L’ufficio della sindacalista più potente del mondo è piuttosto colorato. E anche un po’ disordinato. Una parete è dipinta di giallo. In un angolo c’è una sagoma di cartone di Nelson Mandela. Davanti alla finestra è montata una telecamera, pronta a registrare video sulla condizione dei lavoratori. L’atmosfera che Christiane Benner ha creato qui, al quindicesimo piano del grattacielo della Ig Metall di Francoforte sul Meno, in Germania, è piacevole. Forse è un po’ inusuale per la vecchia guardia del sindacato? Benner accenna un sorriso. È esattamente quello che le ha fatto notare un collega: “Christiane, così non va. Qui non abbiamo mai avuto pareti colorate”. Ma senza scomporsi lei ha risposto: “Allora è arrivato il momento di averle”.

Benner è nel consiglio direttivo della Ig Metall, il sindacato industriale più grande del mondo, da dodici anni. Fino a pochi giorni fa era la numero due dell’organizzazione, la responsabile della parità di genere e delle politiche di cogestione aziendale da parte dei lavoratori, la Mitbestimmung. All’assemblea del 30 ottobre è stata eletta presidente, diventando la voce di 2,2 milioni di lavoratori del settore automobilistico, delle acciaierie o delle aziende meccaniche. È la prima donna a ricoprire quest’incarico. Ma non è l’unica novità. Con lei cambieranno anche lo stile e l’identità del sindacato.

La Ig Metall è sempre stata un’avversaria del capitale, tuonando contro i dirigenti di aziende come la Bmw, la Siemens, la Continental, la Volkswagen, la ThyssenKrupp o la Daimler: da una parte i lavoratori, dall’altra i padroni. Ma a Benner questo non basta. Per lei oggi, in tempi difficili di cambiamento, i rappresentanti dei lavoratori devono essere anche “co-dirigenti”. C’è bisogno di più democrazia nelle aziende: lasciati da soli i manager prendono troppo spesso decisioni sbagliate, come chiudere un impianto invece di ristrutturarlo in modo intelligente. Un’idea con conseguenze radicali: si potrebbe arrivare al punto che sarà un tribunale del lavoro a decidere se attuare il piano di ristrutturazione dei dirigenti o quello del consiglio di fabbrica. È davvero poco realistico: quale azienda lo permetterebbe, se molte già oggi considerano eccessiva la Mitbestimmung?

Benner, 55 anni, appare ancora più sicura di sé ed esigente dei suoi predecessori. E vuole essere un modello per le aziende. Finora valeva la regola che il presidente aveva l’ultima parola su tutto. D’ora in poi, la cogestione varrà anche nel sindacato. Solo così, dice Benner, è possibile affrontare un mondo sempre più complesso. La sfida principale è la transizione dalle fonti fossili alle tecnologie sostenibili. Cosa l’aspetta l’ha già sperimentato a metà settembre, all’impianto della ThyssenKrupp di Duisburg-Marxloh.

Quel giorno fuori c’erano ancora trenta gradi, dentro l’acciaieria qualcuno in più. A pochi metri di distanza da lei piovevano scintille. Un enorme secchio rovesciava ferro liquido in un impianto alto come una casa. “Lì avviene la magia”, le ha gridato un operaio. All’interno, a 1.700 gradi, il ferro si trasformava in acciaio. Magia, forse, ma inquinante. Nessun’altra azienda tedesca emette più anidride carbonica della ThyssenKrupp. Nessun’altra deve trasformarsi con più urgenza. In futuro gli altoforni dovranno funzionare a idrogeno: un enorme sforzo in termini di investimenti, ma anche di gestione. “Cosa comporta dal punto di vista energetico?”, chiede Benner. I costi aumenteranno di dieci volte. La risposta la inquieta: “È una pazzia”, dice. “Ecco perché abbiamo bisogno di un prezzo provvisorio dell’elettricità”. Una delle sue richieste principali è applicare tariffe più convenienti ai settori energivori.

Non c’è problema

Per Benner è una buona notizia che il ministro dell’economia, il verde Robert Habeck, stia lavorando a una proposta sul tema. È la persona giusta per rinnovare l’economia? “Habeck sì”, afferma Benner, che è iscritta all’Spd. “La sua squadra purtroppo no. Almeno in parte”. I Verdi parlano ancora di “decrescita”, cioè dell’idea che la Germania debba semplicemente produrre meno e di conseguenza ridurre le emissioni. “Non si può fare”, dice Benner. “Causerebbe seri problemi sociali”.

La situazione è già tesa. La Ig Metall ha una tradizione socialdemocratica, molti iscritti sono vicini anche al partito Die Linke. Ma i funzionari si stanno accorgendo che aumentano i tesserati che sono attivi nel partito populista di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd). I motivi sono tre, spiega Benner: la paura dell’immigrazione, un senso d’ingiustizia sociale e la paura del declino economico. “Come sindacato possiamo fare qualcosa soprattutto per contrastare gli ultimi due punti”, dichiara Benner.

L’ultima tappa del giro alla ThyssenKrupp è l’officina per apprendisti. Ma di apprendisti ce ne sono pochi. La maggior parte è nel periodo di prova, si scusa il presidente del consiglio di fabbrica. “Non c’è problema”, replica Benner. “Poi saranno immediatamente reclutati dalla Ig Metall”. Non pare mai scoraggiata. Lo dicono anche molti sindacalisti con cui in questi giorni abbiamo parlato di lei.

Benner lottava per i diritti dei lavoratori già ai tempi della scuola. All’epoca realizzava dei bagni in miniatura per un’azienda di modellismo, ma la sua paga era più bassa di quella dei colleghi, soprattutto dei ragazzi. E poi si usavano collanti tossici. “Mi lamentai con il capo”, racconta Benner. Lui le aumentò lo stipendio di due marchi all’ora.

Più tardi, quando era apprendista come corrispondente in lingua straniera, Benner si arrabbiò per le istruzioni poco chiare, per esempio sui documenti doganali. Se ne lamentò con il capo, racconta. “Gli spiegai che se voleva dei dipendenti capaci, doveva istruire bene anche gli apprendisti. Lui afferrò il punto”.

La sagoma di Mandela

Il suo impegno fu notato. Benner fu eletta nel consiglio dei lavoratori e in seguito aderì al sindacato. Completò gli studi in sociologia, andando spesso in Sudafrica. Ancora oggi si sente coinvolta nella lotta contro l’apartheid ed è per questo che nel suo ufficio ha la sagoma di Mandela. Nel 2011 entrò nel comitato direttivo del sindacato. All’improvviso mancò un candidato e le chiesero di presentarsi. “Ero il piano b”, dice Benner.

Ha saputo fare tesoro di quell’opportunità. Oggi è considerata un’esperta di digitalizzazione. Nei consigli di sorveglianza della Continental e della Bmw, di cui fa parte come rappresentante dei lavoratori, si parla di lei con stima. Un dirigente dell’azienda loda la sua capacità di discutere apertamente con il presidente del consiglio di sorveglianza e l’insistenza per una trasformazione aziendale.

Dal 2015 è vicepresidente della Ig Metall. “All’epoca pensavo: sei arrivata al massimo”, racconta. Ma poi ha realizzato: “Se sono vice, posso anche diventare capo”. Eppure per questa posizione ha dovuto lottare tanto, più dei suoi predecessori maschi. La potente sezione del Baden-Württemberg voleva una copresidenza con il responsabile del distretto del sudovest, Roman Zitzelsberger. Ma i delegati hanno respinto la proposta. Allora Jörg Hofmann, il presidente uscente della Ig Metall, anche lui del Baden-Württemberg, ha indicato Benner come capo del Deutscher Gewerkschaftsbund (Dgb), la confederazione sindacale tedesca. Ma lei ha rifiutato.

Benner ha già un piano su come lavorerà insieme ai suoi quattro colleghi del consiglio direttivo: gli incarichi individuali saranno eliminati. I lavoratori nelle fabbriche devono avere più voce ed essere coinvolti. “Le cose non funzionano se ognuno di noi lavora nel suo compartimento stagno”, dice. La domanda ora è: di che colore saranno le pareti del nuovo ufficio? Di certo non bianche. ◆ nv

Biografia

1968 Nasce ad Aquisgrana, in Germania.
1997 Comincia la sua attività nel sindacato dei metalmeccanici Ig Metall.
1999 Si laurea in sociologia all’università di Francoforte sul Meno.
2011 Entra nel comitato direttivo della Ig Metall e due anni dopo diventa vicepresidente.
2023 È eletta presidente del sindacato.


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Questo articolo è uscito sul numero 1537 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati