Javier Gerardo Milei è ormai sua eccellenza il presidente della repubblica argentina. Il 10 dicembre la cerimonia di passaggio di consegne ha avuto lo sfarzo effimero tipico di queste situazioni: un signore felice perché comincia, un altro amareggiato perché non comincerà mai più. Invece di parlare davanti a deputati, senatori e governatori, in teoria i rappresentanti del paese, Milei l’ha fatto di fronte a qualche migliaio di sostenitori nella piazza davanti al parlamento. Il suo discorso è stato trasmesso dalle tv e radio pubbliche che vuole privatizzare. Ha esordito dicendo che “oggi comincia una nuova epoca in Argentina”. Poi, appena ha potuto, si è lanciato nell’economia, argomento che dovrebbe conoscere. Ha detto di aver ricevuto un’eredità terribile, la peggiore della storia, e ha elencato una cascata di numeri orribili, nell’ordine di miliardi di dollari, ingarbugliandoli con alcune moltiplicazioni molto dubbie. E ha profetizzato un’inflazione del 15mila per cento all’anno “che cercheremo di sradicare con le unghie e con i denti”. Quindi i tagli sono inevitabili e non saranno graduali: occorre un trattamento shock. Ha minacciato un futuro così buio che un futuro nero sarebbe il suo grande trionfo. Ha annunciato mesi di profonda sofferenza economica e ha aggiunto che “questo avrà un impatto negativo sull’attività, l’occupazione, i salari reali, il numero di poveri e indigenti”.

E ha mentito, come quando ha ripetuto per l’ennesima volta che all’inizio del novecento “l’Argentina era la prima potenza mondiale”. O quando ha detto che “in termini di sicurezza, l’Argentina è diventata un bagno di sangue”, parlando di un paese con cinque omicidi all’anno ogni centomila abitanti, al di sotto della media mondiale e molto al di sotto degli Stati Uniti, del Cile o dell’Uruguay. Naturalmente, ha dato la colpa di tutto il disastro attuale allo statalismo, omettendo un altro fatto significativo: in Argentina, nell’ultimo mezzo secolo, ci sono stati tre governi privatizzatori, la giunta dei militari (1976-1983), il governo di Carlos Menem (1989-1999) e quello di Mauricio Macri (2015-2019). In altre parole, per quasi metà di questo mezzo secolo il paese è stato governato dai neoliberisti che hanno adottato misure molto più energiche e incisive degli statalisti. Ma una cosa è la realtà e un’altra la retorica, e la retorica attuale è che l’unico modo per risolvere i problemi dell’Argentina è rifare le stesse cose del passato. Ogni volta i risultati sono stati catastrofici.

Variabili aperte

La domanda ora è cosa farà Milei con il suo governo. Per cominciare, vediamo la sua squadra: su dieci ministri, cinque sono stati alti funzionari di Macri e quattro facevano parte dell’amministrazione di Menem. Sono la tanto odiata casta. Solo la ministra degli esteri non ha già ricoperto cariche pubbliche in passato. Tutti hanno ottenuto dei master in economia in università private e la maggior parte ha lavorato per banche e grandi fondi d’investimento. Nel frattempo sono rimasti senza incarichi i personaggi che davano a Milei quell’aria tra il delirante e l’innovatore che l’ha aiutato a essere eletto. Tutto dipenderà da chi userà chi nei prossimi mesi: se la casta che Milei ha attaccato lo manipolerà, se riuscirà a liberarsene, se vorrà farlo. Non sembra. Per ora le misure che sta per prendere ridurrebbero la sua campagna elettorale a una farsa eccellente (e sarebbe un sollievo, perché non potrebbe dollarizzare l’economia, far saltare la banca centrale e liberalizzare la vendita di armi). Ma il risultato sarebbe un magnifico inganno: per imporre la quarta incarnazione neoliberista un signore ha conquistato milioni di elettori con la storia della motosega ma vuole solo consolidare il potere di chi lo ha da sempre in Argentina. Se sarà così, resta l’inutile discussione: l’ha pianificato o le circostanze gliel’hanno imposto? Se l’ha pianificato, lo ha fatto da solo o è un ingranaggio di un meccanismo più complesso?

Intanto il futuro avanza. Per cercare di riconoscerlo è utile tenere conto di un fatto minore: nella sua recente visita a Wash­ington Milei ha confermato l’acquisto di 24 caccia F-16 dagli Stati Uniti. Considerata la sua promessa di tagliare la spesa pubblica, la misura è curiosa. Ma mancano ancora dati certi.

Nel frattempo tre importanti settori stanno festeggiando la vittoria di Milei. Prima di tutto il mondo imprenditoriale e i mezzi d’informazione che settimane fa erano spaventati dalle sue uscite ora lo vedono più capace di salvare il paese in pericolo. Hanno scoperto un “mileismo pragmatico” che gli permette di considerare il presidente uno di loro, un leader che potrebbe avvantaggiarli con le sue misure economiche e la permissività di un mercato incontrollato. Poi c’è lo zoccolo duro dei giovani mileisti, gli appassionati delle motoseghe, che volevano a buon diritto spaccare tutto. Infine ci sono molti milioni di argentini che non hanno nulla né a favore né contro di lui ma sperano che, se il suo governo andrà bene, per loro andrà meno male.

Tuttavia tutti e tre i settori potrebbero infrangersi su onde contrarie. Quello degli imprenditori, se la situazione economica di “sforzi e sacrifici” promessa da Milei gli si ritorcesse contro e l’inflazione riducesse ancora di più i consumi, perderebbe le opere pubbliche e non se la caverebbe licenziando i dipendenti. Quello degli entusiasti della motosega, se scopriranno che il loro idolo consoliderà le strutture che li fanno vivere come vivono e che vorrebbero abbattere. Cosa succederà se i mileisti, i giovani della classe media e bassa senza un lavoro formale, vedranno che il Leone che doveva mangiare il mondo a morsi è diventato un Macri con la criniera e un po’ più di fermezza? Quanto aspetteranno tranquilli che si scateni la furia giustiziera promessa? Quanto durerà la pazienza di chi ha votato per la più rabbiosa impazienza? Resta, naturalmente, la delusione più profonda e silenziosa di milioni di persone, che ancora hanno speranza, se scopriranno di non poter pagare l’acqua, l’elettricità o i trasporti senza sussidi. O se semplicemente perderanno il lavoro o gli aiuti che gli permettevano di mangiare ogni tanto. Sono tutte variabili aperte.

Come ha detto Milei, molti argentini soffriranno molto. Ancora una volta tutto dipenderà da quanto vorranno e potranno sopportare e aspettare. L’Argentina è entrata in una nuova epoca, e somiglia molto alle precedenti. ◆ fr

Martín Caparrós è un giornalista e scrittore argentino. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Ñamerica (Einaudi 2022).

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1542 di Internazionale, a pagina 25. Compra questo numero | Abbonati