La notte di capodanno del 1972 una barca arriva al faro di Maiden Rock per riprendere l’assistente guardiano e padre di famiglia Bill Walker dopo un turno di due mesi. Ma Walker, il guardiano capo Arthur Black e il loro apprendista Vincent Bourne sono tutti scomparsi senza lasciare traccia, lasciando la porta sbarrata, la tavola apparecchiata e gli orologi fermi alle nove meno un quarto. Vent’anni dopo, nel tentativo di risolvere il mistero, un giovane scrittore di storie di avventure marittime viene a intervistare le donne che i tre guardiani del faro si sono lasciati alle spalle. Così si apre il superbo romanzo di debutto di Emma Stonex. L’orgogliosa e pragmatica Helen, la nervosa e depressa casalinga Jenny e l’affannata madre Michelle si sono tenute a distanza nel corso degli anni. Ognuna difende la reputazione del marito e ha le sue ragioni per tacere. Intrecciando le storie individuali degli ultimi giorni degli uomini con i resoconti delle donne sulle loro vite di allora e di oggi, la narrazione dal ritmo impeccabile gira intorno alla terribile verità centrale all’interno del faro abbandonato. Ispirato alla misteriosa scomparsa di tre guardiani del faro al largo delle Ebridi nel 1900, questo è un giallo, un romanzo dell’orrore, una storia di fantasmi e un’indagine psicologica incredibilmente avvincente. È anche un pezzo di scrittura perfetto. Stonex evoca con sottile intelligenza la follia che può crescere in uno spazio ristretto, ma non perde mai di vista l’intorpidimento del quotidiano, e ciò che serve per andare avanti sotto pressioni intollerabili. Christobel Kent,The Guardian
In altri tempi il Cile era, più di ogni altro stato latinoamericano, il paese dei poeti. Poi la dittatura di Pinochet devastò il loro mondo. Quando tornò la democrazia, tuttavia, c’erano ancora poeti in abbondanza, come se essere un poeta cileno fosse uno stile di vita. Alejandro Zambra, nato a Santiago nel 1975, ha pubblicato un paio di libri di poesie. _Poeta cileno _narra la vita quotidiana di un poeta minore e si legge tutto d’un fiato, perché la narrazione è sospinta dall’intrigo di dettagli secondari che alimentano lo scorrere della trama: una relazione sessuale e poi romantica con una donna, incerta, a tratti fallita; una coppia instabile, un felino di nome Oscurità che invecchia e si ammala, il bambino e poi l’adolescente che ama mangiare cibo per gatti. Una lunga digressione con una studiosa statunitense di poesia cilena amplia il quadro: si citano nomi e luoghi della vita dei poeti, le loro ansie, le loro paure e i loro desideri. Zambra ha scritto il libro non in Cile, ma in Messico, dove ha vissuto negli ultimi anni. La libertà dello sguardo e la distanza gli permettono di tenersi in equilibrio su un terreno scivoloso. Elvio E. Gandolfo, La Nación
Di norma, se sei il protagonista di un romanzo di Patrick McGrath, è probabile che tu soffra di qualche malattia mentale, spesso con un contorno di omosessualità repressa. Entrambi questi elementi sono debitamente presenti anche qui, insieme a due delle sue preoccupazioni più recenti: il fascismo e i fantasmi. In La lampada del diavolo, il fantasma fascista che perseguita il protagonista Francis McNulty è molto noto. Da giovane, Francis ha combattuto con le Brigate internazionali nella guerra civile spagnola. Nel 1975, da vecchio, vive a Londra e riceve visite dal generale Franco. Il che potrebbe essere abbastanza misterioso anche se Franco non fosse ancora (quasi) vivo a Madrid. Francis deve preoccuparsi della sua sanità mentale? Certamente sua figlia Gilly pensa di sì, trattandolo con la consueta miscela di tenerezza e condiscendenza mostrata agli anziani. Per il lettore, tuttavia, le cose non sono così chiare. Francis ha momenti di senilità, ma la sua malattia mentale sembra abbastanza leggera. In effetti, il romanzo lascia aperta la possibilità che i suoi avvistamenti di Franco possano essere in qualche modo reali: se non un prodotto del soprannaturale almeno del tradizionale rivale del soprannaturale, il subconscio. Anche se _La lampada del diavolo _non è lungo, la sensazione è che avrebbe potuto offrire ancora di più se fosse stato più breve. James Walton, The Spectator
Un aspetto sorprendente di Promesse, esordio di Bryan Washington, è che non conosciamo mai il vero nome di uno dei due protagonisti. Mike è un nome che ha adottato nell’infanzia, dopo che lui e i suoi genitori erano emigrati negli Stati Uniti dal Giappone. Un senso di auto-estraniazione pervade Promesse, che è incentrato sulla relazione tra Mike e il suo ragazzo nero, Ben. All’inizio, mentre Mike è andato a Osaka per curare il padre malato, che ha abbandonato la famiglia quando Mike era un ragazzo, la madre di Mike, Mitsuko, è in viaggio da Tokyo a Houston per vederlo. Dovrà trascorrere la sua visita con Ben. Fin dall’inizio, Washington espone i vari fattori che contribuiscono a determinare chi siamo: etnia, nazionalità, orientamento sessuale, famiglia. Poi questi vettori si aggrovigliano intorno a Mike e Ben. Sono entrambi alienati da padri fannulloni che non riescono ad accettarne l’omosessualità. Uno dei grandi temi di Promesse è l’immenso potere che i genitori esercitano sui loro figli, soprattutto il loro potere di ferire. Il romanzo ci lascia con la sensazione che i nostri veri sé, come i nostri nomi, non sono necessariamente attribuiti alla nascita. Sono anche scelti. Ryu Spaeth, The New York Times
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