Tre anni dopo la fine della pandemia molti uffici negli Stati Uniti sono ancora vuoti, mentre quelli in Europa e Asia sono di nuovo pieni di vita. Gli statunitensi preferiscono il lavoro da remoto, voltando le spalle agli uffici molto di più rispetto a quanto succede nel resto del mondo. Il tasso di occupazione degli uffici negli Stati Uniti si attesta tra il 40 e il 60 per cento rispetto ai livelli precedenti alla pandemia, con grandi differenze in base al periodo e alle città. In Europa e in Medio Oriente queste percentuali raggiungono il 70-90 per cento, secondo la società di servizi immobiliari Jll, che gestisce 1,4 miliardi di metri quadrati d’immobili in tutto il mondo. Il rientro in ufficio è stato ancora più esteso in Asia. Sempre secondo la Jll, qui le percentuali variano tra l’80 e il 110 per cento. In alcune città, quindi, ci sono più persone in ufficio rispetto al periodo precedente alla pandemia. Gli esperti d’immobili commerciali sostengono che appartamenti più grandi, tragitti fra casa e ufficio più lunghi e un mercato del lavoro più rigido sono alcuni dei fattori in grado di spiegare perché gli statunitensi trascorrono meno tempo in presenza rispetto agli europei e agli asiatici.

Questo divario nel rientro in ufficio rappresenta un vantaggio per i proprietari d’immobili fuori dagli Stati Uniti e influenza anche la capacità di ripresa delle aree metropolitane dopo lo shock economico provocato dalla pandemia. Le città europee e asiatiche si sono riprese relativamente bene. Negli Stati Uniti, invece, gli uffici vuoti e i pendolari assenti hanno indebolito la ripresa di città come New York e San Francisco, dove sono in difficoltà i ristoranti, i negozi e le altre attività locali che avevano come clienti soprattutto gli impiegati.

Secondo un rapporto del New school center for New York city affairs, il numero di disoccupati a New York è aumentato di 83.500 persone tra l’inizio del 2020 e il terzo quadrimestre del 2022, e il tasso di disoccupazione in città ha superato di molto la media nazionale. Molte delle persone che hanno perso il lavoro erano impiegate a Manhattan in attività a diretto contatto con il pubblico, come la vendita al dettaglio, il settore alberghiero o i servizi di ristorazione.

Se è vero che Manhattan è stata particolarmente colpita a causa della forte presenza di pendolari, anche in altre città degli Stati Uniti i quartieri in centro stanno facendo fatica. Il crollo del valore degli uffici minaccia di avere conseguenze pesanti sui bilanci comunali, che dipendono dalle tasse sulle proprietà immobiliari. Un calo dei cittadini che usano i mezzi di trasporto, inoltre, influisce sulle finanze delle aziende di trasporto pubblico. Aumentare il numero di appartamenti può contribuire a migliorare la situazione, ma ci vorrà tempo.

Diverse capitali straniere hanno registrato periodi in cui più del 75 per cento dei lavoratori sono rientrati in presenza nel 2021 e nel 2022, spiegano alla Jll. Tra queste ci sono Tokyo, Seoul e Singapore in Asia. Parigi è sempre stata in cima alla classifica in Europa. Stoccolma non si distacca di molto, registrando per diversi mesi una percentuale di rientro superiore al 75 per cento. Nessuna grande città statuni­tense monitorata dalla Jll ha raggiunto percentuali così alte nello stesso periodo.

Condizioni abitative

Uno dei motivi della differenza nelle presenze sul posto di lavoro va ricercata nelle condizioni abitative. Gli statunitensi hanno più probabilità di vivere in grandi case di periferia. Di conseguenza è più facile per loro organizzarsi un ufficio senza distrazioni. Nei piccoli appartamenti di Hong Kong, invece, spesso abitano insieme diverse generazioni, quindi lavorarci è meno invitante.

A causa dell’espansione urbana, inoltre, molti statunitensi devono affrontare tragitti tra casa e ufficio più lunghi e complicati, segnati da ingorghi in continuo peggioramento. Questo è un altro buon motivo per lavorare da remoto. È vero che anche in diverse città europee i tragitti tra casa e ufficio possono essere lunghi, ma secondo l’azienda di servizi per la mobilità Moovit città come New York e Chicago non hanno paragoni. I sistemi di trasporto pubblico in Europa e in Asia sono spesso più affidabili o meno soggetti a ritardi. “Abbiamo città ad alta densità con trasporti pubblici efficienti”, afferma Caroline Pontifex, responsabile dell’esperienza sul posto di lavoro per la società di consulenza Kks Savills, che ha sede a Londra. “Questo cambia le cose”.

Un’altra spiegazione dell’eccezione statunitense riguarda il mercato del lavoro. Con una percentuale del 3,4 per cento, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è più o meno la metà rispetto al 6,1 per cento dell’Unione europea. Anche in Europa scarseggia la manodopera ma, spiega Phil Ryan, della Jll, le aziende statunitensi sono state particolarmente colpite da questo problema e sono state costrette a cercare dipendenti anche molto lontano, facendo assunzioni a distanza e consentendo il lavoro da remoto. Le aziende tecnologiche, che in alcune grandi città statunitensi assorbono una parte rilevante degli occupati, sono da tempo più tolleranti con il lavoro a distanza.

Scrivanie occupate

Anche le aziende di co-working riferiscono di livelli di occupazione degli spazi più bassi in alcune città degli Stati Uniti. La WeWork ha dichiarato che nel secondo quadrimestre del 2022 le sue scrivanie occupate a New York erano il 72 per cento, rispetto all’80 per cento di Parigi, all’81 per cento di Londra e all’82 per cento di Singapore.

Secondo gli esperti, il divario nell’uso degli uffici tra gli Stati Uniti e il resto del mondo non sparirà. Non aiuta il fatto che gli uffici statunitensi erano più vuoti già prima della pandemia. A causa di un eccesso nella costruzione di nuovi immobili, il tasso di edifici liberi era piuttosto alto e anche le aziende che li prendevano in affitto tendevano a collocare meno persone per piano rispetto alle controparti europee o asiatiche.

Così si crea un circolo vizioso, spiega Phil Kirschner, della società di consulenza McKinsey: gli statunitensi si ritrovano in grandi uffici per lo più vuoti, vivono la situazione come un’esperienza deprimente e questo accresce le probabilità che scelgano di restare a casa. “Hanno la sensazione che ci sia meno energia”, dice Kirschner. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati