazia tra concerti, jazz e swing, colonne sonore di film, modernismo e minimalismo. La spina dorsale sono due concerti, entrambi con Yannick Nézet-Séguin alla direzione della Philadelphia Orchestra. Il concerto di Gershwin, il più popolare di tutti quelli statunitensi, ottiene un’esecuzione elettrica, meno profumata di blues di altre ma di grande virtuosismo. Quello di Mason Bates è stato scritto proprio per Trifonov e questa registrazione è stata fatta in occasione della sua prima, nel 2022. Alcuni passaggi sono un po’ sconnessi, ma è un’opera piena d’idee brillanti e personali, libere da qualsiasi rigore stilistico: è solo musica americana, in tutto e per tutto. Tra i pezzi solistici ci sono le variazioni di Aaron Copland, la delicata China gates di John Adams e l’intrigante Fantasia su un ostinato di John Corigliano. Più temi di colonne sonore, diversi brevi numeri jazz, un abbagliante arrangiamento da Art Tatum e 4’33” di John Cage nella metropolitana di Manhattan. È una meraviglia.
Richard Fairman, Financial Times

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1597 - 17 gennaio 2025
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