Il 9 maggio gli elettori delle Filippine sceglieranno il loro prossimo presidente, che avrà un mandato di sei anni. Ci sono molti candidati, ma solo due hanno la possibilità di vincere: Ferdinand Marcos Jr., figlio dell’ex dittatore di cui porta il nome, e l’attuale vicepresidente, Leni Robredo. Nonostante i gravi problemi del paese – l’economia duramente colpita dalla pandemia, la corruzione e l’aumento della povertà – la sfida presidenziale si è incentrata sulle personalità dei candidati e sul futuro della libertà delle Filippine.

Nei suoi sei anni di mandato il presidente uscente Rodrigo Duterte ha spesso agito in modo autoritario. Un’elezione di Marcos Jr., che mostra alcune tendenze antidemocratiche, potrebbe essere l’ultimo chiodo sulla bara della democrazia filippina.

Già senatore, governatore regionale e deputato della camera dei rappresentanti, Ferdinand Marcos Jr. è una figura nota della politica filippina e ha un ampio sostegno popolare: nei sondaggi ha un indice di popolarità del 56 per cento. Innanzitutto, è percepito come il salvatore di un paese con un’economia messa in ginocchio dal covid-19. Inoltre, sta sfruttando un certo grado di nostalgia per l’epoca in cui governò il padre Ferdinand Marcos, dal 1965 al 1986, che alcuni filippini giudicano migliore rispetto alla terribile situazione in cui versa oggi il paese. Marcos impose la legge marziale nelle Filippine, facendo torturare migliaia di oppositori, ma la sua famiglia ha passato decenni a nascondere quei crimini, usando metodi sofisticati di disinformazione e sottolineando la presunta stabilità di quel periodo. Molti elettori sono troppo giovani per ricordarsi quell’epoca.

Marcos Jr. non si è mai davvero scusato per la repressione e la corruzione del regime guidato dal padre. Si stima che la famiglia Marcos abbia sottratto al paese circa dieci miliardi di dollari, mentre sotto il loro governo l’economia filippina era in una situazione disastrosa.

Marcos Jr. è un personaggio carismatico, specialmente sui social network. La sua campagna elettorale è stata criticata dai giornalisti e dal garante delle elezioni per aver diffuso grandi quantità di notizie false sugli avversari e sull’eredità della sua famiglia. Questi sforzi sono straordinariamente efficaci nel modellare l’opinione pubblica di una delle popolazioni che passa più tempo su internet al mondo. E potrebbero essere il fattore determinante della probabile vittoria del figlio del dittatore. Marcos Jr. beneficia anche del lascito di Duterte, che ha favorito la diffusione della disinformazione e ha reso più facile la vittoria di un altro uomo forte. In più Marcos Jr. ha stretto un’alleanza con altre tre potenti dinastie politiche: gli Arroyo, gli Estrada e i Duterte. La figlia di Duterte è la candidata favorita alla vicepresidenza. In un’eventuale presidenza Marcos Jr. le tre famiglie controllerebbero sia il potere esecutivo sia quello legislativo, una combinazione decisamente antidemocratica.

La sfidante

Leni Robredo ha fatto della difesa della democrazia e della lotta alla corruzione i punti centrali della sua campagna. Sta cercando di spingere la popolazione a ribellarsi contro i Marcos e di ottenere il sostegno di altri piccoli partiti. I suoi comizi sono stati molto partecipati, e nei sondaggi degli ultimi mesi è salita leggermente, arrivando però solo al 24 per cento.

Restano in gara anche altri candidati relativamente minori, come il campione di pugilato Manny Pacquiao e il sindaco di Manila, Francisco Moreno Domagoso, che potrebbero sottrarre voti a Robredo. Nel 2016 una delle ragioni del trionfo di Duterte è stata la riluttanza dei suoi principali avversari a formare un fronte unito e a sostenere un solo candidato.

Anche se Marcos Jr. e Robredo si sono vagamente impegnati a migliorare l’assistenza sanitaria e a combattere la povertà, la questione dominante è la sopravvivenza della democrazia filippina. Robredo ha insistito su questo punto nei discorsi e nelle sue apparizioni online, mentre Marcos Jr. si è limitato a ovvietà sul passato del paese e alle promesse di unità. Ma ha anche detto che proteggerà Duterte dalle accuse della Corte penale internazionale per gli omicidi extragiudiziali commessi durante la guerra alla droga, e ha fatto capire che forse la porterà avanti.

In politica estera il problema principale è la Cina. Duterte, da sempre ostile agli Stati Uniti, all’inizio del suo mandato ha cercato un rapporto più stretto con Pechino, nel tentativo di ridurre la dipendenza di Manila da Washington. Ma molti progetti infrastrutturali nelle Filippine promessi dalla Cina non si sono mai concretizzati, ed è cresciuta la rabbia dell’opinione pubblica per la diplomazia aggressiva di Pechino e per le sue incursioni nelle acque contese del mar Cinese meridionale. Così Duterte ha finito per ripiegare verso gli Stati Uniti.

Marcos Jr. ha da sempre un rapporto privilegiato con Pechino e potrebbe volerla corteggiare di nuovo, oltre che tentare di lanciare più progetti infrastrutturali comuni. Ma l’enorme impopolarità della Cina nelle Filippine potrebbe limitare la capacità di Marcos Jr. di lavorare a stretto contatto con il governo cinese. Al contrario, Robredo ha promesso un atteggiamento duro nei confronti del gigante asiatico, e ha giurato che non discuterà nemmeno del mar Cinese meridionale fino a quando la Cina non riconoscerà il pronunciamento del 2016 di un tribunale dell’Aia a favore delle rivendicazioni di Manila in quelle acque. Entrambi i candidati probabilmente proseguiranno nella costruzione di legami più stretti con gli Stati Uniti.

Anche se le implicazioni di queste elezioni per la politica estera filippina potrebbero non essere enormi, un tentativo di Marcos Jr. di riavvicinare Manila a Pechino sarebbe un serio problema per la sicurezza regionale e per le forze armate statunitensi. Le Filippine sono alleate di Wash­ington e sono fondamentali per la presenza statunitense nel mar Cinese meridionale e nei confronti di Taiwan.

Le implicazioni per il futuro della democrazia filippina e del sudest asiatico sono ancora maggiori. Nell’ultimo decennio la democrazia nella regione è già peggiorata in modo significativo, e un colpo mortale alle Filippine, una delle democrazie più popolose del mondo, alimenterebbe questa tendenza. L’autorevole analista filippino Richard Heydarian ha definito il voto del 9 maggio “l’elezione più importante nella storia recente delle Filippine”. E non è un’esagerazione. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1459 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati