L’India è in preda alla febbre elettorale, ma nelle strade di Kangpokpi, nello stato nordorientale del Manipur, non ce n’è traccia. Ad aprile sono cominciate le più grandi elezioni del mondo, che dureranno sei settimane, ma Mang Kipgen, 33 anni, è passato davanti a uno dei seggi di Kangpokpi e l’ha trovato deserto. “Per strada ho visto solo mucche e cani”, racconta. Una scena triste nello stato dove la violenza interetnica ha diviso in modo netto gli abitanti, sintomo della paura dei candidati a fare campagna elettorale dopo gli avvertimenti di un gruppo armato e dopo il boicottaggio del voto proclamato da una parte della popolazione. In molti sono convinti che il governo statale e quello centrale abbiano fatto poco per mettere fine a un ciclo di violenze che va avanti da un anno.

Più di 220 persone sono state uccise da quando nel maggio 2023 è scoppiato il conflitto tra i meitei, l’etnia maggioritaria nella regione, e la minoranza kuki-zo, e i recenti omicidi di due ragazzi hanno fatto salire ulteriormente la tensione. Le due comunità sono divise da una zona cuscinetto pattugliata dalle forze di sicurezza federali. I kuki-zo dominano le colline che circondano la valle di Imphal, controllata invece dai meitei. Decine di migliaia di persone sono state costrette a lasciare le loro case a causa degli scontri, e la situazione è complicata dall’arrivo dei profughi in fuga dalla guerra civile nella vicina Birmania. “Abbiamo sofferto molto e vogliamo attenzione”, dice un attivista kuki.

Le tensioni che da tempo oppongono i due gruppi e riguardano i diritti sulla terra e le opportunità di lavoro si sono aggravate dopo la sentenza di un tribunale secondo cui i meitei, che costituiscono più della metà della popolazione, dovrebbero avere gli stessi diritti riconosciuti ai kuki, un gruppo che rappresenta meno del 20 per cento degli abitanti del Manipur. Il governo statale, in mano al Bharatiya janata party (Bjp) del primo ministro Narendra Modi, è stato accusato di stare dalla parte dei meitei.

Un problema da risolvere

“Non c’è stata pace né una soluzione del conflitto”, dice Kipgen. “L’appello all’astensione è servito a far capire al governo che nel Manipur c’è un problema da risolvere”. Resta da vedere se accadrà. Lo stato ha appena 3,6 milioni di abitanti e ha diritto solo a due seggi sui 543 della camera bassa, entrambi attualmente occupati dal Bjp e da un suo alleato.

Molte persone della comunità kuki si sono astenute dal voto dopo che la leadership della comunità ha invitato al boicottaggio. A Imphal, il capoluogo della regione, che si trova in territorio meitei, i raduni elettorali si sono svolti a porte chiuse, senza campagne rumorose o comizi.

Nel primo giorno delle elezioni, il 19 aprile, in alcune zone del Manipur ci sono state violenze, danneggiamenti alle macchine per il voto e gruppi armati che hanno cercavo di prendere il controllo di alcuni seggi. Il partito del Congress, all’opposizione, ha chiesto di ripetere il voto in decine di seggi. Le elezioni quest’anno avrebbero potuto offrire l’opportunità di mettere fine al caos ma, secondo Nandita Haksar, avvocata esperta di diritti umani, il processo elettorale è completamente alterato. “Nel Manipur stiamo assistendo a qualcosa che non si era mai visto nella storia dell’India: il sistematico indebolimento e la distruzione di tutte le istituzioni su cui si può costruire una società democratica”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati