Ghali Eden aveva cinque anni quando ha scarabocchiato un paio di baffi su una sua foto e ha chiesto ai suoi cugini di chiamarlo con un nome maschile. Ha sempre saputo di essere un ragazzo, anche se la sua famiglia, la società marocchina e la legge dicevano che non lo era, perché la identificavano come una bambina. Oggi che ha ventisette anni, e vive in Belgio da otto, dice di non aver mai visto un altro trans africano raccontare in pubblico come lui la sua transi­zione.

Eden è un attivista per i diritti delle persone transgender in Marocco e il fondatore dell’ong Moroccan transgender community, che ha un account Instagram con più di mille iscritti a cui arrivano decine di messaggi ogni settimana. “Ho vissuto diciannove anni in Marocco, è casa mia”, dice. “Non voglio che i bambini trans si sentano come mi sono sentito io”.

Quando Eden studiava alla Catho­lique di Louvain, la più grande università francofona del Belgio, ha visto per la prima volta delle persone trans camminare tranquillamente per strada. Ha cominciato a fare delle ricerche sulla transizione, anche se pensava che “fosse un sogno irrealizzabile”. Per tutta la vita aveva odiato presentarsi come una ragazza e indossare la gonna. A tredici anni ebbe per la prima volta le mestruazioni. “Mi sentivo come se fossi intrappolato nel corpo di qualcun altro”, dice. Ha sofferto di depressione anche dopo essersi trasferito in Belgio. “Al lavoro colleghi e amici mi hanno accettato per quello che sono, la causa della mia depressione è in Marocco”.

Nel marzo 2020, durante il primo lockdown, la madre di Eden gli ha riferito le parole di un parente: diceva che la famiglia si vergognava perché portava i capelli corti e indossava sempre i pantaloni. “È stato allora che ho detto a mia madre: ‘sono transgender’”. Il lockdown e le telefonate a casa hanno peggiorato la sua depressione. “Avevo due scelte: cominciare la transizione o suicidarmi”, dice.

Alla fine ha deciso di fare il percorso di transizione, seguito da medici privati belgi, e ha creato il profilo su Instagram della Moroccan transgender community. Ha deciso di condividere la sua transizione passo dopo passo, dalle prime iniezioni di testosterone nel dicembre 2020 alla doppia mastectomia dell’agosto 2021. Ha condiviso sia le difficoltà dei trattamenti ormonali e chirurgici sia la gioia di avvicinarsi fisicamente all’uomo che ha sempre saputo di essere.

Un atto di resistenza

In Marocco le leggi non riconoscono i diritti delle persone lgbt+. Per Eden essere un uomo trans è un atto di resistenza. In Marocco l’omosessualità è un reato punito dal codice penale del 1962 con una multa e fino a tre anni di carcere. Secondo le ong quasi cinquemila uomini gay sono finiti in prigione dal 1956, anno in cui il paese ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia. I politici continuano a descrivere l’omosessualità come un atto contro il Marocco e l’islam.

Uno studio realizzato nel 2020 su quattrocento persone della comunità lgbt+ marocchina ha rivelato che la maggior parte della società emargina chi ne fa parte: almeno il settanta per cento degli intervistati ha detto di aver subìto qualche violenza a causa del proprio orientamento sessuale. Anche il numero di donne lesbiche marocchine che chiedono asilo nei Paesi Bassi e in Spagna è in crescita. Durante la pandemia, in Marocco sono aumentati i rischi per le persone lgbt+ , spesso costrette a stare in casa in situazioni non sicure. Nell’aprile 2020 uno studente marocchino tornato dalla Francia si è suicidato dopo che era stata rivelata la sua omosessualità.

Biografia

1995 Nasce a Tétouan, nel nord del Marocco, e gli viene dato un nome femminile.

2014 Si trasferisce in Belgio, nella regione della Vallonia, per studiare all’Université catholique de Louvain.

2020 Fa coming out, dichiarando alla madre di essere transgender, e comincia il processo di transizione. Cambia il suo nome in Ghali. ◆ settembre 2021 Fonda l’ong Moroccan transgender community, creando una piattaforma online dedicata alle persone transgender in Marocco.


In Belgio i documenti di Eden rispecchiano la sua identità, ma su quelli marocchini ci sono ancora il suo vecchio nome e il genere femminile. “Questo mi fa molta tristezza”, commenta. Se tornasse in Marocco potrebbe essere incarcerato con l’accusa di omosessualità o “devianza sessuale”.

È qui che entra in gioco la Moroccan transgender community. Eden ha voluto creare una piattaforma online per sostenere le persone trans marocchine. Dice di ricevere dai quindici ai trenta messaggi alla settimana da persone che cercano consigli e informazioni. Ad aiutarlo c’è il suo amico Eyad Eden, il cofondatore dell’ong, che ha cominciato la sua transizione mentre studiava all’estero. Il punto è cambiare la mentalità delle persone, dice Eyad, e “la legge, in modo che non discrimini le persone transessuali”. Entrambi spiegano che è importante parlare anche con i genitori, perché possono essere alleati importanti. Molti padri e madri di figli trans si rivolgono a loro.

La madre di Eden ha fatto molta strada: ora non solo accetta suo figlio, ma ne celebra il coraggio e dice che i genitori di bambini transessuali “dovrebbero essere solidali, amare i loro figli e, soprattutto, informarsi”. Questo significa anche capire quali rischi corrono i ragazzi come loro. Eden dice che la transizione in Marocco può essere pericolosa perché mancano “un sistema sanitario e un quadro giuridico adeguati”.

Anche i parenti possono essere una minaccia, sostiene Eden, perché “in Marocco ci sono genitori e familiari che potrebbero ucciderti se sanno che fai parte della comunità lgbt+”. È questo il motivo per cui spesso consiglia agli adolescenti che vogliono fare coming out con le loro famiglie di aspettare, finire gli studi e diventare economicamente indipendenti: c’è sempre la possibilità di essere cacciati di casa.

Eden ricorda la storia che gli ha raccontato un uomo trans: dopo che aveva fatto coming out, la famiglia ha trovato un uomo e l’ha costretto a sposarlo. Molti marocchini sono costretti a chiedere asilo in Europa e spesso hanno cominciato la transizione proprio mentre studiavano in occidente.

Lo stesso Eden conosce il dolore dell’esilio. Non ha potuto andare a trovare un parente anziano in fin di vita in Marocco perché parte della sua famiglia si rifiuta di accettare la sua transizione. Gli hanno detto “andrai all’inferno” e “per noi sei già morto”. Sui social network ha scritto: “Sapete qual è la situazione più difficile in assoluto? Quando una persona molto cara muore e tu hai perso l’ultima occasione di vederla solo perché sei nato transgender”.

Le cose però potrebbero cambiare. All’inizio del Ramadan, ad aprile, la madre di Eden, gli amici e gli attivisti lgbt+ lo hanno riaccolto a Tétouan, la sua città natale nel nord del Marocco. Per lui è stato un momento speciale perché ha potuto digiunare, “andare in moschea e uscire con altri uomini. Tutto questo nel corpo giusto. Non ci sono parole per descrivere l’euforia che provavo facendo queste semplici cose”. Da musulmano praticante, dice che ovviamente nel Corano non c’è nulla contro le persone trans.

Tornato in Belgio, Eden riflette sul fatto che l’emigrazione possa essere l’unico modo per una persona trans marocchina di vivere in tranquillità. Ma è una scelta impossibile per molti. E così, dice, la comunità trans del suo paese si divide tra quelli che sono già partiti e quelli che vogliono disperatamente farlo. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1461 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati