Il flash è diretto, secco, frontale e violento. Cattura al volo le persone, potremmo dire che le inchioda da sole o in coppia, quasi mai in più di due, e lo fa di notte, così da utilizzare il buio come un fondale su cui far risaltare i personaggi. Una vera immersione in una corte dei miracoli che si fa fatica a situare a causa di una scenografia priva di contesto e molto degradata: muri scrostati, edifici in rovina e parchi in cui foglie e alberi, come congelati dalla luce, sembrano aggressivi. Tutto è stato fotografato a Calcutta a partire dal 2013 da Soham Gupta, nato nel 1988. “Ho cominciato a fotografare nel 2005 mentre ero ancora a scuola. Detestavo ogni momento che ci passavo. Ho trovato una via di fuga nella fotografia. Dopo il diploma mi sono iscritto all’università per studiare letterature comparate, ma ho abbandonato dopo un periodo di depressione”, dice Gupta. A causarla sono stati un’infanzia con un’asma molto forte, intimidazioni a scuola e abusi sessuali subiti da un parente. “La diagnosi era al limite della schizofrenia”, racconta, “e dai venti ai trent’anni ero molto arrabbiato, un ragazzo che non amava il modo in cui il mondo emargina i deboli. È in quegli anni che ho creato la serie Angst (angoscia). Volevo colpire le classi sociali che ignorano la vita reale. Volevo scandalizzare e provocare. Oggi voglio che questo lavoro sia la testimonianza della fine di molti sogni, anche se si tratta di un ricordo della mia gioventù tormentata”.

Queste fotografie strappate alla notte, che a un primo sguardo sembrano frammenti sottratti a un universo visto da vicino, sono in realtà il risultato di un lungo lavoro. Ed è certamente questo che le rende così profondamente umane, evitando qualsiasi effetto voyeuristico. Dopo aver scattato in fretta delle prime fotografie, Gupta non era soddisfatto e ha capito che gli serviva tempo. Sia per solidarietà sia per necessità, si è immerso nell’universo degli emarginati, e ha ascoltato e preso appunti. Non ha mai smesso di tornare sugli stessi luoghi, dalle stesse persone.

Sotto il ponte

“La gente che fotografo e le esperienze che ho vissuto mi spingono a continuare. Uno dei miei progetti preferiti è People of the bridge, un lavoro di due anni sui senzatetto che vivono sotto il ponte di Howrah, a Calcutta. Questo lavoro è molto importante per me a causa delle esperienze che ho vissuto lì. La maggior parte di queste persone soffre di disturbi mentali. Molte hanno piaghe aperte e gravi problemi allo stomaco. In gran parte sono venute nella metropoli dalle zone rurali dell’India orientale in cerca di un lavoro e, quando la fortuna le ha abbandonate, sono cadute nell’alcol e nella droga, finendo sotto il ponte, dimenticate per sempre”, spiega Gupta.

“Queste persone, i miei amici sotto il ponte, non possiedono nulla ed è capitato che mi offrissero una siringa usata in segno di amicizia. Sono anime perdute in attesa di morire, inghiottite dalle tenebre. Tuttavia il modo in cui si sono aperte con me è incredibile. L’inverno scorso ho incontrato Prafulla Chakrabarty. Si drogava ed era malato, e mi ha chiesto aiuto. Così con Raju, che vive lì, lo abbiamo portato in ospedale. Dopo lunghe ore d’attesa, il rifiuto di ricoverarlo e quattro ore di discussione, è stato finalmente fatto entrare. Queste esperienze mi hanno reso più ostinato. E mi hanno convinto a lavorare sotto il ponte il più a lungo possibile”.

Anche se considera Angst (fatto di stampe e proiezioni) un lavoro ancora in corso, Gupta ha avviato altri progetti fedeli alle stesse regole.

Eden evoca una strana città che torna allo stato naturale e in cui il fotografo mescola bianco e nero e colore, con inquadrature dirette e taglienti. Desi boys, sulla moda dei ragazzi di Calcutta, fotografati di notte e illuminati con il flash in modo meno violento, rappresenta un altro album di emarginati.

Nei suoi lavori Gupta non giudica mai niente e nessuno, e non rispetta i codici della fotografia umanista per sconvolgere, colpire e far reagire. Cerca sempre di evidenziare i momenti di tenerezza e le relazioni tra le persone. Gupta riconosce apertamente i suoi riferimenti fotografici: “Ammiro molto Don McCullin. Quando ho cominciato a interessarmi alla fotografia, le sue opere sono state le prime ad attirarmi e ho sempre con me un’edizione ingiallita della serie The great photographers su di lui. È il mio eroe”.

Anche la letteratura lo ha influenzato. “Ultima uscita per Brooklyn di Hubert Selby Jr. è uno libro che mi ha segnato molto. Mi piace anche Charles Baudelaire e i racconti di Charles Bukowski. Di recente ho letto London labour and the London poor di Henry Mayhew, una bella descrizione della Londra vittoriana. Un giorno vorrei fare qualcosa di simile a Calcutta. In Angst ci sono tutta la mia rabbia, le mie frustrazioni e il mio odio per questo mondo in cui non c’è più posto per i deboli”. ◆ adr

Da sapere
Le mostre

◆ La mostra Angst è in corso al Museum für gegenwartskunst di Siegen, in Germania, fino al 29 maggio; e alla Maison de la photographie Robert Doisneau di Gentilly, in Francia, fino al 2 giugno.


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Questo articolo è uscito sul numero 1461 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati