D al confine e dalle stazioni di Varsavia i pull­man trasportano i profughi 24 ore su 24. Stanchi e assenti, prima si riversano a gruppi nell’enorme parcheggio, poi, trascinando bambini, cani, valigie e borse, raggiungono il banco per la registrazione. L’operazione è veloce: nome, cognome, estremi del documento, data di attraversamento del confine e firma. Poi si ricevono coperte, lenzuola, cuscini, prodotti per l’igiene, a seconda delle esigenze. Una fascia sul braccio e poi il soldato delle forze di difesa territoriale li fa entrare nella struttura, dove i profughi possono scegliere il loro lettino da campo.

D’ora in poi il loro luogo di residenza temporanea sarà quel lettino, nel padiglione B, C, D o E del centro di accoglienza della Ptak Warsaw expo, il più grande spazio fieristico dell’Europa centro-orientale, che si trova a Nadarzyn, circa venti chilometri a sud di Varsavia. Gli ucraini dovrebbero rimanere qui solo per due o tre giorni, per poi trasferirsi in altre città della Polonia o dell’Europa occidentale. Spesso, però, le cose non vanno come previsto.

Il presidente del consiglio di amministrazione della Ptak Warsaw expo, Tomasz Szypuła, ha scoperto che si sarebbe dovuto occupare degli ucraini il 4 marzo 2022 verso le ore 13. Lo ha chiamato il governatore della regione della Masovia, Konstanty Radziwiłł. Le prime centinaia di profughi sono arrivate alle 18.

Szypuła non nasconde che all’inizio era letteralmente terrorizzato: si era sempre occupato di organizzare fiere, e non aveva nessuna esperienza nel campo degli aiuti umanitari. Ha improvvisato, cercando d’imparare dai propri errori. Non c’era neppure il tempo per provare compassione per chi arrivava. Solo ora, dopo due settimane di lavoro frenetico, comincia a dormire sonni più tranquilli.

Ma com’è fatta la Ptak Warsaw expo? È composta da sei padiglioni per una superficie totale di 150mila metri quadrati, occupati solo in parte dai rifugiati. Gli spazi sono tutti organizzati nello stesso modo: c’è il punto per la registrazione, la zona notte, la mensa, i servizi igienici, le docce, l’assistenza medica e l’area giochi per i bambini.

I padiglioni sono di grandezze diverse, e possono ospitare tra le ottocento e le duemila persone. Ci sono anche un magazzino centrale, dove sono stoccate e smistate le donazioni, e una stazione dei pullman, con viaggi gratuiti per tutta l’Europa (servizio di cui si occupa il governatore della regione in collaborazione con le ambasciate dei singoli paesi). Presto dovrebbe aprire un ambulatorio. Alla gestione del centro lavorano ogni giorno circa cinquecento persone, soprattutto agenti di polizia, militari, soldati delle forze di difesa territoriale, ma anche detenuti. Gli altri sono dipendenti dell’expo, polacchi e ucraini, e volontari. “Il centro”, osserva Szypuła, “funziona un po’ come una cittadina”. Una cittadina particolare, dove il numero di abitanti cambia di ora in ora.

Aiuti organizzati

Le lampade che diffondono luce fredda nei padiglioni non si spengono mai, né di notte né di giorno. C’è chi arriva e chi se ne va. Gli altri passeggiano, dormono, mangiano o semplicemente stanno seduti a fissare le pareti. Qualcuno fa progetti per il futuro. Qualcun altro sistema nervosamente le coperte e i cuscini sulla brandina, l’unico fragile spazio di privacy che si può avere nel centro. Altri ancora cercano informazioni: dove comprare una scheda per il telefono polacca, come arrivare a Varsavia.

Il ritmo della giornata è scandito dai pasti e dai pullman che ogni due ore partono per la Germania. La colazione è alle 8.30, il pranzo alle 13.30, la cena alle 18.30.

I continui cambiamenti sono evidenti soprattutto a chi lavora nel magazzino. A gestirlo è Kasia, che prima dirigeva la segreteria del consiglio di amministrazione. Oggi corre tra i pallet in jeans e scarpe da ginnastica, cercando di gestire al meglio la distribuzione di acqua, viveri e pannolini. E in poco tempo ha imparato a tenere sotto controllo la situazione. C’è una cosa, però, che Kasia non può pianificare: le donazioni, dalla Polonia e dall’estero. È impossibile prevedere cosa, in che quantità e quando arriverà. All’improvviso ecco tre camion carichi di bevande gassate, una tonnellata di arance e altre casse piene di non si sa bene cosa. Ci sono anche le donazioni dei privati. Malin e Ulf, due volontari svedesi, hanno appena portato decine di coperte, altri consegnano budini per bambini, giocattoli, ciabatte di plastica, assorbenti, asciugamani. Non mancano oggetti improbabili come pinne, scarpe sporche, un pallet intero di candele profumate.

Kasia spiega che dopo due settimane di lavoro il magazzino comincia a funzionare. E sottolinea che gran parte del merito è dei detenuti che fanno i volontari. Sono qui tutti i giorni, e sanno come funzionano le cose. Prima che arrivassero loro, c’erano dei volontari che venivano solo qualche giorno alla settimana e lavoravano senza nessun coordinamento.

Oggi i coordinatori del centro dichiarano di essere ancora aperti all’aiuto delle singole persone, ma gli chiedono di organizzarsi in gruppi stabili. Ci sono stati problemi anche con i giornalisti: inizialmente non erano ammessi nella struttura, ora possono visitarla, ma sempre con la supervisione di un dipendente dell’ufficio stampa del governatore regionale.

Alla tavola apparecchiata

Due sorelle di Poltava sono sedute intorno a una tavola quadrata con sette bambini. La tavola è apparecchiata e mangiano tutto insieme: yogurt, pesce e carne in scatola. Poi il pranzo, che è stato appena servito: pasta con salsiccia, gulasch con grano saraceno, insalata di cavoli.

Da sapere
Piano comune

◆ La migrazione di massa causata dalla guerra in Ucraina ha messo di nuovo in luce i problemi legati alla mancanza di una politica comune dell’Unione europea. Il 28 marzo la Commissione europea ha proposto un piano per gestire la situazione in modo più efficiente. Prevede, tra le altre cose: la creazione di una piattaforma per registrare chi ha diritto alla protezione internazionale; politiche coordinate sul trasporto dei profughi; mappatura delle capacità di accoglienza; linee guida per ospitare e sostenere i bambini; misure contro il traffico di esseri umani; ricollocamenti verso Canada, Stati Uniti e Regno Unito; ottimizzazione dell’uso dei fondi dell’Unione. Europa ore 7


Slav, Artur e Radomir, tre amici della periferia di Kiev, giocano a calcio nel parcheggio. “Qualcosa dobbiamo fare”, dicono. Artur si mette in mostra, fa dei palleggi di testa, fa finta di essere Ronaldo.

Una nonna, la figlia e la nipotina di tre anni e mezzo sono qui da tre giorni. Vengono da Sumy. Non vogliono più stare al chiuso. La primavera è arrivata, fa un po’ più caldo e preferiscono passeggiare tra un padiglione e l’altro. Dall’interno arrivano starnuti e colpi di tosse. Le donne dicono di avere paura di contagiarsi.

Pazienti e medici

All’inizio nei padiglioni della Ptak Warsaw expo l’assistenza medica era confusa e poco efficiente. Solo ora comincia lentamente a funzionare. Secondo i dati di una delle fondazioni mediche presenti, la First responder, i pazienti sono in media 1.200 al giorno, il che significa che una persona su sei ha bisogno di assistenza medica.

