Elizabeth Strout (David Levenson, Getty)

Lucy Barton, la voce narrante di vari romanzi di Elizabeth Strout (un po’ come Harry Angstrom, il “Coniglio” di John Updike), è combattuta sull’idea di trasferirsi di punto in bianco da Manhattan al Maine. In questo romanzo ellittico e delicato Barton è stupita dal dilagare in città della pandemia di covid-19 che infetta, e in qualche caso uccide, diversi suoi conoscenti. È in lutto per la scomparsa del secondo marito, un violoncellista classico morto l’anno prima, quando il primo marito e suo carissimo amico, lo scienziato William Gerhardt, la convince a rifugiarsi in una villa in affitto sulla costa del New England battuta dal vento. William vuole semplicemente metterla al sicuro dal virus mentre lei, una scrittrice di successo, non capisce perché mai dovrebbe lasciarsi alle spalle amici e impegni di lavoro. Questo romanzo potrebbe facilmente cadere nella categoria “problemi di chi vive in paesi ricchi”, ma Lucy comincia a capire molte cose appena si stabilisce con William nella nuova casa: “Era come un paese straniero per me”, dice. La villa è cadente ma spaziosa e accogliente, Lucy fa lunghe passeggiate e s’incontra con i vicini indossando la mascherina. Tutto sommato è contenta ma non legge né scrive: guarda al telegiornale i medici sfiniti dai turni interminabili con addosso camici fatti di sacchi della spazzatura spillati insieme. New York le sembra lontana, sfocata come Giove visto da un telescopio. Strout scrive con stile discorsivo ed evoca quei primi mesi di confinamento con candore e immediatezza. L’umore di Lucy oscilla tra alti e bassi come un pendolo e quando, dopo un litigio sciocco, William le dice di avere un cancro alla prostata, lei si riempie di dolorosi sensi di colpa. Lucy comincia a credere di essere fuori asse con il resto del mondo, una tensione che Strout riesce a rendere in modo molto sottile: non c’è scampo dalla claustrofobia del covid o dai guai della sua famiglia. Alla fine ne esce una satira sottile sull’autoreferenzialità egoista delle classi privilegiate in un momento in cui sarebbero necessari sacrifici e riflessione. “Non ho idea del perché certe persone siano più informate di altre”, osserva Lucy. E nell’isolamento riesce finalmente a riflettere sul suo privilegio.
Hamilton Cain, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1551 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati