In pochi mesi i pianeti si sono allineati per il Qatar. Da quando a gennaio è rientrato nel gruppo dei paesi del golfo Persico, dopo un boicottaggio durato più di tre anni, il piccolo emirato ora vuole contare su tutti i fronti: Afghanistan, Libia, conflitto israelo-palestinese e negoziati sul nucleare iraniano. Negli ultimi anni il Qatar ha cercato di smarcarsi dai paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo e ha intensificato gli sforzi diplomatici per affermarsi come mediatore nella regione. Adottando un atteggiamento meno rigido dei vicini, punta sulla capacità di “parlare con tutti”, consolidata durante l’isolamento, quando si è avvicinato a Iran e Turchia, rivali di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. “Nel Golfo il Qatar conduce una politica estera autonoma”, sottolinea Eleonora Ardemagni, ricercatrice all’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) in Italia. “Doha si è creata una forte identità come centro per la risoluzione dei conflitti”, nota Mehran Kamrava, che insegna amministrazione pubblica all’università di Georgetown in Qatar.

Una strategia che ha dato i suoi frutti ad agosto, in occasione del ritiro statunitense dall’Afghanistan e del ritorno al potere dei taliban. Se Riyadh e Abu Dhabi hanno mostrato prudenza nei confronti del movimento fondamentalista, con cui avevano coltivato stretti legami negli anni novanta, Doha si è distinta per la sua abilità diplomatica. L’emirato – che ospita l’ufficio politico dei taliban dal 2013 e dove si sono svolti i negoziati con Washington che hanno spianato la strada all’accordo del febbraio 2020 – ha fatto appello a una transizione pacifica, ricevendo l’approvazione degli occidentali per la partecipazione alle operazioni di evacuazione da Kabul. Vari paesi hanno trasferito gli uffici diplomatici e le ambasciate da Kabul a Doha. Considerato un sostegno importante per molti movimenti islamisti vicini ai Fratelli musulmani, l’emirato ha l’obiettivo di mantenere una certa neutralità. “È il solo modo per contenere i pericoli di un’eccessiva esposizione”, spiega Ardemagni.

La situazione nella regione e la pandemia hanno permesso all’emirato di rafforzarsi sul piano internazionale a colpi di aiuti finanziari. Doha ha fornito materiale medico e ospedali da campo alla Tunisia, dove ha rapporti stretti con il partito islamista moderato Ennahda. Nella Striscia di Gaza, grazie ai contatti con Hamas, il Qatar svolge un ruolo di mediazione con Israele e a settembre ha negoziato la ripresa della distribuzione di aiuti alle famiglie in difficoltà attraverso l’Onu. A luglio il capo della diplomazia del Qatar, lo sceicco Mohammad bin Abdel Rahmane al Thani, è andato in Libano e ha promesso di aiutare il paese a uscire dalla crisi.

Osservato speciale

Sul piano economico l’aumento dei prezzi del petrolio e del gas ha rimesso il Qatar in carreggiata, rafforzando la fiducia nella sua economia. Con l’allentamento dei limiti a viaggiare imposti dalla pandemia, Doha conta anche sulla diplomazia sportiva per espandere le sue reti internazionali. A novembre s’inaugura il gran premio del Qatar di Formula 1 e il culmine saranno i Mondiali di calcio del 2022.

L’emirato resta però un osservato speciale della comunità internazionale ed è oggetto di molte critiche per le violazioni dei diritti umani. Secondo il quotidiano britannico The Guardian, più di 6.500 lavoratori migranti sono morti nel paese da quando, dieci anni fa, gli è stata assegnata l’organizzazione dei Mondiali 2022. Per questo varie ong hanno lanciato un appello a boicottare l’evento. E anche se Doha vuole mostrarsi come simbolo di modernità nel mondo arabo-musulmano, sotto la guida dell’emiro Tamim bin Hamad al Thani, le riforme sono lente. Le prime elezioni libere, organizzate il 2 ottobre per scegliere trenta dei 45 rappresentanti dell’assemblea legislativa, finora nominati dall’emiro, sono un passo avanti senza precedenti. Ma su un totale di 233 candidature nessuna delle 26 donne in lizza è stata eletta. Per Tobias Borck, ricercatore al Royal united services institute, un centro studi britannico, “le elezioni sono un passo verso una maggiore partecipazione politica, ma non hanno l’obiettivo di trasformare il Qatar in una democrazia”. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1431 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati