Il 10 aprile il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador (di centrosinistra) ha ottenuto il sostegno dei suoi elettori nel referendum sulla revoca del suo mandato. La consultazione era stata voluta dallo stesso Obrador. Secondo i dati dell’Istituto nazionale elettorale (Ine), il presidente ha ricevuto il 91,8 per cento dei consensi. La partecipazione è stata bassa, ha votato il 17,7 per cento degli aventi diritto. Per essere vincolante l’affluenza avrebbe dovuto raggiungere il 40 per cento, ma è innegabile che la vittoria di Obrador sia stata schiacciante: più di quindici milioni di messicani gli hanno chiesto di portare a termine il suo mandato, che finirà nel 2024. Invece l’opposizione ha boicottato il referendum.

“Ho avuto più voti rispetto al 2006 e al 2012”, ha detto Obrador riferendosi alle elezioni presidenziali in cui era candidato.

La mobilitazione degli elettori ha superato le aspettative. Bisogna anche tenere presente che non erano normali elezioni: il fatto che la partecipazione si sia fermata a più di venti punti percentuali dal quorum per rendere vincolante il voto non avrà conseguenze pratiche. López Obrador porterà a termine il suo mandato, com’era previsto prima della consultazione, ma oggi può dirsi vincitore del primo referendum revocatorio del Messico, uno strumento di democrazia diretta che ha mobilitato i militanti più fedeli della cosiddetta quarta trasformazione, il progetto politico del presidente. “Sono contento, perché nonostante le difficoltà molti cittadini oggi hanno votato. Proseguiremo con la trasformazione del nostro paese”, ha detto. Poi ha aggiunto: “Non voglio esagerare, sono un democratico e non sono favorevole alla rielezione”.

Bisogna considerare le circostanze politiche in cui si è svolta la giornata del referendum. L’autorità elettorale ha aperto 57.423 seggi, circa un terzo di quelli delle elezioni di metà mandato del giugno 2021, quando ha votato il 52,6 per cento degli elettori. Questo calo, dovuto ai tagli di bilancio per il referendum, ha inasprito lo scontro tra il governo e le autorità elettorali. I diciotto governatori vicini a Obrador hanno accusato l’Ine di “ostacolare la partecipazione del popolo”. La sindaca di Città del Messico, Claudia Sheinbaum, ha celebrato, nonostante le difficoltà, “il successo del referendum, il trionfo della democrazia partecipativa e il sostegno del popolo al presidente. Il Messico oggi è un esempio di democrazia per il mondo”.

“La nostra democrazia è cambiata per sempre. D’ora in avanti tutti i presidenti dovranno sottostare al popolo”, ha sottolineato Mario Delgado, del partito Morena (lo stesso del presidente). Nel 2019 López Obrador aveva promosso una revisione della costituzione che ha reso possibile questo referendum.

Viva Zapata

Ora comincia il conto alla rovescia per la fine del mandato di Obrador. Il presidente, che può contare su una popolarità ancora molto alta, ha già parlato di una possibile riforma elettorale e ha intensificato la lotta contro quelli che considera i suoi avversari. Il referendum revocatorio gli ha permesso di tornare in campagna elettorale, il suo campo di battaglia preferito. Ma dopo il voto si è inaugurata di fatto un’altra corsa, quella per le elezioni dei governatori di sei stati, il prossimo giugno. Da quel momento in poi tutti i riflettori saranno puntati sulle presidenziali del 2024.

Nel frattempo i principali partiti d’opposizione, che ancora non si sono ripresi dalla sconfitta del 2018, hanno difeso la scelta di non partecipare al referendum. “Morena ha distorto il senso di un processo democratico per soddisfare il proprio ego e ingannare i messicani”, ha detto Alejandro Moreno, presidente del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri). Obrador ha votato di prima mattina a Città del Messico e, come aveva annunciato, ha annullato la scheda scrivendo “Viva Zapata”. Il 10 aprile ricorrevano i 103 anni dall’omicidio del rivoluzionario messicano Emiliano Zapata.

Rivolgendosi ai suoi avversari Obrador ha detto: “Con rispetto, invito i conservatori a riflettere e a tranquillizzarsi. Nelle democrazie si vince o si perde, non bisogna scegliere l’astensione”. ◆ fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1456 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati