“Mentre compio l’ultimo passo dell’uomo su questa superficie, vorrei solo dire quello che penso sarà ricordato dalla storia: che la sfida americana di oggi ha forgiato il destino umano di domani”. Queste furono alcune delle ultime parole pronunciate nel 1972 sulla Luna dall’astronauta statunitense Eugene Cernan mentre saliva la scaletta per rientrare nel modulo lunare. Contrariamente alle sue speranze, da allora nessuno ha più messo piede sul mondo solitario che orbita intorno al nostro. Ma le cose stanno per cambiare, perché gli Stati Uniti prevedono di tornare a mandare esseri umani sulla Luna entro il 2025 e stabilirci una base permanente. Se a questo si aggiungono i piani della Cina e di altri paesi, per non parlare delle tante missioni robotiche, è evidente che stiamo entrando in una nuova era di esplorazione della Luna. La domanda, dopo tanti anni, è: perché ora?

La decisione di mettere fine al programma Apollo era stata presa molto prima che Cernan lasciasse le sue impronte sul suolo lunare. “Il programma Apollo non è stato abbandonato perché era troppo costoso”, dice Mary Lynne Dittmar della Axiom Space. L’avventura si concluse perché il programma era stato concepito per vincere una corsa con motivazioni politiche: gli Stati Uniti volevano battere l’Unione Sovietica e arrivare per primi sulla Luna. Una volta raggiunto quell’obiettivo, la Luna non era più una priorità.

Le forze che oggi spingono il nostro ritorno sulla Luna sono totalmente diverse. Negli anni settanta ogni missione era un’impresa epica e rischiosa guidata dagli Stati Uniti o dall’Unione Sovietica con spese incredibili. Ogni progetto era definito in anticipo, poi la macchina dello stato usava ogni sua risorsa per concretizzarlo. Oggi viaggiare nello spazio è meno costoso, perciò molti altri paesi e aziende private possono provarci. Questo significa anche che possono lanciare missioni di prova e vedere cosa funziona.

Negli ultimi anni la Cina ha intensificato la sua attività, inviando una sonda sul lato nascosto della Luna e ottenendo altri risultati notevoli. Si è impegnata a creare una stazione di ricerca robotica congiunta sino-russa, e sostiene che entro il 2030 saranno possibili missioni con equipaggio umano, anche se non ha presentato piani concreti. Ma gli Stati Uniti sono ancora all’avanguardia. La prima missione del programma Artemis sarà un viaggio senza equipaggio che si spingerà ben oltre la Luna e userà il razzo più potente mai realizzato, lo Space launch system (Sls), progettato per l’occasione. Avrebbe dovuto partire all’inizio di settembre, ma a causa di problemi tecnici il lancio è stato rimandato al 14 novembre. Se tutto andrà bene, il progetto dovrebbe raggiungere un importante obiettivo nel 2025, quando due persone seguiranno i passi di Cernan, compresa la prima donna sulla Luna.

Si può essere scettici sulla capacità della Nasa di realizzare i suoi piani così rapidamente. Il programma Constellation, che avrebbe dovuto portare esseri umani sulla Luna entro il 2020 per poi proseguire verso Marte, è stato abbandonato nel 2010. Ma nella comunità scientifica spaziale è opinione comune che l’Artemis sia diversa. “Altri progetti sono falliti perché erano esclusivamente statunitensi”, dice Laura Forczyk dell’azienda di consulenza spaziale Astralytical. “L’Artemis invece si basa sulla cooperazione con altri paesi”.

Il programma Artemis

Artemis è una gigantesca collaborazione. Varie parti delle missioni sono affidate alle agenzia spaziali di Unione europea, Canada, Giappone e altri paesi. “È un caso molto diverso dall’Apollo”, dice Erika Alvarez, ingegnere della squadra Artemis della Nasa. La progettazione e costruzione di elementi tecnologici cruciali, come per esempio i veicoli per l’allunaggio e la stazione spaziale orbitante, saranno appaltate ad aziende private. Mentre i primi voli useranno il razzo Sls, di proprietà dello stato, alcuni viaggi successivi per portare carichi sulla Luna saranno effettuati con la Starship, un vettore altrettanto enorme progettato e costruito dalla SpaceX di Elon Musk. È molto più economico dell’Sls da gestire, e alcuni pensano che potrebbe sostituirlo completamente.

Potremmo chiederci perché ci è voluto tanto per arrivare a questo punto. Uno dei motivi è che negli ultimi vent’anni il grande progetto spaziale dell’umanità è stato la Stazione spaziale internazionale (Iss), una collaborazione tra le agenzie spaziali di Stati Uniti, Russia, Giappone, Canada e Unione europea che ci ha insegnato come far vivere le persone nello spazio per lunghi periodi. Ma aver ignorato la Luna per tanto tempo significa che molti ingegneri delle missioni Apollo sono andati in pensione o sono morti, e le loro esperienze e conoscenze devono essere ricostruite testando i nuovi strumenti e le nuove procedure. “Ci sono cose che abbiamo imparato a nostre spese, e non vogliamo passarci di nuovo,” dice Dittmar. Non è solo il razzo che deve essere testato, ma anche una grande quantità di nuove tecnologie. “Stiamo lavorando su tutto, dall’alimentazione a bagni modificati per durare nel tempo fino ai sistemi di controllo ambientale”, spiega Alvarez.

Perché mandare di nuovo gli esseri umani sulla Luna?

Dire che si tratta di un compito difficile è poco, e questo potrebbe suscitare una domanda: perché prendersi il disturbo di tornare lassù? Esiste la possibilità di guadagnare sfruttando le risorse lunari. Ma se lo chiedete alla Nasa, vi risponderà che tornare sulla Luna è una premessa essenziale per una spedizione su Marte, dove l’agenzia spera di inviare una squadra di astronauti entro la fine degli anni trenta.

I primi esseri umani a raggiungere Marte affronteranno un viaggio di nove mesi solo per arrivarci, e dovranno restare lì per altri mesi prima di poter cominciare il viaggio di ritorno. Per questo imparare a creare un insediamento sulla Luna sarà indispensabile per poter prendere anche solo in considerazione un soggiorno sul pianeta rosso. “La Luna è una base perfetta per testare queste tecnologie, le attrezzature, la manutenzione e le riparazioni. Perché dalla Luna possiamo sempre tornare a casa”, spiega Alvarez.

Secondo alcuni non vale la pena mandare esseri umani lontano dalla Terra. Se l’obiettivo è esplorare e fare ricerca, mandiamo dei robot: sono molto più resistenti e adattabili degli esseri umani. Potrebbero non essere in grado di interpretare il paesaggio intorno a loro, ma possono inviarci dati e immagini.

Come dice Dittmar, però, forse questa nuova spinta a mandare di nuovo qualcuno sulla Luna è semplicemente nella natura umana: la nostra specie ama esplorare. “Perché mai dovremmo salire su una barca e avventurarci sull’acqua dove non riusciamo ad arrivare a nuoto?”, dice. “Perché dovremmo attraversare un passo di montagna o un ponte di ghiaccio? È scritto nella nostra natura, ha senso biologicamente. Quello che succede ora è che la nostra tecnologia si è sviluppata, come accadde quando ci portò fuori dall’Africa e oltre gli oceani. Ora si è evoluta fino a portarci fuori dal pianeta. Non mi sembra diverso dal resto della storia umana”. ◆gc

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Questo articolo è uscito sul numero 1486 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati