Meno di due settimane fa il governo tedesco stava cercando di bloccare la consegna di vecchie armi d’artiglieria della Germania est dall’Estonia all’Ucraina. L’Italia invece si rifiutava d’imporre sanzioni alla Russia per evitare conseguenze negative per il giro d’affari dell’azienda di moda Gucci.

E ora? Il cancelliere tedesco Olaf Scholz prevede di finanziare l’esercito tedesco con risorse supplementari per cento miliardi di euro. L’Unione europea ha perfino pensato di fornire all’Ucraina aerei militari. E la Bp, il gigante energetico britannico che opera soprattutto nel settore petrolifero e del gas naturale, ha annunciato di aver venduto la sua quota del 20 per cento della società petrolifera russa Rosneft, valutata più o meno 14 miliardi di dollari (12 miliardi di euro).

La guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina ha sconvolto il mondo intero. Il 27 febbraio ha spinto centinaia di migliaia di persone a scendere in piazza a Berlino e in altre città. Ha anche portato a una delle più drammatiche svolte politiche nella storia europea del dopoguerra.

Indipendentemente da quello che si pensa sui dettagli delle misure prese, è chiaro che in Europa stiamo assistendo all’alba di una nuova era. È quasi impossibile tenere il conto di tutti i veti che sono evaporati negli ultimi giorni, di tutti i princìpi abbandonati dai leader del continente. Politica, economia, diplomazia, forze armate: quasi ogni ambito è stato toccato.

Per anni i governi dell’Unione europea sono stati incapaci di decidere se e come i richiedenti asilo dovessero essere ridistribuiti nel continente. Il 27 febbraio i ministri dell’interno europei hanno garantito ai profughi ucraini la protezione più ampia possibile per tre anni, senza dover passare per le procedure standard. Anche se la decisione porta a chiedersi perché non esista una simile solidarietà verso i profughi siriani e afgani, per l’Europa si tratta di un passo gigantesco. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si è anche espressa a favore dell’adesione dell’Ucraina all’Unione.

Gli stati europei inoltre hanno superato le loro perplessità sulle sanzioni. La Germania, l’Italia e perfino l’Ungheria, che è governata dall’autocrate Viktor Orbàn, hanno abbandonato le loro resistenze e hanno accettato di escludere la Russia dalla rete di pagamento internazionale Swift. Fatto ancor più significativo, Bruxelles ha bloccato molte transazioni con la banca centrale russa. I mezzi d’informazione russi RT e Sputnik non sono più autorizzati a trasmettere i loro programmi nei paesi dell’Unione.

Divisa e apatica

Ma il cambiamento più significativo è avvenuto nella politica militare. I cento miliardi di euro che il governo tedesco vuole spendere in armamenti sono una somma che, anche solo pochi giorni fa, sembrava inimmaginabile. L’Unione vuole consegnare all’Ucraina armi per un valore di 450 milioni di euro. La Svezia, un paese tradizionalmente pacifista, sta inviando armamenti. Nel suo discorso del 27 febbraio al parlamento tedesco, il cancelliere tedesco Scholz ha giustamente definito questo momento uno “spartiacque”.

In passato l’Unione è stata accusata di essere divisa e apatica. Spesso ha reagito in ritardo e in modo troppo tiepido a crisi come quella dell’estate del 2021 in Afghanistan, ricorrendo a insignificanti dichiarazioni di solidarietà. Oggi invece nel conflitto con la Russia sta mostrando una notevole capacità di reazione.

Il vero dubbio, però, è se la risposta non sia arrivata troppo tardi. È probabile che la determinazione mostrata dalla comunità internazionale abbia impressionato Putin: il presidente russo aveva previsto le sanzioni, ma forse non di tali proporzioni.

Non è chiaro, tuttavia, se tutto questo basterà a convincerlo a interrompere la sua campagna militare in Ucraina. La minaccia nucleare appena velata nei giorni scorsi e i bombardamenti sulla città di Kharkiv cominciati il 28 febbraio – proprio mentre erano in corso i negoziati tra la delegazione russa e quella ucraina in Bielorussia – sembrano suggerire che la speranza sia vana. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati