Alla presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni piace dare risposte preconfezionate ai mezzi d’informazione. C’è stato il video multilingue prima delle elezioni sul passato fascista; la lettera aperta al Corriere della Sera per la festa della liberazione; e le “conferenze stampa” senza la stampa. Alcuni potrebbero sospettare che l’imminente libro-intervista con Alessandro Sallusti, La versione di Giorgia, non sarà certo un saggio di giornalismo che va dritto al punto. L’impegno a schivare le critiche sembra parte integrante di una strategia di Fratelli d’Italia, il partito di cui Meloni è presidente. Elevandola al di sopra della contesa politica, Meloni è presentata come una statista troppo impegnata sulla scena internazionale per lasciarsi mettere in discussione dagli oppositori, ai quali ribadisce di voler rispondere con “risultati concreti”. Men che mai ha voglia di tornare su frasi del passato.

Quando si sceglie di non affrontare le contraddizioni, però, bisogna fare i conti con il fatto che il passato ogni tanto torna. Nei giorni scorsi il giornalista Lorenzo D’Agostino ha riportato su Twitter dei passaggi di Mafia nigeriana, un libro scritto da Meloni insieme ad Alessandro Meluzzi nel 2019. Vera e propria sfilata di stereotipi, il libro parla di “sostituzione etnica” e contiene un’invettiva contro la “leucemia del migrazionismo” quasi uguale a quella contenuta nel discusso libro Il mondo al contrario del generale dell’esercito Roberto Vannacci, rimosso dalla guida dell’Istituto geografico militare dal ministro della difesa Guido Crosetto. D’Agostino si è chiesto perché Vannacci dovrebbe dimettersi e la premier no.

Forse la presidente del consiglio credeva davvero nella teoria della sostituzione etnica, ma poi si è ricreduta. In realtà non possiamo esserne sicuri, perché non ne parla

Mettere in discussione il potere politico è importante. Tuttavia, puntare il dito contro l’ipocrisia di Meloni non le farà perdere consensi. Il suo ruolo in una “squadra europea” impegnata a esternalizzare alla Tunisia i controlli alla frontiera dell’Unione europea, un po’ come la conversione di Salvini dal patriottismo padano a quello italiano, è piuttosto una dimostrazione di quanto affermato dal filosofo Ernest Renan: il nazionalismo si basa sull’oblio.

Non è chiaro, però, se questa trasformazione stia avendo successo. In un nuovo libro provocatorio, lo studioso britannico Hans Kundnani sostiene che il progetto dell’Unione europea rischia di essere dirottato: da una politica basata sul concetto di civiltà, che trascende i nazionalismi dei singoli paesi, si potrebbe passare alla creazione di confini europei più rigidi. È questo lo spazio che Fratelli d’Italia cerca di ritagliarsi in vista delle elezioni europee del giugno 2024: non vuole scontri con Bruxelles, ma cerca di farsi strada tra le alleanze in Europa, collocandosi a metà tra il partito polacco Diritto e giustizia (Pis) e i cristiano-democratici tedeschi.

Tuttavia il caso Vannacci suggerisce che il trasformismo ha anche altre conseguenze per la base di destra. Da quando guida il governo, Meloni ha evitato qualsiasi riferimento alla “sostituzione etnica” o alle “lobby lgbt+”. E alcuni quotidiani riportano voci di lavate di capo a compagni di partito colpevoli di non aver abbandonato il vecchio linguaggio. Il fatto che non ci siano mai rimproveri pubblici o dimissioni è utile alle frange più movimentiste di Fratelli d’Italia, un partito che così può interpretare il ruolo di moderato e, allo stesso tempo, quello di destra antisistema. Tutto questo però non potrà essere tenuto assieme per sempre dal silenzio.

La contraddizione più profonda dell’attuale estrema destra europea è che la sua visione del mondo, piena di idee come complotto delle élite e declino della civiltà, fin qui si è dimostrata incapace di trovare dei concreti strumenti di riscatto. Se a questo si aggiunge una rottura dei legami tra cittadini e partiti, potremmo andare incontro a una serie di picchi di entusiasmo e delusione elettorali.

Fin qui il fatto che Meloni appare una leader più intelligente di Salvini ha alimentato l’idea che Fratelli d’Italia non è destinato al declino toccato alla Lega. Ma la guerra in Ucraina e la candidatura di Donald Trump potrebbero offrire dei punti di riferimento per la radicalizzazione di una destra in grado di superare la stessa Meloni. Gli attacchi al governo sui social network perché consente “ancora più sbarchi” rispetto al passato non segnalano una fronda di destra, ma dimostrano che i sentimenti che hanno spinto Meloni verso la vittoria hanno una loro forza autonoma.

Forse Meloni credeva davvero nella teoria della sostituzione etnica, ma poi si è ricreduta. In realtà non possiamo esserne sicuri, perché non ne parla. È più probabile che il suo comportamento sia guidato dall’opportunismo. Il rifiuto di commentare il caso Vannacci dimostra che anche lei è caduta nella trappola. Milioni di persone, però, sono d’accordo con le idee pericolose del generale. E i discorsi compiaciuti dei politologi che lodano Meloni per essere “andata oltre” quelle idee non sono utili a contrastarle. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati