Ha i giorni contati. In carcere quasi ininterrottamente dal 2013, l’icona della rivoluzione egiziana Alaa Abdel Fattah, quarant’anni, è in sciopero della fame dal 2 aprile per protestare contro le condizioni di detenzione. “Ha deciso di andare fino in fondo. Fino alla liberazione o alla morte”, sussurra al telefono una delle sue due sorelle, Mona Seif. Dal 15 giugno Seif porta avanti la stessa protesta: “Dato che il regime cerca di nascondere lo sciopero della fame di Alaa, era necessario che io, che sono libera e devo incontrare i funzionari britannici, rendessi visibile la sua azione attraverso la mia”, racconta.

Londra ha espresso preoccupazione per le condizioni del prigioniero politico, che ad aprile ha ottenuto la cittadinanza britannica, la stessa di sua madre. Trasferito il 18 maggio dal carcere di massima sicurezza di Tora, uno dei peggiori d’Egitto, al centro di detenzione “modello” di Wadi Natroun, per la prima volta da anni l’attivista può dormire su un materasso e leggere dei libri. Il 12 giugno Mona Seif ha incontrato il fratello, autorizzato a ricevere una visita al mese: “È dimagrito e indebolito, ma lucido. Era furioso perché pensava che il trasferimento gli avrebbe dato accesso ai diritti fondamentali”.

Da quando è a Wadi Natroun Abdel Fattah è stato sottoposto a un solo controllo medico e le autorità non ne hanno comunicato i risultati. Mentre prima era in cella 24 ore su 24, dal 18 giugno ha diritto a un’uscita di trenta minuti al giorno. “Resta in un cortile coperto, ma almeno può sgranchirsi un po’ le gambe, cosa che non faceva da più di due anni”, continua Seif. La legge egiziana stabilisce che i prigionieri possono uscire dalle celle per due ore al giorno.

“Il suo trasferimento è legato alle pressioni, certamente limitate, delle autorità britanniche”, osserva Hussein Baoumi, ricercatore di Amnesty international. Anche se i parenti sperano nella liberazione, i precedenti di persone con doppia cittadinanza rilasciati dal Cairo riguardano solo prigionieri politici in detenzione preventiva. Invece nel dicembre 2021 Abdel Fattah è stato condannato da un tribunale speciale a cinque anni di carcere per “aver diffuso false informazioni che potrebbero nuocere alla sicurezza nazionale”.

Correre il rischio

Alaa Abdel Fattah, che ha un figlio di dieci anni, è stato in carcere varie volte. Figura di spicco della rivolta egiziana nel 2011, è stato arrestato nel 2013 dopo il golpe del presidente Abdel Fattah al Sisi. Nel 2014 è stato condannato a cinque anni di carcere per aver partecipato a una manifestazione contro i processi militari per i civili previsti nella bozza della costituzione. Liberato su cauzione nel marzo 2019, sei mesi dopo è stato di nuovo arrestato per aver condiviso sui social network una pubblicazione sul deterioramento delle condizioni di detenzione. Allora è stato portato nel carcere di Tora, “dove la legge e i regolamenti non esistono”, spiega Mona Seif. Abdel Fattah ha subìto aggressioni e abusi quotidiani.

Da sapere
Digiuno solidale

◆ Alla fine di maggio del 2022 è cominciato un digiuno di ventiquattr’ore a staffetta in solidarietà con Alaa Abdel Fattah, promosso tra gli altri da Amnesty international Italia. Hanno aderito decine di persone, tra cui giornalisti, attori, arabisti, sindacalisti, attivisti. Per informazioni e per partecipare si può visitare Invisible arabs, il blog della giornalista Paola Caridi.


Il suo caso non è isolato. Secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, i prigionieri politici nelle carceri egiziane sarebbero circa 60mila. “Il governo insabbia i suoi crimini facendo credere di essere aperto al dialogo”, denuncia Baoumi. Ad aprile Al Sisi ha annunciato una revisione dei fascicoli dei prigionieri politici e l’avvio di un confronto nazionale, senza fornire dettagli.

La famiglia di Abdel Fattah continua a mobilitarsi con manifestazioni e campagne. “Se tentare di cambiare le cose può portarmi in prigione, sono pronta a correre il rischio. Alaa ci è stato sottratto per anni, e c’è il pericolo che possa morire in cella. Non posso immaginare un destino peggiore”, conclude Mona Seif. ◆ fdl

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1467 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati