I leader europei sono impegnati in una disputa per fissare il limite a due prezzi: quello del gas naturale sul mercato continentale e quello delle esportazioni di petrolio russo. Nonostante il dibattito si concentri sul disaccordo a proposito di quanto devono essere alti questi limiti, il vero scontro è sulle misure in sé: qual è il loro obiettivo e quali conseguenze negative si è disposti ad accettare.

Finora l’unica cosa su cui gli europei sono d’accordo è che vogliono qualcosa da poter definire un limite massimo, in modo da sembrare duri nei confronti della Russia. Non importa se il risultato finale somiglia più a un unicorno (desiderabile ma estremamente raro) o a una chimera. Nelle intenzioni entrambi i limiti dovrebbero ottenere tutti i risultati desiderati senza produrre nessuna conseguenza negativa. Ma sarà un vero miracolo se riusciranno a superare i tira e molla che li aspettano.

Il primo limite è una questione interna: il prezzo all’ingrosso del gas naturale nell’Unione europea. Il dibattito si concentra sulla Title transfer facility (Ttf), un valore fissato nei Paesi Bassi e usato come riferimento in tutto il continente. La Commissione europea ha proposto di fissare un tetto a 275 euro per megawattora (MWh), mentre ora i prezzi sono intorno ai 125 euro. Tra il 2010 e il 2020 il Ttf si è attestato in media sui venti dollari per MWh. La proposta però prevede altre due condizioni: il limite sarebbe imposto solo se i contratti più vicini alla scadenza dovessero superare i 275 euro per dieci giorni consecutivi e restare significativamente più alti dei prezzi globali del gas naturale liquefatto. Sono condizioni estreme che non si sono verificate neanche durante la crisi di agosto, quando i prezzi avevano toccato il record di 339 euro per MWh. Gli scettici considerano questa proposta “insufficiente” (Francia), “una presa in giro” (Spagna) o “una barzelletta” (Polonia). Questo limite non limiterebbe niente.

Ma probabilmente è proprio questo l’obiettivo. I tecnici della Commissione sanno bene che regolare per decreto i prezzi globali dell’energia è inutile. Ciò che l’Europa può fare – come ha proposto Bruxelles a margine della discussione – è costruire alcuni ostacoli, i cosiddetti “fusibili”, che potrebbero rallentare un’impennata dei prezzi, ma non bloccarla. Germania e Paesi Bassi si oppongono al tetto sui prezzi (o quantomeno a un tetto che possa davvero funzionare) perché credono che metterebbe a rischio la sicurezza delle forniture. I paesi che vogliono un limite più rigido, guidati dall’Italia, non sono riusciti a spiegare in che modo si potrebbe risolvere il problema.

In realtà l’unico modo in cui un tetto rigido ai prezzi potrebbe funzionare è imporre limiti anche alla domanda. Ma nessuno in Europa è disposto ad assumersi la responsabilità di stabilire chi può consumare il gas e quanto. Di conseguenza l’idea di un limite imposto è destinata a fallire.

In questo dibattito la vera questione è la capacità fiscale. Tutti i governi europei sanno che dovranno sovvenzionare i consumi di energia (e salvare le aziende) se i prezzi resteranno alti. Questo non solo nel prossimo inverno, ma anche in quello 2023-2024. La Germania ha la solidità fiscale per permettersi i sussidi, altri paesi dell’Unione europea invece no, e hanno bisogno di un tetto ai prezzi per limitare le spese. Nei corridoi del potere di Bruxelles alcuni diplomatici dicono con sarcasmo che quando si parla di gas la Germania è più temuta della Russia. La soluzione è la solidarietà europea: abbandonare l’idea di calmierare i prezzi e condividere le risorse fiscali. Ma la strada verso questa soluzione ha portato all’attuale vicolo cieco.

Il negoziato sul secondo prezzo, quello del petrolio russo, coinvolge un maggior numero di interessi nazionali. La trattativa fa parte di un piano del G7 per imporre un limite al prezzo delle esportazioni di petrolio russo in modo da colpire Mosca. La soglia proposta è di 65-70 dollari al barile, un prezzo più alto di quello attuale. Anche in questo caso, dunque, è un limite che non limiterebbe niente. E anche in questo caso è proprio l’obiettivo sperato.

Gli Stati Uniti e altri paesi vogliono che il petrolio russo continui a scorrere sui mercati, in modo che il prezzo resti inferiore ai cento dollari al barile, anche se la conseguenza è che i petrodollari continuano ad affluire nelle casse di Mosca. La Polonia e altri paesi europei invece vorrebbero un tetto al prezzo del petrolio che penalizzi economicamente il Cremlino, nella convinzione che questo potrebbe affrettare la fine della guerra in Ucraina. E considerano un aumento del prezzo della benzina una contropartita accettabile.

Conseguenze terribili

Quindi qual è la priorità? L’idea che un limite a 65-70 dollari possa avere effetti sulle scelte di Vladimir Putin è ridicola. La produzione di petrolio russo è quasi ai livelli precedenti all’invasione dell’Ucraina, e i ricavi del Cremlino sono più che sufficienti a finanziare la macchina bellica. Per mettere in difficoltà Putin il tetto dovrebbe essere molto più basso, di sicuro non superiore ai 45 dollari al barile ipotizzati dai diplomatici europei. Inoltre il limite dovrebbe essere inflessibile, mentre il piano attuale ha più buchi di un formaggio svizzero e offre esenzioni a una lista di paesi, dal Giappone all’Ungheria.

Un limite rigido fissato dal G7 potrebbe portare alla fine della guerra? È difficile che Putin possa essere messo in ginocchio semplicemente riducendo le entrate petrolifere. Una strategia di questo tipo si è già rivelata inefficace sia in Iran sia in Venezuela, due paesi finanziariamente molto più deboli di quanto sia oggi la Russia. Un tetto rigido avrebbe conseguenze terribili: spingerebbe i prezzi oltre i cento dollari al barile, in un’economia globale già colpita dall’inflazione più alta degli ultimi quarant’anni. I grandi importatori di petrolio russo, come la Cina, l’India e la Turchia, troverebbero il modo di continuare a comprarlo.

C’è una sola cosa che potrebbe fermare il flusso di petrodollari nelle casse di Mosca: un embargo petrolifero totale, come quello imposto all’Iraq nel 1990 dopo l’invasione del Kuwait. Le conseguenze sui prezzi del petrolio sarebbero enormi. In occidente nessuno è disposto a farlo. Ma in mancanza di una misura simile, l’iniziativa del G7 è destinata a fallire. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati