I dirigenti delle grandi compagnie petrolifere statunitensi tendono a guardare i concorrenti europei dall’alto in basso. Magari non lo dicono in pubblico, ma i pezzi grossi della Exxon Mobil e della Chevron sono convinti che le loro aziende siano superiori. C’è però una cosa che gli statunitensi invidiano molto agli europei: l’intermediazione finanziaria nel settore del petrolio e del gas.

Le grandi compagnie europee, come la Shell, la TotalEnergies e la Bp, sono famose per i loro giacimenti di petrolio, le raffinerie e le stazioni di servizio. Tutt’e tre però hanno delle unità dedicate al trading stile Wall street, l’acquisto e la vendita di titoli finanziari grazie a cui speculano sui prezzi del petrolio, del gas e dell’energia, realizzando ogni anno profitti per miliardi di dollari, più o meno come fanno i grandi fondi d’investimento.

Dopo aver disdegnato per anni il trading, adesso la Exxon e – in misura minore – la Chevron vogliono aggiudicarsi un pezzo del settore. Non sarà semplice battere gli europei, ma è facile capire da dove arrivi questo nuovo entusiasmo: il trading è diventato un’attività incredibilmente redditizia. La Shell, la Bp e la Total mantengono il segreto sui risultati esatti delle loro operazioni in borsa. Ma su pressione degli azionisti, che vogliono capire cosa succede in questa scatola nera, la Bp ha pubblicato alcuni dati che permettono una stima approssimativa dei profitti in borsa. I risultati sono straordinari.

A febbraio la compagnia britannica ha riferito che negli ultimi tre anni gli utili sul capitale investito nell’intermediazione finanziaria sono aumentati in media di quattro punti percentuali. “Sono sicuro che adesso siete in grado di fare i vostri calcoli”, ha detto agli analisti il responsabile del settore finanziario della Bp, Murray Auchincloss. Ha ragione. Secondo il rapporto annuale, il capitale medio investito della Bp è stato di 111 miliardi di dollari all’anno tra il 2020 e il 2022. Se l’azienda afferma di aver ricavato utili pari al 4 per cento, significa che ha guadagnato circa 4,5 miliardi di dollari all’anno, producendo un totale complessivo di 13,5 miliardi di dollari in tre anni. Qual è il rapporto tra questa cifra e la redditività complessiva del gruppo? Negli ultimi tre anni la Bp ha registrato utili per 34,7 miliardi di dollari: il settore dell’intermediazione finanziaria, quindi, potrebbe aver contribuito per quasi il 40 per cento.

Rischi e opportunità

L’intermediazione finanziaria fa parte del dna delle compagnie petrolifere europee: la fanno da decenni, i dirigenti più importanti si sono formati in queste unità specifiche e i rischi e le opportunità sono ben conosciuti, compresa la necessità di pagare dei bonus paragonabili a quelli di Wall street per reclutare e trattenere gli operatori di livello più alto. La Exxon e la Chevron non hanno la stessa esperienza.

Una volta esistevano delle potenti compagnie statunitensi che facevano trading in ambito petrolifero, come la Mobil e la Texaco. Nel corso delle grandi fusioni nel settore petrolifero avvenute tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila, però, la Mobil fu assorbita dalla Exxon e la Texaco dalla Chevron. A quel punto prevalse la cultura delle aziende acquirenti, estranee all’intermediazione finanziaria.

Oggi sia la Exxon sia la Chevron hanno delle unità dedicate al trading, ma si tratta in larga misura di operazioni fatte per rafforzare l’offerta e la domanda nelle loro attività principali. Entrambe le aziende tuttavia stanno cercando di passare gradualmente a quelle forme d’intermediazione finanziaria più aggressive in cui gli europei eccellono. A febbraio la Exxon ha annunciato una nuova divisione, la Global trading, con l’obiettivo di “produrre dei risultati di primo piano nel settore dell’intermediazione finanziaria”. Anche la Chevron si sta muovendo nella stessa direzione.

Entrambe le aziende hanno di fronte degli ostacoli enormi. In primo luogo, non è chiaro se i dirigenti più influenti – e i loro consigli d’amministrazione – sono a proprio agio con un’attività che presenta rischi elevati, anche se promette profitti potenzialmente enormi. La risposta è no se si guarda agli ultimi cinque anni della Exxon, che ha fatto diverse incursioni nel mondo dell’intermediazione finanziaria seguite da veloci ritirate. Per guadagnare bisogna essere disposti a sopportare periodi di perdite, come hanno fatto in passato sia la Bp sia la Shell. Tuttavia, creando una nuova unità dedicata all’intermediazione finanziaria, la Exxon sembra aver compreso le dimensioni della sfida.

In secondo luogo, la Exxon e la Chevron avranno difficoltà ad attirare i talenti migliori. Alla Bp un gruppo selezionato d’intermediari finanziari guadagna ogni anno più dell’amministratore delegato dell’azienda. Difficile che possa succedere nelle due compagnie statunitensi. In Europa anche gli intermediari finanziari di livello medio guadagnano ricchi bonus, molto più alti di quelli assicurati agli ingegneri della Exxon e della Chevron che fanno funzionare i pozzi di petrolio e le raffinerie. Pare che alla Exxon abbiano finalmente capito di dover pagare meglio gli operatori finanziari con più talento.

Terzo, l’intermediazione finanziaria può essere molto redditizia, ma è molto costosa. Gli operatori specializzati nelle materie prime hanno bisogno di liquidità per posizionarsi sul mercato, e questo consuma una grande quantità di capitale, che in alcuni casi potrebbe mandare in sofferenza il bilancio, riducendo il flusso di cassa per l’impresa. La Shell, per esempio, si è resa conto che può avere dei problemi con l’unità d’intermediazione finanziaria sul gas naturale liquefatto, perché i suoi operatori spendono i capitali prima che arrivino i profitti, provocando un’instabilità nel bilancio che l’azienda ha qualche difficoltà a spiegare agli azionisti.

Divisioni dedicate

Il gioco vale la candela? Guardando ai profitti della Bp la risposta dovrebbe essere sì. Ma c’è un motivo se gli europei parlano poco delle loro divisioni dedicate al trading: gli azionisti attribuiscono all’attività un rapporto tra il prezzo e l’utile molto basso. Paradossalmente, per le grandi compagnie petrolifere è un settore che è meglio tenere nascosto. Alla Exxon e alla Chevron si tende a ridurre al minimo i rischi, non a sfruttarli. Resta da vedere se i dirigenti e gli azionisti sono disposti ad accogliere attività simili ai fondi speculativi nei loro affari. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1508 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati