Il 24 settembre, quattro giorni dopo il successo della fulminea offensiva militare dell’Azerbaigian, che ha ripreso il controllo del Nagorno Karabakh (enclave a maggioranza armena in territorio azero), i primi convogli di profughi armeni sono partiti alla volta di Erevan. Le organizzazione umanitarie e il governo armeno hanno reso noto che migliaia di persone hanno lasciato la regione (l’autoproclamata repubblica dell’Art­sakh) dopo che Baku aveva aperto il corridoio di Laçın, che la collega all’Armenia.

Interminabili code di automobili cariche di civili transitano lentamente attraverso il posto di blocco vicino al villaggio di Kornidzor, al confine con l’Azerbaigian. Molte vetture sono appesantite da bagagli di ogni genere. Artur, un armeno del Nagorno Karabakh rimasto lontano da casa per nove mesi durante il blocco del corridoio di Laçın imposto dagli azeri, non ha avuto notizie dei suoi parenti per giorni, dall’inizio dell’offensiva. Poi ha ricevuto una chiamata dalla sorella, Rima, che gli ha raccontato di essere stata portata via dai russi. Dopo un’interminabile ora di attesa, si sono riabbracciati. Seduta sul sedile posteriore di un suv, la ragazza piange mentre i due figli (di uno e tre anni) scartano barrette di cioccolato, un lusso a cui non erano più abituati. Marut Vanyan, un blogger locale, racconta che molti altri civili si stanno preparando a partire: “Sembra che se ne stiano andando tutti. A Stepanakert non ci sono alternative”. In un centro di assistenza del Comitato internazionale della Croce rossa (Icrc) a Kornidzor, un anziano chiede ai giornalisti perché si siano interessati al Nagorno Karabakh solo quando la situazione si è fatta drammatica. “Dov’eravate prima? Volete filmare? Ecco, filmate le mie gambe!”, urla con rabbia, alzandosi i pantaloni e mostrando le gambe ferite. “Stamattina mio marito ci ha chiamati per dirci che stavano organizzando l’evacuazione dei villaggi di Berdadzor e Mets Shen, nella regione di Şuşa”, racconta Karina Kafyan, tra le prime persone riuscite a fuggire. “Chi aveva benzina partiva. Ora l’intero villaggio aspetta un autobus, un’auto o qualsiasi mezzo che possa portare del carburante. Tutti vogliono andarsene”.

Promesse e paure

Verso sera, un convoglio di ambulanze affiancate da veicoli della Croce rossa attraversa le montagne in direzione della città armena di Goris. In un ospedale in periferia un gruppo di medici, portantini e agenti di polizia è in attesa del convoglio. Quando le ambulanze arrivano, tutti si affrettano a trasportare i feriti.

“Siamo riusciti a facilitare il passaggio di 23 ambulanze del ministero della sanità armeno, con a bordo altrettanti feriti”, spiega Zara Amatuni, portavoce dell’Icrc. “Ora stiamo cercando di avere un quadro chiaro di cosa serve alla gente che è ancora sul posto, ma dobbiamo trovare risorse. Finora la Croce rossa, che è in contatto con le autorità di entrambi gli stati, si è potuta occupare delle necessità più urgenti, compresa la consegna di materiale sanitario. Inoltre abbiamo ricoverato 26 feriti e trasportato i corpi di trenta persone uccise durante i combattimenti per garantirgli una sepoltura degna”, aggiunge Amatuni.

Secondo i dati del governo di Erevan, alle 22 del 24 settembre 1.050 civili erano stati registrati come “sfollati” in territorio armeno. Le autorità hanno ribadito che i profughi continuano ad arrivare e i numeri potrebbero crescere significativamente.

Poche ore prima il primo ministro armeno Nikol Pashinyan aveva dichiarato che gli armeni dell’Artsakh, nonostante le rassicurazioni della Russia, sono ancora “esposti al rischio di pulizia etnica”. “Se non sarà messo in piedi un meccanismo di protezione efficace contro il rischio di pulizia etnica, è probabile che gli armeni del Nagorno Karabakh riterranno che la fuga dalla loro terra sia l’unica soluzione”, ha detto Pashinyan, aggiungendo che l’Armenia accoglierà tutti i suoi “fratelli”. Dopo la sigla dell’accordo di resa, garantito da Mosca e arrivato al termine di un giorno di combattimenti con le forze azere, Pashinyan aveva dichiarato di “presumere” che la Russia si sarebbe fatta carico del destino dei civili. Bersaglio di forti critiche in patria, il primo ministro ha anche manifestato la speranza che la popolazione armena possa continuare a vivere nella regione. Poco dopo le sue parole, le autorità dell’Artsakh hanno fatto sapere che “le persone rimaste senza casa a causa delle recenti attività militari e che vogliono lasciare la repubblica saranno trasferite in Armenia dai corpi di pace russi”. Secondo Hikmet Hajiyev, consigliere del presidente azero Ilham Aliyev per la politica estera, il governo di Baku “rispetterà la scelta individuale dei residenti”. “Le insinuazioni secondo cui l’Azerbaigian avrebbe bloccato il passaggio sono false”, ha detto Hajiyev a Politico. “Le persone possono usare i propri veicoli”.

Intanto, il 23 settembre decine di camion con aiuti umanitari, inviati dalla Croce rossa russa e dall’Icrc, hanno avuto accesso alla regione attraverso il corridoio di Laçın. Le autorità azere sostengono che il passaggio dei camion sia la prova della buona fede di Baku, che aveva promesso di “reintegrare” gli armeni del Nagorno Karabakh una volta che le forze locali avessero deposto le armi e il governo non riconosciuto fosse stato smantellato.

Tuttavia, David Babayan, consigliere del governo della repubblica dell’Artsakh, ha detto in un’intervista alla Reuters che “il popolo armeno non vuole vivere sotto il dominio azero. Il 99,9 per cento preferirebbe piuttosto lasciare le terre dei propri avi”. Accusando la comunità internazionale di aver abbandonato i centomila armeni del Nagorno Karabakh, Babayan ha aggiunto: “Il destino del nostro popolo peserà come una vergogna su tutto il mondo civilizzato. Un giorno le persone responsabili della nostra sorte dovranno rispondere dei loro peccati davanti a Dio”.

Pashinyan, da parte sua, ha accusato la leadership armena dell’Artsakh di aver alimentato il malcontento. Nella capitale Erevan, intanto, continua a montare la rabbia contro il primo ministro e la sua gestione della crisi. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1531 di Internazionale, a pagina 27. Compra questo numero | Abbonati