Transito è un romanzo d’iniziazione femminista e d’ingresso nell’età adulta, ma è anche il diario di un’adolescente selvaggia. Tra narrazione e speculazione saggistica, la prosa di Aixa de la Cruz è una scrittura impura dell’io, che vuole abbracciare tutto. A tratti il libro può sembrare una rassegna di status e tweet di una millennial, un accumulo di letture e appunti, di teorie appena abbozzate e di pensieri veloci, una trafila di colpe e di contraddizioni, nonché di riflessioni sui problemi etici dell’autofiction. Una voce che sfiora le acque come un surf e ha paura di non riuscire ad arrivare alla profondità delle cose. Ma all’improvviso accade che l’ego esca dalle sue fantasticherie e incontri gli altri; allora la voce letteraria si fa carne per mostrarci le sue cicatrici e ferite. Come De la Cruz, il lettore scopre la propria vulnerabilità nel dolore degli altri. Perché la vita, ci dice la scrittrice di Bilbao, è fatta di corpi feriti, di violenza e di desiderio, e questo non è superficiale o generazionale, ma una verità universale. Transito è la storia di una donna che arriva ai trent’anni e si scopre mortale e in perenne conflitto. Aixa de la Cruz decostruisce i desideri imposti dalla nostra cultura per accettare le proprie pulsioni senza scandalo e senza paura; scrive per perdonare, a nome suo e di tutte le sue compagne, le donne possedute dall’ideologia maschilista che odiano tanto le altre donne. Il romanzo smantella la tassonomia patriarcale dei generi e mette in discussione i legami tra biologia, famiglia e amore. L’autrice guarda la violenza negli occhi in modo che le faccia male e non sia solo oggetto di una tesi di dottorato. Per queste ragioni Transito non dovrebbe essere letto come un esercizio letterario di auto-finzione, ma piuttosto come un brillante saggio femminista sul perdono dei peccati o una preghiera millennial che invita a celebrare la vita come conflitto e come cambiamento. Begoña Méndez, El Mundo
In Boulder, il secondo romanzo della scrittrice catalana Eva Baltasar, la protagonista compie due viaggi. Uno, esteriore, prima a sud del Cile e poi in Islanda. L’altro, interiore, è rivolto alla ricerca del perfetto stato di solitudine. La protagonista si è rassegnata a essere conosciuta con il nome di Boulder, il nome con cui l’ha battezzata la sua partner sentimentale, Samsa. Dopo dieci anni di convivenza, Samsa vuole avere un figlio. Insieme decidono, più Samsa che Boulder, di ricorrere alla fecondazione assistita. Da lì nascerà una bambina. Qualche tempo dopo, Boulder lavora come inserviente di cucina. Vedrà la figlia come legalmente concordato. Nel mezzo ci sarà qualche trasgressione a una fedeltà difficile da mantenere, senza costi che non siano la sensazione di vuoto che ne segue. Eva Baltasar crea uno spazio a immagine e somiglianza delle sue protagoniste. Donne che difendono non tanto la libertà del proprio corpo quanto la libertà, con tutti i rischi morali, del corpo femminile. In _Boulder _c’è un riferimento a Kierkegaard. Il filosofo stava per sposarsi, ma si tirò indietro perché si era accorto che quella donna lo avrebbe reso l’uomo più felice del mondo. E non era preparato per un futuro del genere. Neanche le donne di Baltasar sono programmate per la felicità convenzionale. La loro lucidità le rende consapevoli che l’unica cosa reale del sesso sono i corpi. Il resto è un miraggio. Prima di essere romanziera, Baltasar è poeta. E si vede. Uno dei nomi importanti della narrativa catalana contemporanea.
J. Ernesto Ayala-Dip, El País
Il grande azzurro, il nuovo romanzo di Ayesha Harruna Attah, è la storia di due sorelle gemelle, separate quando il loro villaggio viene raso al suolo. Siamo nel 1890, la schiavitù è tecnicamente illegale, ma la sua eredità si fa sentire ancora pesantemente. In Costa d’Oro, colonia britannica dell’Africa occidentale, Hassana si convince che il suo paese ha sempre fatto pessimi affari con gli europei, e si lascia coinvolgere nell’attivismo politico; in Brasile, Vitória scopre cosa significa ricevere gli dei durante le danze cerimoniali come parte della sua iniziazione a una religione ibrida che è nata come risultato della tratta atlantica degli schiavi africani. Ancora legate da sogni condivisi, le ragazze desiderano fortemente ricongiungersi, anche se crescendo superano la fase in cui erano definite dalla loro altra metà. Una storia memorabile ed evocativa su sorellanza e identità. Claire Hennessy, The Irish Times
Anni fa Aki Shimazaki, giapponese che vive in Canada e scrive in francese, ha inaugurato con Azami una nuova serie di romanzi. Questa è la sua specialità: brevi romanzi misteriosi i cui personaggi sono collegati, come pure le trame, senza che noi sappiamo alla fine di un libro quale filo sarà riannodato nel successivo. Mitsuko è bellissima, madre single di un bambino sordo. Gestisce una libreria specializzata in filosofia e il venerdì sera diventa entraîneuse in un locale. Suo figlio è al centro della storia. Come mai è meticcio? È il suo figlio biologico? Il personaggio di Mitsuko è accattivante. È delicata, imperiosa, bugiarda e infastidita quando sente in un’altra donna “una fragilità tipicamente femminile”. Pensavamo che Mitsuo, il suo amante nel romanzo precedente, avrebbe occupato tutto lo spazio anche qui, perché sembravano amarsi: “La nostra relazione è durata solo pochi mesi, ma mi ha lasciato bei ricordi”. È tutto. Addio, Mitsuo. Christophe Forcari, Libération
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