Sembrano frutti del paradiso. Non è un caso che i turisti tedeschi amino tanto l’Alto Adige: natura rigogliosa, clima alpino-mediterraneo, sole e una terra fertile, in cui cresce la vite, ma anche gli ortaggi, le bacche e la frutta. Soprattutto le mele dolci e succose pubblicizzate dall’associazione regionale dei coltivatori. Quelle della val Venosta, poi, sono le migliori, così “straordinariamente naturali”, a quanto dicono i produttori della zona. Sono coltivate in modo sostenibile, visto che tanti melicoltori si sono impegnati a seguire le linee guida dell’agricoltura integrata, che rispetta l’ambiente. E le sostanze chimiche, i fitofarmaci, i pesticidi? “Solo lo stretto necessario”, sostiene Anna Oberkofler, la portavoce del Consorzio mela Alto Adige. “Il nostro motto è il meno possibile”.

Ma è davvero così? I dati esaminati dalla Süddeutsche Zeitung e dalla Bayerischer Rundfunk (un’emittente televisiva della Baviera) fanno sorgere dei dubbi. Nei registri dei trattamenti fatti nel 2017 da 681 melicoltori della val Venosta sono riportate le sostanze chimiche usate quell’anno. Sono annotati data, frequenza e motivi. E si scopre che tra marzo e settembre in val Venosta non è passato un giorno senza che si spruzzasse qualcosa sui meleti. In media in questi sette mesi i pesticidi sono stati usati 38 volte per meleto.

“In una singola stagione è tantissimo. I pesticidi possono essere molto velenosi”, afferma il professor Ralf Schulz, scienziato ambientale che studia i pesticidi al Politecnico di Kaiserslautern-Landau, in Germania. Nel 2017 l’istituto di ricerca tedesco Julius-Kühn, che fa capo al ministero dell’agricoltura tedesco, affermava che sono accettabili 20,8 trattamenti all’anno per le mele, la metà di quelli in val Venosta.

Gigantesco giro d’affari

I melicoltori altoatesini sono circa settemila, quindi i dati presi in esame, relativi a 681 coltivatori, non sono statisticamente rappresentativi. Tuttavia, è la prima volta che è possibile per l’opinione pubblica osservare da vicino i metodi usati nella melicoltura, forse non solo in Alto Adige.

La trasparenza sull’uso dei pesticidi in agricoltura manca in tutta Europa

Per gli altoatesini le mele rappresentano un giro d’affari enorme: nel 2021 ne sono state raccolte 935mila tonnellate. Tra quelle vendute in Europa una su dieci viene dall’Alto Adige, una su quattro in Italia. La regione ha l’area di produzione di mele contigua più estesa del continente, con una superficie coltivata grande come circa 25mila campi da calcio.

I registri dei trattamenti provengono da un’operazione della polizia italiana eseguita su mandato della procura di Bolzano. Non sarebbero mai diventati pubblici se in Alto Adige gli ambientalisti non fossero stati portati in tribunale per evitare che si alzassero altre voci critiche. Solo che così si è ottenuto l’effetto contrario.

Nel 2017 più di 1.300 melicoltori, mobilitati da Arnold Schuler, assessore all’agricoltura e al turismo della provincia autonoma di Bolzano, hanno querelato alcuni attivisti dell’Istituto per l’ambiente di Monaco che avevano realizzato un manifesto e un sito in cui divulgavano l’uso di pesticidi nei meleti altoatesini. “È stata oltrepassata una linea rossa, non possiamo tollerare attacchi del genere”, ha detto Schuler.

La procura di Bolzano ha aperto un’indagine a carico degli ambientalisti, accusati principalmente di diffamazione, e ne ha rinviato a giudizio nove, poi comparsi di fronte al tribunale di Bolzano nel 2020. Alcuni dei procedimenti sono stati archiviati. A passare più tempo sul banco degli imputati è stato Karl Bär, che nel 2017 era consulente agricolo dell’istituto per l’ambiente e che nel 2021, durante il processo, è stato eletto al parlamento tedesco nel partito dei Verdi. Nel 2022, dopo che Schuler e i melicoltori hanno ritirato le querele, Bär è stato assolto. Di questa vicenda sono rimasti i registri dei trattamenti, che facendo parte degli atti giudiziari sono diventati accessibili agli ambientalisti di Monaco. Documenti di solito riservati e visionabili solo dagli ispettori. Inizialmente Schuler, le principali associazioni altoatesine del settore e l’Istituto per l’ambiente avevano trovato un accordo: avrebbero discusso quei dati durante un incontro pubblico a Monaco. Non è mai successo e ognuna delle parti incolpa l’altra per questo.

I registri dei trattamenti che la Süd­deutsche Zeitung e la Bayerischer Rund­funk hanno esaminato riguardano circa 3.100 dei cinquemila ettari di meleti della val Venosta. Sfogliandoli si vede che i coltivatori non usavano i pesticidi solo per combattere parassiti, funghi e piante infestanti, ma anche per migliorare l’aspetto dei frutti. Secondo quanto annotato nei registri, nel 2017 le 681 aziende coinvolte hanno usato i pesticidi nel rispetto delle leggi. Molti melicoltori della val Venosta, infatti, si sono impegnati a seguire le linee guida dell’agricoltura integrata, che per combattere parassiti, malattie e piante infestanti combina metodi a basso impatto ambientale e i pesticidi sfruttando al meglio le difese naturali delle piante e riducendo l’uso dei prodotti chimici, a vantaggio di un’agricoltura sostenibile e a basso impatto ambientale. Secondo Ralf Schulz, in questo caso si può parlare al massimo di sostenibilità economica, non certo ecologica: accostare pesticidi e ambiente è una contraddizione in termini. Anche all’Istituto per l’ambiente di Monaco la pensano così: l’uso dei pesticidi documentato dai registri sarebbe “in evidente contrasto con un metodo di coltivazione ecologico e sostenibile” e il certificato di “frutticoltura integrata è più una questione di pubblicità che di benessere per ambiente e salute”.

Secondo i registri ci sono state 590mila irrorazioni in sette mesi. Per l’associazione dei coltivatori la cifra si spiega con l’uso di prodotti mirati: “Questo implica più irrorazioni, che però hanno un effetto preciso e limitato a uno specifico organismo nocivo”, spiega la portavoce del Consorzio mela Alto Adige. I dieci usi più frequenti riguardano alcuni agenti chimico-sintetici usati sui meleti da circa l’80 per cento delle aziende.

Tra questi agenti ci sono anche sostanze classificate dall’Unione europea come “probabilmente cancerogene”. Stando ai registri, nel 2017 sui campi della val Venosta ogni giorno sono stati spruzzati fino a nove prodotti diversi. Vari esperti, tra cui Fabian Holzheid dell’istituto per l’ambiente di Monaco, avvertono di stare attenti all’effetto cocktail: nessuno sa bene come reagiscono e si combinano tra loro questi agenti chimici e quali sono i loro effetti quando sono mischiati. Holzheid ipotizza che gli effetti nocivi possano sommarsi in modo pericoloso.

Nella coltivazione delle mele, i quattro princìpi attivi più usati per combattere le malattie fungine sono il dithianon, il bupirimate, il captano e il penconazolo. In testa alla classifica, con un totale di 66.373 irrorazioni, c’è il dithianon. Segue il bupirimate (55.414), poi il captano (40.546) e il penconazolo (30.060). Al quinto posto c’è il glifosato (30.055), un erbicida.

Gli acaricidi combattono gli acari, i fungicidi eliminano le malattie fungine, gli erbicidi distruggono le piante infestanti. Ci sono prodotti che agiscono a livello biologico o chimico. Il caolino, per esempio, è un’alternativa biologica, con minori conseguenze per l’ambiente, che protegge i meli da parassiti e malattie fungine. È spesso usato nell’agricoltura biologica. Dai dati emerge che nonostante il captano e il bupirimate nel 2008 e 2016 sono stati classificati come “probabilmente cancerogeni” dall’Unione europea, nel 2017 sono stati usati spesso nei meleti.

Meleti in val Venosta, Alto Adige (albert Ceolan, Getty)

Nubi dannose

Mettere alla gogna solo l’Alto Adige, però, sarebbe ingiusto: quando si tratta dei pesticidi usati in agricoltura, soprattutto nella coltivazione della frutta, la trasparenza manca in tutta Europa. Esiste un regolamento dell’Unione europea che obbliga gli agricoltori a documentare il loro uso, ma non è stata fissata una procedura per farlo. Secondo alcuni, gli irroratori ad alta pressione usati in val Venosta non consentono un dosaggio mirato al singolo albero o frutto, ma generano grandi nubi di aerosol chimici che fluttuando nell’aria arrivano ben oltre le piante interessate. Attraversando le valli e risalendo le montagne. Così gli agricoltori biologici non possono proteggere i loro campi se sono vicini ai meleti trattati con i pesticidi.

Ma questo problema è negato dalla portavoce del Consorzio mela Alto Adige, nonostante gli ambientalisti l’abbiano osservato da anni, ma sono riusciti a documentarlo solo verso la fine del 2022, grazie a campioni prelevati in giardini privati. Il consorzio sostiene invece che i meleti altoatesini siano all’avanguardia per la tecnica d’irrorazione: “Il nostro uso dei fitofarmaci è mirato, parsimonioso e preciso”. Parlare direttamente con i melicoltori altoatesini senza passare per le associazioni di categoria non è un’impresa facile. Perfino all’Interpoma di Bolzano, la più importante fiera di settore dell’Alto Adige.

Ferma davanti a uno dei banchi, una giovane coppia sulla trentina sta assaggiando nuove varietà di mele. Da dove vengono? Dalla val Venosta, risponde la donna sorridendo. Siete frutticoltori? “Sì”. Ma ben presto la cordialità finisce: “I mezzi d’informazione tedeschi non scrivono mai nulla di buono”, dice lui tirando via la compagna. Poi si gira e ripete: “Voi tedeschi vi comportate come se la nostra frutta vi avvelenasse”. E spariscono tra la folla.

Uno che invece parla è Tobias Gritsch, l’ultimo dei melicoltori a ritirare la querela contro Karl Bär e l’Istituto per l’ambiente di Monaco. Non è solo un melicoltore, ha anche studiato giurisprudenza e scienze politiche, e pensa che gli ambientalisti conoscano poco il settore e il territorio. Gritsch è in cattivi rapporti anche con l’Unione agricoltori e coltivatori diretti sudtirolesi e con la giunta provinciale che, secondo lui, hanno pianificato male la battaglia legale contro l’Istituto per l’ambiente di Monaco. “I nostri avvocati sarebbero dovuti intervenire subito per impedire che dati così sensibili delle aziende diventassero pubblici”, dice a proposito dei registri dei trattamenti. Aggiunge di essersi sempre attenuto “a tutte le prescrizioni e le leggi. Non sarebbe possibile fare diversamente”. E afferma di usare una quantità di fitofarmaci inferiore a quella consentita. I controlli sono frequenti e severi.

“Se tutti passassimo all’agricoltura biologica, una frutticoltura di questo tipo diventerebbe insostenibile”, aggiunge. Da melicoltore pensa che il dibattito sui pesticidi lo costringa perennemente sulla difensiva: “Se ti difendi dalle accuse perdi e, se non ti difendi, le accuse non vengono contestate e perdi ugualmente”. ◆sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati