Arriva in Italia un nuovo autore britannico da seguire con attenzione. Se è in linea con tanto fumetto concettuale che rivisita la lezione della pop art, di solito statunitense, riesce tuttavia a dire molto di nuovo. Scorrevole come un manga, divertente, folle, pieno di personaggi che sembrano dei loghi industriali, è una commedia nera e insieme un racconto d’avventura rivestito da una sorta di surrealismo animista. Ma l’animismo, in qualche modo transgender e paritario, è apparenza. In fondo sono tutti bambole e bamboli in movimento, oggetti feticisti animati da un compulsivo consumo capitalista sempre più incattivito e inumano, che si tratti di disneyane mutande parlanti, trucidi cagnolini-logo anch’essi parlanti, ma non lontani dagli inanimati orsacchiotti di peluche, ragazze in stile manga. Se, come abbiamo scritto spesso, il fumetto è più teatro che cinema, allora questa galleria di maschere che si confondono con loghi della società consumistica rivela una sorda voglia (auto)distruttiva quanto una rabbiosa disperazione. Quella di un genere umano prossimo al crash, per dirla con il titolo, che sembra essersi arreso al nichilismo. Perché a prescindere dalle apocalissi nucleari e climatiche, sembra qui in agguato soprattutto l’apocalisse della mediocrità e più ancora dell’umano sentire, l’annichilirsi di uno sguardo, alto e semplice assieme, su quella che potremmo chiamare l’anima del mondo e non solo sull’umanità stessa.

Francesco Boille

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Questo articolo è uscito sul numero 1454 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati