Amgad (il nome è di fantasia) arrivò a Sharm el Sheikh circa quarant’anni fa. Come molti altri giovani egiziani fu spinto dalla curiosità di esplorare questo angolo del Sinai che era rimasto sotto l’occupazione israeliana per quindici anni ed era stato appena restituito all’Egitto dopo la guerra del 1973. Trovò un piccolo villaggio beduino in un paesaggio incontaminato: a est il golfo di Aqaba, brulicante di creature marine e barriere coralline; a sud due isole che separavano il Sinai dall’Arabia Saudita (trasferite a Riyadh nel 2016); a ovest vallate e montagne, parte della Rift valley, attraversate dalle tribù beduine che da secoli si erano stabilite nella zona.

Ancora oggi il litorale ospita duecento specie di coralli, cinquecento di piante marine e vari pesci e animali marini, parte delle barriere coralline egiziane, che sono tra gli ultimi rifugi al mondo per questo tipo di flora e fauna del mare, e hanno dimostrato una capacità di adattamento straordinaria ai cambiamenti climatici, come spiega il professore di ecologia marina Mahmoud Hassan. Anche gli ecosistemi sulla terraferma servono a proteggere la vita marina.

Quarant’anni separano il momento in cui Amgad posò gli occhi sulle bellezze naturali di Sharm el Sheikh da quello in cui si è svolta la ventisettesima conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop27) nel novembre 2022. Nel frattempo sono stati costruiti ponti sopraelevati e grandi strade asfaltate, e un muro separa la città dalle montagne e dalla popolazione indigena beduina. In questi decenni Sharm el Sheikh e i suoi paesaggi sono stati trasformati più volte per attirare turisti e soldi. Nella sua più recente incarnazione verde, sono stati fatti dei lavori per mostrare le sue bellezze durante i dibattiti della Cop27, in cui l’Egitto ha cercato di ottenere preziosi finanziamenti. Ma sotto la maschera indossata per la conferenza ci sono i segni di anni di rifacimenti senza regole che hanno eroso il suo ecosistema, rendendolo quasi irriconoscibile.

L’impero della villeggiatura

Per millenni i deserti del Sinai meridionale sono rimasti in gran parte privi di insediamenti, abitati solo da una popolazione nomade. Nel novecento, sotto l’occupazione britannica, si sviluppò nell’ovest della regione un settore minerario per metalli industriali, poi nazionalizzato negli anni sessanta. Nello stesso decennio cominciò l’estrazione petrolifera su entrambi i lati del golfo di Suez e nel Sinai settentrionale. L’urbanizzazione, già in corso nel nord, si espanse nel sud della penisola, concentrandosi principalmente intorno alle attività estrattive.

Dopo aver occupato il Sinai nel 1967, gli israeliani trasformarono il 98 per cento del territorio in una riserva protetta, un passaggio legislativo che permise alle autorità centrali di avere il monopolio sulle costruzioni e l’urbanizzazione. Ai beduini, che per secoli avevano contato su una complessa conoscenza della flora e della fauna del Sinai, dei suoi andamenti climatici e del delicato equilibrio delle sue risorse, non fu consentito costruire nulla che fosse più grande di una baracca di legno.

Non ci volle molto prima che Israele sfruttasse dal punto di vista economico i 1.500 chilometri di barriere coralline. Aprì il primo centro immersioni subacquee della regione, insieme ai primi arcaici villaggi turistici, racconta Kevin (anche il suo è un nome di fantasia). Kevin è stato uno dei primi europei ad arrivare a Sharm el Sheikh negli anni settanta e ha creato uno dei più grandi centri della città per le immersioni. Le forze di occupazione costruirono una strada lungo la costa orientale per collegare Taba, Dahab e il luogo che oggi è Sharm el Sheikh, all’epoca un insediamento israeliano chiamato Ofira. I turisti in visita da Israele e dall’Europa erano incantati dagli ecosistemi marini e terrestri unici.

Il Cairo cominciò a riprendere il controllo del Sinai dopo la guerra del 1973 e Sharm el Sheikh fu restituita all’Egitto nel 1982. Puntando sulla nascente industria del turismo, il governo mise il Sinai meridionale al centro dei suoi piani di sviluppo. La città si affermò tra i turisti che preferivano mari con acque calde, un mercato emergente ma già consolidato nelle isole Canarie, ai Caraibi, alle Seychelles, in Thailandia, in Malesia e a Bali.

Sharm el Sheikh aveva il vantaggio di essere vicina all’Europa e offrire voli più economici ai viaggiatori. Il governo si lanciò nell’impresa. Dal 1985 cominciò a vendere terreni a buon mercato – anche a meno di dodici dollari al metro quadrato – a imprenditori locali che avevano intuito l’importanza di questo tipo di turismo. Tra loro c’era il magnate Hussein Salem, amico dell’ex presidente Hosni Mubarak. Il valore dei terreni comprati da Salem aumentò addirittura del diecimila per cento subito dopo la firma dei contratti con l’Autorità per lo sviluppo del turismo. Anche costruendo solo sul 30 per cento dei terreni avrebbe ottenuto guadagni in grado di coprire il costo dell’investimento in appena due anni. Non ci volle molto prima che Salem creasse un impero della villeggiatura.

Le autorità egiziane confermarono i limiti sulle costruzioni imposti da Israele ai beduini, che furono costretti a cedere i terreni bonificati al governo o a costruttori privati. A volte furono risarciti con pochi soldi, tra i sei e gli otto dollari per metro quadrato. In altri casi dovettero perfino ricomprare gli atti di proprietà dal governo. Le tribù furono confinate, le attività economiche alla base della loro vita nomade furono compromesse o trasformate in eventi come le feste beduine o in servizi tipo il trasporto dei turisti.

Il lancio di Sharm el Sheikh sul mercato come destinazione turistica si dimostrò efficace. Presto i turisti europei, in particolare britannici e tedeschi benestanti, cominciarono a riversarsi sul litorale, che diventò una vera e propria città, racconta Amin (altro nome di fantasia), un ex ricercatore ambientale dell’ente responsabile dell’area protetta del Sinai meridionale. Il fiorente mercato turistico fu una linfa vitale per l’economia nazionale. Fornì una fonte fondamentale di entrate in valuta estera e permise al governo di Mubarak di realizzare le pesanti riforme economiche richieste dal programma del Fondo monetario internazionale (Fmi) del 1987. E anche se una serie di attentati di gruppi estremisti nella valle del Nilo fece oscillare i ricavi del turismo, l’arrivo di persone nel Sinai non si fermò.

Tutto incluso

In quegli anni lo sviluppo di Sharm el Sheikh non fu così veloce da causare un danno ecologico pari a quello compiuto a Hurghada, una città turistica più a sud lungo la costa egiziana del mar Rosso. “All’epoca l’agenzia egiziana per l’ambiente riuscì a proteggere Sharm el Sheikh dal destino di Hurghada, il cui ecosistema marino era stato completamente distrutto dagli hotel e dal turismo”, conferma Amin.

L’agenzia incluse Sharm el Sheikh e lo stretto di Tiran nella riserva naturale di Ras Mohamed, guidata all’epoca da Salah Hafez. Ai costruttori furono imposti costosi e severi limiti. Come ricorda Hafez, “gli investitori dovevano rispettare le nostre condizioni. Le barche che infrangevano le regole non potevano entrare nell’area protetta per un mese e gli ispettori dell’agenzia controllavano costantemente che non ci fossero violazioni”. I permessi di costruzione stabilivano una distanza minima dal litorale e un’altezza massima di due piani per gli edifici. I resort decisero di dotarsi di impianti di desalinizzazione privati, con generatori alimentati a gasolio o da pannelli solari.

Alcuni ritengono che sia stato l’interesse del presidente per la città a ritardare il grande declino ambientale negli anni novanta. Mubarak organizzava regolarmente ritiri o vertici internazionali a Sharm el Sheikh, che fu rinominata “la città del presidente”. Ma nel 2004 il fiorente mercato turistico lungo la costa orientale del Sinai meridionale spinse la zona nel mirino degli estremisti. Le violenze cominciarono nel 2004 con le bombe all’hotel Hilton di Taba, seguite da una serie di esplosioni a Sharm el Sheikh che uccisero 88 persone, e un attentato a Dahab nel 2006 in cui morirono in ventitré. L’industria turistica continuò a crescere, anche se a ritmi più lenti, fino allo scoppio della recessione economica mondiale nel 2008. Gli europei erano in difficoltà e gli hotel si rivolsero a una clientela a reddito più basso, offrendo pacchetti e villeggiature tutto incluso, spesso a cittadini ucraini e russi.

Invece di puntare a subacquei esperti disposti a pagare grosse cifre per accedere alle barriere coralline, il livello fu abbassato: lo snorkeling permetteva ai turisti di osservare la vita marina dalla superficie, i motoscafi offrivano brividi a poco prezzo. Se nel 2008 le immersioni rappresentavano l’80 per cento delle attività da fare in mare, appena due anni dopo lo snorkeling e gli sport acquatici arrivavano al 60 per cento. Con il calo delle entrate, dice Hafez, gli hotel non riuscivano a mantenere gli standard ambientali: “Provate a dire a un funzionario pubblico di una città turistica che si sta distruggendo l’ambiente. Risponderebbe: ‘Pesci e gazzelle sono l’unico problema a cui riesci a pensare?’”. L’imperativo di attirare valuta estera per il bilancio nazionale aumentò la corsa al ribasso.

La rivoluzione nel 2011 e il colpo di stato nel 2013, pur destabilizzando la situazione economica nel resto dell’Egitto, non ebbero grandi conseguenze sui flussi turistici nel Sinai meridionale. Ma nell’ottobre 2015 un volo russo appena decollato dall’aeroporto internazionale di Sharm el Sheikh fu abbattuto in un attentato del gruppo Stato islamico: tutti i 224 passeggeri morirono. Mosca impose un divieto sui voli per l’Egitto che sarebbe durato sei anni, mentre altri paesi fecero rientrare i loro cittadini. Fino a 38mila visitatori al giorno lasciarono la zona, e il tasso di occupazione degli hotel crollò del 90 per cento. In alcuni alberghi fu occupato solo il 6 per cento dei posti disponibili, e questo causò un’ondata di licenziamenti o chiusure. Nel giro di pochi mesi novecentomila persone impiegate direttamente o indirettamente nel settore turistico in città persero il lavoro, ha calcolato l’Hotel and tourism management institute svizzero, che si occupa di formazione nel settore del turismo.

Sharm el Sheikh, Egitto, 8 marzo 2022 (Laura Boushnak, The New York T​imes/Contrasto)

Nel tentativo di continuare a far arrivare soldi, gli alberghi tagliarono i prezzi. Il ministero della gioventù e dello sport cominciò a organizzare viaggi e la compagnia aerea EgyptAir offriva sconti per incoraggiare gli egiziani a visitare Sharm el Sheikh. Ma l’iniziativa fu cancellata quando diventò chiaro che l’afflusso senza limiti di turisti stava danneggiando le coste e la vita marina.

Cemento e mattoni

Ancora una volta, era arrivato il momento di rinnovare l’immagine della città. Così fu tappezzata di cartelloni con un sorridente presidente Abdel Fattah al Sisi e le parole “Città della pace” scritte in arabo, inglese e russo. Per mantenere la promessa di “proteggere turisti e abitanti”, come ha detto Khaled Fouda, governatore del Sinai meridionale, Il Cairo rilanciò l’idea di costruire un muro intorno alla città. L’iniziativa era stata proposta sotto Mubarak nel 2005 e nel 2009, ma una forte contestazione aveva causato la sospensione a tempo indeterminato dei lavori, finché non furono ripresi nel 2019.

Il muro ha rafforzato con cemento e mattoni l’allontanamento dei beduini dalla città, separando l’area di Ruwaisat, dove vivono, da quella riservata ai turisti, con posti di blocco a controllare le strade che portano in città.

Ancora una volta, la reinvenzione di Sharm el Sheikh è avvenuta a scapito della sua integrità ambientale ed ecologica. Il sindaco ha dichiarato che il muro sarebbe servito a “impedire la diffusione di escrementi di pecore e capre, nonché di plastica e detriti, che avrebbero potuto inquinare la baia”. Ma è stato costruito senza canali di drenaggio e quando nel 2021 le piogge hanno causato un’esondazione dalle montagne, l’acqua si è accumulata intorno al muro, fino a che la pressione ha spazzato via la barriera, le persone e gli edifici che ha trovato sulla sua strada. Il muro è stato ricostruito, ma a quanto pare la lezione non è stata imparata. “Le autorità hanno detto che è stato un evento eccezionale e che non si sarebbe ripetuto”, ricorda Samir (nome di fantasia), un dipendente del ministero dell’ambiente. Ma è successo di nuovo, e il muro è stato tirato su un’altra volta con gli stessi problemi.

Contenere i danni

Aggressioni come questa alla natura della zona continuano. Sul litorale, vicino alle sale convegni in cui si è svolto il vertice per il clima, nella zona della Sharks bay, l’attività di dragaggio e scavo si estende per chilometri. L’obiettivo è costruire un porto turistico per attirare gli yacht, nonostante le critiche internazionali ai danni ambientali causati dalle imbarcazioni. Decine di ruspe e draghe scavano giorno e notte di fronte alla baia, mentre i proprietari degli alberghi vicini aspettano gli ordini di demolizione.

Mada Masr non è a conoscenza di vincoli ambientali imposti ai lavori per il porto turistico, ma un ricercatore del ministero dell’ambiente spiega che rientra in un progetto nazionale per creare un nuovo scalo, affacciato su una delle principali strade della città. I progetti di questo tipo, sostiene il ricercatore che chiede di restare anonimo, non sono soggetti alle leggi per la tutela ambientale: “Sono avviati senza alcuna considerazione per l’ambiente. Al ministero non sono neanche comunicati in anticipo. Un giorno li troviamo già in corso, e nessuno può dire niente”.

L’impegno a rilanciare il turismo a ogni costo ha avuto la meglio sul rispetto per i vincoli ambientali. I decreti per attirare gli investimenti del settore privato fanno leva sulle deroghe agli standard ambientali. Al tempo stesso, i fondi dell’Unione europea, che prima contribuivano ad acquistare barche per la ricerca, attrezzature subacquee e veicoli di pattugliamento, si sono prosciugati. Di conseguenza, gli stipendi del personale dell’agenzia per l’ambiente sono diminuiti, il numero di dipendenti si è ridotto e l’impegno legislativo ne ha risentito. Nonostante questo, il turismo a Sharm el Sheikh deve ancora riprendersi, soprattutto in seguito al doppio colpo della pandemia e dell’invasione russa dell’Ucraina.

Sharm el Sheikh, Egitto, 12 settembre 2022 (Amine Niam, Eyeem/Getty Images)

Con un’economia locale così legata al turismo è stato difficile contenere i danni. L’ente responsabile delle aree protette del Sinai meridionale nel 2019 ha vietato i corsi d’immersione per non professionisti come conseguenza dei danni alla barriera corallina e all’ambiente marino, affermano alcuni dipendenti del ministero dell’ambiente. Ma la perdita di centinaia di posti di lavoro e la chiusura di decine di centri per le immersioni hanno spinto l’ente a revocare la decisione. Ora secondo i ricercatori circa duecentomila persone all’anno visitano il parco nazionale di Ras Muhamad, ben oltre il limite raccomandato a livello mondiale per i luoghi d’immersione, che è tra settemila e quindicimila persone all’anno. Dopo che l’Egitto è stato scelto come paese ospite della Cop27, il governo si è imbarcato in nuovi progetti per rendere più verde la città. Gli alberghi sono incoraggiati a pagare per la “certificazione green star” a un prezzo che va dai duecento ai duemila euro. Il documento è valido due anni e indica la conformità a pratiche rispettose dell’ambiente, come il risparmio energetico, idrico e la formazione del personale. L’hanno ottenuto centoventi hotel sui centosessanta della città, e sessanta centri per le immersioni.

Impianti di energia rinnovabile sono stati installati all’aeroporto e nei centri per i convegni, ed è stato realizzato un nuovo sistema di smaltimento e gestione dei rifiuti in cooperazione con alcune aziende degli Emirati Arabi Uniti. Le strade sono fiancheggiate da lampioni dotati di pannelli solari, destinati a produrre energia pulita per l’illuminazione e a far risparmiare soldi alla città.

Ma la nuova veste di Sharm el Sheikh è solo apparente. I pannelli solari sui lampioni sono coperti di polvere, mentre sono i cavi elettrici che escono dal pavimento ad alimentarli tramite la rete nazionale. “Dopo aver comprato migliaia di pannelli e batterie hanno scoperto che erano scadenti e si sono rotti dopo un mese”, dice Amgad. “Li hanno riparati una volta, ma si sono rotti di nuovo. Hanno smesso di pulirli correttamente, quindi non funzionano più, e alla fine hanno semplicemente collegato i lampioni alla rete elettrica”.

Invece di rendere più verde Sharm el Sheikh, prima della Cop27 il consiglio comunale ha deciso di riasfaltare tutte le strade, racconta Amgad. L’ultimo rifacimento della pavimentazione risaliva a meno di due anni fa. Inoltre, alcune strade sono state allargate fino a dodici corsie, riducendo lo spazio per le piste ciclabili.

Il lungomare realizzato quest’anno accanto alla centrale via Salam sembra completare il quadro dell’alienazione degli abitanti dall’ecosistema della zona. A Sharm el Sheikh non ci sono spiagge pubbliche, spiega Samir, uno dei ricercatori del ministero: “Le spiagge sono tutte proprietà degli alberghi oppure affittate dal comune ai privati. Il prezzo minimo per accedervi è di cento lire egiziane a persona”, pari a quasi quattro euro. Amgad è sarcastico: “Un lungomare che si estende per dieci chilometri con vista su alberghi e negozi. Sembra gli sia sfuggito il fatto che non c’è un solo punto da cui si possa vedere il mare”. ◆ fdl

Da sapere
Nessun dissenso

Sharm el Sheikh (“baia dello sceicco”, in arabo) è una città egiziana affacciata sul mar Rosso, nella parte meridionale della penisola del Sinai, un territorio tradizionalmente abitato da beduini. Tra il 1967 e il 1982 l’area fu occupata da Israele, che costruì l’insediamento di Ofira e cominciò a trasformare la zona in una destinazione turistica. Lo sviluppo delle infrastrutture turistiche continuò anche dopo il ritorno sotto le autorità egiziane. Secondo i dati del 2015, gli abitanti della città sono 74mila.
◆Tra il 6 e il 18 novembre 2022 si è svolta a Sharm el Sheikh la ventisettesima conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop27 ). Già dal mese precedente il regime del presidente Abdel Fattah al Sisi aveva fatto arrestare centinaia di persone per impedire che fossero organizzate manifestazioni e proteste durante l’evento. L’attivista Alaa Abdel Fattah, in carcere dal 2019 e in sciopero della fame dal 2 aprile 2022, ha fatto uno sciopero della sete tra il 6 e il 15 novembre per chiedere la sua liberazione e denunciare le terribili condizioni delle carceri egiziane, in cui secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani sono rinchiusi sessantamila prigionieri politici. Wikipedia, Britannica


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Questo articolo è uscito sul numero 1493 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati