Quest’anno il Natale è arrivato in anticipo a Dublino, ma troppo tardi per un suo adorato figlio adottivo. L’ultima sera di novembre, un piovoso giovedì, dalle radio di migliaia di auto ferme ai semafori rossi dell’ora di punta usciva Fairytale of New York a tutto volume. Dal marciapiede si sentivano conducenti e passeggeri accompagnarla cantando: “The boys from the Nypd choir still singing Galway Bay, and the bells were ringing out for Christmas day”.

Il celebre autore della canzone, Shane MacGowan, frontman britannico della band punk-folk The Pogues, era morto poche ore prima. L’Irlanda – la sua più grande musa e patria ancestrale – faceva i conti con una morte che, a causa della ben nota dipendenza di MacGowan da alcol e droghe, era preannunciata da tempo.

Cantando Fairytale of New York

MacGowan avrebbe compiuto 66 anni se fosse vissuto fino al suo prossimo compleanno, il giorno di Natale, tema di Fairytale of New York, il più grande successo dei Pogues, che parla di una coppia di anziani irlandesi che si rimproverano e si consolano a vicenda per le loro vite andate in malora in una Grande Mela marcia.

Su South William street, nel centro di Dublino, un gruppetto di giovani donne pronte per l’uscita serale cantava Fairy­tale correndo sotto una pioggia gelida verso un pub vicino. Le allieve infermiere del St. Vincent’s hospital, dal quale MacGowan era stato dimesso la settimana prima dopo l’ultimo lungo ricovero, hanno detto di aver appreso la notizia della sua morte al lavoro quella mattina.

“Abbiamo cominciato tutte a cantare Fairytale of New York ed è stato molto emozionante”, ha detto Eve McCormack, 22 anni. “Era fantastico”, ha rincarato la sua amica Sophie McEvoy, 21 anni. “Speravamo che potesse farcela, perché il giorno di Natale sarebbe stato il suo compleanno. Ma stavolta no, direi”.

Leah Barry, assistente sociale di 37 anni, stava prendendo un aperitivo in zona, al Grogan’s pub su Castle street, uno degli ultimi superstiti della vecchia Dublino bohémienne. Si è emozionata parlando delle sue canzoni preferite dei Pogues: A pair of brown eyes, che parla di un veterano straziato di una guerra senza nome, e A rainy night in Soho, una tenera e dolente canzone d’amore.

“Eravamo un gruppo di studenti irlandesi in partenza per gli Stati Uniti”, ha ricordato Barry, “e poco prima d’imbarcarci, all’aeroporto di Dublino, comprammo una compilation di canzoni irlandesi. È così che mi sono innamorata dei Pogues. Ogni volta che le ascolto penso a noi che dormiamo in cinque in una stanza a Montauk, a Long Island, all’estate folle che abbiamo passato”.

Dall’altra parte del fiume Liffey, nel Cobblestone pub, locale frequentato da musicisti tradizionali irlandesi, era in pieno svolgimento una session vecchio stile: chitarre, tin whistle (il flauto a fischietto originario dell’Irlanda), violini, uilleann pipes (la caratteristica cornamusa irlandese), bodhrán (un tradizionale tamburo in pelle di capra). All’inizio degli anni ottanta i Pogues si sono intrufolati nel genere con spacconeria londinese-irlandese, sovvertendone le ortodossie con la vitalità e la furia del punk.

Cobblestone pub, Dublino, 30 novembre 2023 (Paulo Nunes dos Santos, The New York Times/Contrasto)

Ai vecchi temi e titoli ricorrenti – The boys from the County Cork, The boys from the County Mayo, The boys from the County Armagh – MacGowan aveva aggiunto le sue variazioni, come The boys from the County Hell, con testi arricchiti dal suo umorismo scabroso e dalla sua visione attenta alla diaspora.

Nato nella contea del Kent, vicino a Londra, da genitori irlandesi, MacGowan inizialmente si era avvicinato alla musica attraverso la scena punk della città, per poi trovare l’ispirazione di una vita nella poesia cupa della sua patria ancestrale, e in particolare nella diaspora irlandese negli Stati Uniti (Body of an american, Fairytale of New York), nel Regno Unito (Rainy night in Soho, e tante altre), in Australia (una cover di The band played Waltzing Matilda) e perfino in Messico (A pistol for Paddy Garcia).

In Irlanda l’irriverenza di MacGowan non è mai stata presa come un’offesa e anzi la maggior parte delle persone l’ha amato proprio per questo.

Come una macchina del tempo

Alla chitarra nella session del giovedì sera del Cobblestone c’era Colm O’Brien, musicista di Dublino che oggi vive a Boston. “Credo, anzi sono convinto che rivaluteremo fino in fondo il suo genio solo nei prossimi decenni”, ha detto O’Brien. “Ha fatto conoscere la musica irlandese a persone, anche irlandesi, che altrimenti non l’avrebbero ascoltata. Persone che erano giovani e punk, e di certo non l’avrebbero ascoltata”.

Tomás Mulligan, 33 anni, figlio del proprietario del Cobblestone, Tom Mulligan, ha raccontato che MacGowan ha direttamente ispirato il suo progetto musicale per un collettivo punk-folk chiamato Ispíní na hÉireann (Salsicce d’Irlanda).

“Tutti i musicisti tradizionali irlandesi hanno attraversato una fase in cui sono stati giovani, in cui i genitori li costringevano a suonare la vecchia musica, e si sono ribellati”, afferma Mulligan. “Ma poi ci sono ritornati. Nel mio caso sono stati i Pogues a riportarmici”.

Come scrisse Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo capolavoro Il gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.

Sul retro del Cobblestone, John Francis Flynn, stella nascente della scena folk irlandese, ha espresso un pensiero simile davanti a un drink.

“La maggior parte degli artisti tradizionali ha due cose in comune”, ha detto Flynn: “Un vero rispetto per il materiale musicale originale, ma anche l’impulso di farci qualcosa di nuovo”. MacGowan ha “aperto una porta nella musica irlandese per quelli che avrebbero potuto pensare che fosse stucchevole”, ha aggiunto.

“Le canzoni tradizionali fanno questo, sono come una macchina del tempo”, secondo Flynn. “Puoi connetterti con persone che se ne sono andate da un pezzo, e con la storia”.

Il lavoro di Shane MacGowan “era romantico, ma era reale ed era onesto. Non era banale”, ha aggiunto. “E a volte era brutale”. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1541 di Internazionale, a pagina 87. Compra questo numero | Abbonati