Cultura Suoni
Weirdo
Emma-Jean Thackray (Madam Zail)

In genere in un album ispirato da un lutto ci si aspetta un rallentamento, per costruire una specie di solennità che accompagna fasi emotive più pesanti. Emma-Jean Thackray, invece, preferisce un approccio decisamente inatteso. Inizialmente concepito come una riflessione sulla neurodivergenza dell’artista britannica, Weirdo è diventato altro dopo la morte improvvisa del suo compagno nel 2023. Questi brani descrivono problemi concreti come la perdita d’interesse per qualsiasi cosa, pulsano e vibrano di un’energia che suggerisce quanto la gioia di comporre non possa essere intaccata dalla sofferenza. Weirdo è un punto d’arrivo notevole per Thackray: l’ha completamente scritto e registrato nel suo studio casalingo, confrontandosi con generi diversi come il jazz, il funk, il soul, l’hip-hop e il rock. I risultati sono esaltanti e difficili da etichettare. In diciannove canzoni, Weirdo presenta una gamma di suoni potenzialmente sovrabbondante, ma è impossibile trovare momenti superflui: musicalmente ispirato in modo eclettico, profondo dal punto di vista tematico, questo disco è un trionfo.
Janne Oinonen, The Line of Best Fit

Tall tales
Mark Pritchard e Thom Yorke (Pierre Toussaint)

Thom Yorke e Mark Pritchard si sono incontrati per la prima volta nel 2012, durante una pausa del tour dei Radiohead a Sydney. Yorke, affascinato dai suoni elettronici di Pritchard, gli ha detto semplicemente: “Mandami quello che vuoi”. Quasi dieci anni dopo, durante la pandemia, hanno cominciato a lavorare a Tall tales. Yorke ha preso delle basi di Pritchard, le ha stravolte con sintetizzatori, bassi e stranezze vocali, per poi rimandargliele. Così è nato un progetto basato sul gioco e la libertà creativa. Metà del disco è puro divertimento: The white cliffs ricorda gli Air, The men who dance in stag’s heads rielabora i Joy Division in chiave medievale. In The spirit voce e synth si fondono in armonia, con un lirismo quasi ironico: “Vi auguro il meglio / prego per la pace”. Il resto è più ostico: l’inizio è lento, con pezzi come A fake in a faker’s world e Ice shelf che paiono troppo oscuri. Ma scavando sotto la superficie, emergono brani brillanti come Gangsters e Happy days, bizzarri ma irresistibili. Yorke gioca con la sua voce, mentre Pritchard costruisce paesaggi sonori pieni d’atmosfera. Tall tales non vuole essere spettacolare, ma è un viaggio tra intuizioni elettroniche e libertà espressiva. Un incontro tra due artisti che, come nel loro primo pasto insieme, si prendono poco sul serio, ma con grande rispetto reciproco.
Jazz Monroe, Pitchfork

Ravel fragments

Nel 2015 per la sua integrale di Ravel Bertrand Chamayou aveva scartato i pezzi giovanili del compositore e le sue trascrizioni di La valse e Daphnis et Chloé. Qui il pianista fa scivolare tutto in un caleidoscopio allestito per l’occasione: i tre arrangiamenti realizzati da Ravel si mescolano a omaggi che gli furono dedicati dai suoi amici e a musiche che ha ispirato ad artisti più vicini a noi. Di Trois beaux oiseaux du paradis si ammira il colore, la Danse légère et gracieuse de Daphnis s’illumina di tinte pastello e La valse volteggia con ebbrezza straordinariamente graduata, con bassi di una profondità che suggerisce la voluttà come l’angoscia. Colpisce anche la cura nella sequenza dei pezzi: La Chanson de la mariée è come portata dalle vibrazioni del vento verso De la nuit (1971) di Sciarrino, che s’intreccia con i ricordi di Ondine e Scarbo, e a queste ombre rispondono quelle del Nocturne di Daphnis. Il Menuet spectral (1938) di Ricardo Viñes è un saluto malinconico all’amico d’infanzia. Poi i teneri misteri di Elegia (1945) di Xavier Montsalvatge ci portano con dolcezza a Signets (1987) di Betsy Jolas, come la risonanza di vetro di Pour tous ceux qui tombent (1997) di Frédéric Durieux e le citazioni evanescenti di Prélude n. 5 di Tans­man (1921), Hommage di Honegger (1920) e Mensaje (1929) di Joaquín Nin.
François Laurent, Diapason

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1615 - 23 maggio 2025
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