Geologicamente, il nostro paese si trova su un sistema complesso di faglie, percepibile dai vulcani spenti o attivi che ne marcano la geografia e dai terremoti più o meno catastrofici che ne hanno scandito la storia. Resosi conto di questa “crepa che squarcia l’Italia”, e deciso a conoscerla meglio, Paolo Rumiz ha deciso di viaggiare da sud a nord, dalla Sicilia al Friuli, osservandone le tracce nei paesaggi marini (come quelli delle Eolie o dello stretto di Messina) e in quelli rurali (la Calabria, la Lucania, e poi il Molise, le Marche e infine il Carso che chiama la “mia terra”) o ridivenuti tali (come le campagne in cui un tempo era Gibellina). Attraversa città come Napoli, naturalmente, che nel libro occupa un posto di rilievo, ma anche L’Aquila, Ascoli, Rimini, Ferrara e si documenta. Dati alla mano, interroga e ascolta le testimonianze di tanti: quelli che i terremoti li studiano e li classificano, e gli amministratori e i politici, che i sismi li devono gestire, per lo più senza riuscirci. Più in generale cerca persone che in tutti questi luoghi hanno sentito la terra tremare o conoscono storie, miti, abitudini tramandate da chi prima di loro ha dovuto fare l’esperienza di questa presenza terribile della natura, elaborando modi per sopravvivere a una normalità catastrofica, a un azzardo ordinario che si conosce nei dettagli e con il quale tuttavia non si è ancora capaci di convivere. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1541 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati