Nel tentativo d’indebolire gli avversari, le fazioni in conflitto in Sudan stanno trasformando la guerra in un grande sabotaggio economico, di cui anche l’eventuale vincitore pagherà duramente le spese. A dieci mesi dai primi scontri tra le Forze di supporto rapido (Rsf) e l’esercito sudanese, la natura del conflitto è cambiata, con le fazioni originarie che hanno raccolto il sostegno di gruppi minori, facendo aumentare gli interessi in gioco. Ma ora il problema più grande è la distruzione di infrastrutture come le antenne per le telecomunicazioni e le strade.

Da due settimane i servizi delle tre aziende di telecomunicazioni Sudani (sudanese), Mtn (sudafricana) e Zain (kuwaitiana) “sono inaccessibili in gran parte delle regioni del paese, e questo sta causando una paralisi quasi completa delle operazioni bancarie e dei servizi doganali nei porti sudanesi”, si legge in un comunicato dell’autorità per le telecomunicazioni, che fa capo alla giunta guidata dal generale Abdel Fattah al Burhan. L’ente accusa le Rsf di aver bloccato i data center della Sudani e della Mtn, e di aver ripristinato invece le comunicazioni in alcune città del Darfur sotto il loro controllo che erano rimaste isolate a causa dei tralicci incendiati, della rete in fibra ottica vandalizzata, della mancanza di corrente e di carburante.

Il sabotaggio economico, cioè la decisione di distruggere alcuni servizi di base o impedire che arrivino alle comunità, non è una novità, ma di solito lo usano gruppi d’insorti per promuovere le loro ideologie, come in Somalia e in Kenya dove i miliziani di Al Shabaab hanno distrutto i tralicci per le telecomunicazioni. In Sudan le parti in conflitto si accusano l’un l’altra di aver tagliato le comunicazioni e questa pratica sembra più una punizione per gli abitanti, che il tentativo d’imporre un’ideologia.

Le tre aziende hanno segnalato che le interruzioni delle linee telefoniche e internet riguardano soprattutto Port Sudan, la città sul mar Rosso adottata dall’esercito come capitale alternativa dopo la distruzione dell’aeroporto principale di Khartoum. In tutto il paese la maggior parte delle banche è fuori servizio, così come i servizi digitali usati per i trasferimenti di denaro e su cui le famiglie sudanesi fanno affidamento per ottenere aiuto dai parenti all’estero.

Come vent’anni fa

Mentre il 95 per cento del Sudan è tagliato fuori dal mondo, crescono i timori per le ricadute umanitarie, sanitarie ed economiche. Secondo alcune stime la guerra ha già spinto 18 milioni di sudanesi sull’orlo della fame, con circa 700mila bambini malnutriti.

“Il conflitto ha creato più di sei milioni di sfollati interni, e per metà sono bambini”, ha dichiarato Marie David, direttrice di Care international in Sudan. È “il numero di bambini sfollati più grande del mondo. Già vulnerabili, vedono peggiorare le loro condizioni di vita a causa dei combattimenti. Saltano i pasti e la loro crescita ne risente, e corrono un rischio più alto di contrarre malattie mortali. Si registrano livelli incredibilmente alti di malnutrizione acuta tra i bambini di meno di cinque anni, e centinaia di migliaia di loro rischiano la vita. Senza un intervento rapido, milioni di persone potrebbero morire per la carestia che incombe”.

La guerra in Sudan ha spinto a fuggire nei paesi vicini più di due milioni di abitanti, che sono comunque troppi per ricevere un’assistenza adeguata. Jan Egeland, segretario generale del Norwegian refugee council, ha detto che la situazione in Ciad ricorda quella in Darfur vent’anni fa. Ma, osserva Egeland, questa volta nessuno protesta. “Oggi in Ciad abbiamo il triplo dei rifugiati rispetto a quelli che arrivarono nel 2003 e nel 2004. Però non vediamo né indignazione né solidarietà al livello internazionale. Nessuna operazione umanitaria o iniziativa di pace ha avuto un effetto concreto sulle sofferenze dei civili in Sudan o nei campi profughi vicini”, ha affermato. “Le testimonianze dei rifugiati in Ciad raccontano di dolori e violenze inimmaginabili. La guerra sta sconvolgendo un’intera regione nel cuore dell’Africa”. ◆ adg

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1551 di Internazionale, a pagina 25. Compra questo numero | Abbonati