I numeri
Milioni in fuga
Numero di profughi nei maggiori conflitti degli ultimi quarantacinque anni (Fonte: Unchr/The New York Times)

I medici raccontano che ci sono pazienti di ogni tipo: dializzati, malati oncologici, bambini con rotavirus, persone disidratate, con l’epatite A, e bambine rom di appena tredici anni con i figli piccoli. Curarli è difficile: in ospedale non vogliono andare, perché temono di essere separati, e spesso si mettono in situazioni rischiose. Ma il vero problema sono i contagi da covid. Come ammette un volontario, la prassi informale è questa: zero test all’ingresso, i tamponi si fanno solo per eventuali trasferimenti in ospedale. Nel centro ci si può vaccinare, ma ne fanno richiesta pochissime persone.

I circa settemila profughi dell’expo sono aiutati da quindici medici volontari, spesso di aziende private, che stanno collaborando con il governo regionale. Come funzioneranno gli eventuali rimborsi per i costi delle apparecchiature nessuno lo sa. Del resto qui il denaro è un argomento tabù. Il presidente Szypuła sottolinea che al momento tutti i costi dell’accoglienza sono coperti dal titolare della fiera, Antoni Ptak. Tuttavia, è stato già firmato un contratto con il governo regionale. Nessuno, però, vuole dire per quale importo.

Partire subito

Julija è seduta di fronte all’area giochi per bambini nel padiglione D. Guarda la figlia Nataša che salta felice sui materassini. Ma vorrebbe andarsene il prima possibile. È arrivata appena quattro ore fa e non vede l’ora di prendere il pullman per la Spagna. Perché proprio in Spagna? Ha parenti lì? No, risponde Julija, ma in Spagna fa caldo e c’è il mare. Una famiglia di georgiani è arrivata cinque giorni fa da Dnipro. In Polonia non hanno nessuno. E nemmeno in Europa. Non sanno dove andare. Vorrebbero solo tornare a casa.

Una soluzione possibile

Il padiglione D è un punto strategico per l’intero centro. È da qui che partono i pull­man per Germania, Svizzera, Spagna e Paesi Bassi. Chi non vuole andare a occidente, può andare a Varsavia e cercare treni o pullman per le altre città polacche. Ma c’è anche una soluzione più semplice. Aspettare davanti alla fermata dei bus, dove arrivano in continuazione i mezzi che portano gli aiuti. Al momento ci sono degli spagnoli, che offrono dieci posti in auto per chi vuole andare a Madrid.

wPoi ci sono i tassisti, vincolati da un contratto con il centro, che fanno pagare 150 złoty (circa 35 euro) il viaggio fino a Varsavia. In passato alcuni profughi sono stati truffati da tassisti irregolari: pagavano in anticipo e poi venivano scaricati dietro l’angolo.

È appena arrivata Mariola, che abita a Kadzidłowo. Viene qui tutti i giorni da una settimana. Trova ai profughi sistemazioni gratuite nelle case dei privati. Subito le si forma intorno un capannello di persone. È lei a scegliere. Ma non capisce come mai non ci siano controlli. Finora l’hanno seguita già in venti. Chi lascia definitivamente il centro è obbligato a segnalarlo, ma nessuno le ha ancora chiesto dove porti i profughi.

Alla fine, per evitare problemi, è andata lei stessa a comunicare i suoi dati. “Qui può entrare chiunque. Forse sarebbe necessario un po’ più di controllo prima che succeda qualche disgrazia”, dice Mariola. Purtroppo stanno cominciando a circolare le prime voci su bambini scomparsi e donne vittime di tratta.

Ma questo è solo l’inizio. Altri problemi si presenteranno nelle prossime settimane. Di uno si parla per ora solo sottovoce, perché è un tema scomodo. Un gruppo abbastanza numeroso di persone – circa mille, quasi tutte rom – sembra non aver alcuna intenzione di andarsene. In certo senso sono i residenti permanenti del centro di assistenza temporanea. È facile individuarli: in ciabatte e accappatoio, discutono in gruppo, fumando o passeggiando per i padiglioni. Secondo alcuni volontari, appena finiranno le fiere primaverili ospitate negli altri padiglioni, i rom saranno separati dal resto dei profughi e messi tutti insieme nello stesso settore. Il tempo dirà se sarà davvero così. ◆dp

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Questo articolo è uscito sul numero 1454 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati