Quando mi è stato chiesto di scrivere questo articolo il mio cuore ha cominciato a battere più veloce e le mie mani a tremare. La mente è andata in confusione e ha inventato centinaia di motivi sensati per non accettare. Potrei dirvi che, in quanto caporedattrice di New Scientist, non sono abituata a scrivere. Ma la verità è che scrivo di rado proprio perché mi provoca ansia.

E se le persone che contatto non mi rispondessero? E se scrivessi qualcosa di stupido? E se fossi stupida? Se, se, se. Alla fine ho deciso di scriverlo perché sono testarda e non accetto che questo stato emotivo mi impedisca di fare qualcosa che potrebbe piacermi. Inoltre penso che fare le cose che mi rendono ansiosa mi aiuti a superare questa sensasione. Ma la mia motivazione principale, in realtà, è il desiderio di rispondere a domande che mi assillano da anni: cos’è esattamente l’ansia? Cosa succede nel mio corpo e nel mio cervello che causa questa sensazione?

Rispondere al primo quesito è difficile, anche perché non c’è un solo modo di sentirsi ansiosi. “Ci sono tanti tipi di ansia quante sono le persone nel mondo”, spiega Oliver Robinson dello University college London. L’ansia serve per essere pronti in situazioni rischiose. Quando si torna a casa da soli di notte aiuta a essere vigili e a reagire agli imprevisti, ma se continua anche quando si è al sicuro diventa un problema. “In queso caso risponde a una minaccia che non esiste”, dice lo psichiatra Sahib Khalsa, del Laureate institute for brain research di Tulsa, in Oklahoma.

Robinson sottolinea che non sappiamo cosa succede esattamente nel cervello quando si è ansiosi. Un’area che ha attirato una grande attenzione è l’amigdala, che gestisce i ricordi legati alla paura e contribuisce a rilevare i pericoli e a produrre risposte emotive involontarie. Se individua una minaccia, l’amigdala invia segnali alla corteccia prefrontale, la regione anteriore del cervello che ha funzioni come la regolazione delle emozioni. A quel punto possono attivarsi due aree: la corteccia dorsomediale, che spinge l’amigdala a concentrarsi su questi segnali, o la corteccia ventromediale, che riduce lo stato d’allerta. “In una persona con disturbi d’ansia questo processo va in tilt”, spiega Robinson, “e quindi si prova ansia nei momenti sbagliati o con troppa intensità”.

Consapevolezza interocettiva

Le minacce che scatenano l’ansia non vengono solo dall’esterno. “Può esserci un cambiamento nel corpo che crea la percezione di un pericolo”, spiega Khalsa. Questo è dovuto all’interocezione. Spesso definita come una sorta di “sesto senso”, è il modo con cui il cervello controlla ciò che succede nel corpo, monitorando fattori come la tensione muscolare o i livelli di anidride carbonica nel sangue. “Spesso l’ansia nasce dal travisamento di un segnale fisiologico”, dice Khalsa. Percepire un’alterazione del battito del cuore, per esempio, può far pensare a un attacco cardiaco. Un esperimento sembra confermare che una maggiore consapevolezza interocettiva può contribuire a generare ansia. A 24 donne con disturbo d’ansia generalizzato (Gad) sono stati somministrati 0,5 microgrammi di isoprenalina per provocare un aumento del battito cardiaco. Queste donne hanno manifestato una reazione cerebrale più intensa rispetto a 24 donne senza il disturbo. Anche prima di assumere l’isoprenalina, le donne con Gad avevano un livello di interocezione cardiaca superiore rispetto alle altre.

L’ansia, quindi, sembra dipendere dal collegamento tra la mente e il corpo, ma da dove parte lo stimolo? “Non lo sappiamo”, ammette Khalsa. “Alcuni pensano che i due stimoli arrivino simultaneamente. Sono così ravvicinati nel tempo che non importa quale si presenta per primo”. In ogni caso entrambe le parti hanno un ruolo. “Se pensiamo in termini evolutivi è un meccanismo utile, perché significa che siamo capaci di adattarci e aggiornare le nostre percezioni”, dice Khalsa.

Sapere cosa succede quando mi sento ansiosa mi ha aiutata a scrivere questo articolo? Un po’. Non penso di cambiare lavoro, ma la prossima volta che mi chiederanno di scrivere su qualcosa che mi interessa voglio prendere il controllo della mia ansia e dire di sì senza esitare. ◆ as

Fisiologia
Perché alcune persone sono più ansiose di altre

U na nuova e migliore comprensione di come interagiscono i geni, l’ambiente, il cervello e l’intestino può contribuire a chiarire le differenze nella predisposizione all’ansia e a trovare nuovi modi per ridurre il problema, spiega Helen Thomson su New Scientist. Secondo alcuni studi nel 30 per cento dei casi il disturbo d’ansia generalizzato si può attribuire alla genetica. Non a un gene in particolare, ma a una serie di fattori genetici che interagiscono tra loro. I fattori ambientali possono poi favorire oppure ostacolare l’espressione del disturbo. Una ricerca condotta su più di 41mila persone ha rilevato che trovarsi in situazioni stressanti, come la solitudine, amplifica gli effetti della predisposizione genetica.
Anche il microbioma intestinale potrebbe avere un ruolo. Nel 2023 la medica e ricercatrice Mary Butler dello University college di Cork, in Irlanda, e i suoi colleghi hanno confrontato i batteri intestinali di 31 persone con disturbo d’ansia sociale e quelli di 18 persone che non ne soffrivano. Hanno riscontrato varie differenze. Per esempio il primo gruppo presentava una maggiore quantità di batteri della specie Anaeromassilibacillus sp An250, mentre il secondo di Parasutterella excrementihominis. Capire come queste differenze interagiscono con il corpo e il cervello potrebbe portare a nuovi trattamenti. La ricerca ha già dimostrato che “manipolare” i microbi intestinali aiuta a combattere la depressione resistente ai farmaci.
Anche la dieta incide sui livelli di ansia. Una meta-analisi ha dimostrato che assumere troppa caffeina aumenta la probabilità di provarla. Il motivo non è chiaro, ma potrebbe dipendere dal fatto che la caffeina provoca un’accelerazione del ritmo cardiaco: le persone molto consapevoli delle proprie sensazioni interne rischiano di interpretare in modo sbagliato questo segnale e di sperimentare l’ansia. La notizia positiva è che insegnando alle persone a valutare correttamente le proprie sensazioni fisiologiche si possono diminuire gli effetti di questo disturbo. ◆


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Questo articolo è uscito sul numero 1558 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati