Cultura Suoni
Michelangelo dying
Cate Le Bon (H Hawkline)

“Non è comoda, e non è particolarmente bella”, diceva nel 2019 Cate Le Bon della sedia costruita mentre preparava il disco Reward, dopo un anno immersa nell’ascolto di David Bowie e in un corso di design. Lo stesso vale per la sua musica: non consola, non esplode in ritornelli facili, ma provoca riflessioni profonde e spesso dolorose, offrendo il piacere di un’arte che non dev’essere comprensibile o allegra. “Non c’è ragione, ci sono ripetizione e caos”, spiega a proposito di Michelangelo dying, un album che funziona come un quadro imponente: ti cattura subito, senza logica apparente. In brani come Love unrehearsed si evocano i pittori rinascimentali e romantici. Le melodie, stratificate e raffinate, si spingono sempre verso un culmine drammatico o contemplativo. Accanto ai richiami a Bowie, ai Talking Heads e a Nico, emergono ombre di Siouxsie Sioux, Kate Bush, Elizabeth Fraser e John Cale, la cui voce roca appare in Ride. Il sassofono di Euan Hinshelwood è la spina dorsale del disco, abrasivo in Mothers of riches, sottile in Heaven is no feeling. Michelangelo dying nasce da una crisi personale: una separazione, la malattia e la stanchezza. Rasati i capelli, Le Bon affronta il dolore trasformandolo in qualcosa di più grande di lei, portando avanti le intuizioni dei suoi maestri senza paura. “È stato disorientante”, ammette. Ma quando chiede “ne è valsa la pena” nell’enigmatica Is it worth it (Happy birthday)?, la risposta spetta a noi.
Igor Bannikov, Clash

Saving grace

Collaborazione, umiltà e un’immersione nel folk, blues e gospel statunitensi attraversano l’opera di Robert Plant dopo i Led Zeppelin. L’umiltà non è certo il primo termine associato a uno dei frontman più famosi e vanitosi degli anni settanta, ma con la nuova band Saving Grace – che dà il titolo all’album – Plant incarna proprio questo spirito. Dopo i progetti con i Band of Joy, Alison Krauss e i Sensational Shape Shifters, ha scelto musicisti incontrati vicino a casa, nel confine gallese, con cui suona dal 2019. La formazione comprende Suzi Dian (voce, fisarmonica), Matt Worley (banjo, cuatro, chitarra), Tony Kelsey (chitarre), Oli Jefferson (batteria) e Barney Morse-Brown (violoncello). Il repertorio unisce tradizionali come Gospel plough a cover di Donovan, Moby Grape, The Low Anthem e Sarah Siskind, con arrangiamenti che intrecciano voci maschili e femminili, banjo, chitarra baritona, violoncello e bordoni. In diversi brani è la voce di Dian, più che quella di Plant, a emergere come guida. Saving grace non reinventa la tradizione, ma la rilegge con intensità e armonie raffinate.
Jim Hynes, Glide

Discovering Roslavets
Trio Brackman (Dr)

Šostakovič era già se stesso dall’inizio. Come nel trio op. 8 del 1923 in un unico movimento, qui presentato come l’opera quasi d’avanguardia di un giovane che avanza con sicurezza ma con comprensibile sfiducia verso ciò che sta accadendo nel suo paese. Un ottimo inizio per raggiungere l’obiettivo di questo album: Nikolai Roslavets (1881-1944), che fu un esatto contemporaneo di Stravinskij ma ebbe meno fortuna, anche se non meno talento. Rimase in Unione Sovietica e fu oscurato, bandito senza essere bandito. Abbiamo un debito con Roslavets. Questo lavoro del 1921, eseguito con intensità dal trio Brackman, è un esempio di quanto di meglio si potesse comporre nella prima metà del secolo, l’epoca delle vere avanguardie. Poi c’è un curioso arrangiamento per trio del sestetto Verklärte nacht di Arnold Schönberg. L’intuizione dei Brackman è collegare Nikolai Roslavets al maestro viennese e al giovane di San Pietroburgo, ed è un’idea azzeccata. Per finire arriva un piccolo regalo, Un soir, della compositrice Mel Bonis (1858-1937). Uno dei suoi compagni di classe era Debussy e uno dei suoi insegnanti César Franck: merita di essere riscoperta con attenzione. Un album molto interessante.
Santiago MartínBermúdez, Scherzo

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1633 - 26 settembre 2025
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