Le dimensioni sono enormi, simili a quelle di piccoli meloni con la buccia che luccica. Le mele sono allineate in una cassetta sul banco di un orticoltore all’Interpoma, una fiera di settore che si tiene a Bolzano. Identiche, senza ammaccature, macchie o altri difetti. Sembrano clonate, ed è così che la maggior parte delle consumatrici e dei consumatori le vuole. “L’aspetto deve essere perfetto. Altrimenti la merce rischia di restare invenduta”, spiega Tobias Gritsch, un melicoltore della val Venosta presente alla fiera.

Chi non è del settore potrebbe pensare che la melicoltura è una cosa meravigliosa, se non ci fosse la natura a intromettersi. Eppure, alcuni fitofarmaci (le sostanze che servono a proteggere le colture) non sono usati per combattere parassiti e malattie degli alberi da frutto, ma per motivi estetici. “Non mangiamo ciò che è buono, ma ciò che sembra bello”, spiega un grossista. “Pretendiamo che i prodotti naturali sembrino usciti da un laboratorio”.

Lungo il sentiero della roggia di Merlengo, Alto Adige (Albert Ceolan, Getty)

Chi lavora nel settore ortofrutticolo si scontra ogni giorno con il fatto che i clienti – venditori al dettaglio o ristoratori – mandano indietro lotti d’insalata, verdura e frutta perché non soddisfano determinati standard estetici. Spesso sul modulo per il reso scrivono “deterioramento incipiente”, spiega il grossista. Così, però, vanno distrutti prodotti alimentari che dal punto di vista della qualità sono ottimi. Tonnellate ogni giorno.

Per soddisfare gli standard estetici i frutticoltori ricorrono ai prodotti chimici. Per esempio ai cosiddetti regolatori di crescita. La Süddeutsche Zeitung e l’emittente televisiva Bayerischer Rund­funk hanno esaminato i registri dei trattamenti fitosanitari di 681 aziende agricole della val Venosta, in Alto Adige, relativi al 2017. Il 90 per cento di queste aziende ha usato quelle sostanze nei propri frutteti, in media quattro volte a stagione. La maggior parte dei regolatori di crescita si spruzza durante il periodo di fioritura o poco dopo, per diradare fiori e frutti. “Per un buon raccolto basta un 10 per cento di fiori fecondati”, spiega Anna Oberkofler del Consorzio mela Alto Adige: significa che il 90 per cento dei fiori va rimosso. “Insieme ad altri fattori, il diradamento garantisce un raccolto di alta qualità, conforme alle norme europee e alle richieste dei clienti”, prosegue Oberkofler.

La tossicità delle miscele di sostanze chimiche è ancora poco studiata

I regolatori di crescita sono meno tossici di altri fitosanitari, osserva Christine Vogt, responsabile per l’agricoltura dell’Istituto per l’ambiente di Monaco, in Germania, ma “contengono alcuni princìpi attivi che danneggiano gli organismi utili e tendono a evaporare o a infiltrarsi nel terreno”. Nel 2017 la maggior parte delle aziende prese in esame ha usato i regolatori di crescita. Secondo Vogt, questo produce un aumento del numero di principi attivi e contribuisce all’effetto cocktail. La tossicità delle miscele di sostanze chimiche è una questione ancora poco studiata. Per soddisfare gli standard estetici, in val Venosta sono stati usati tre tipi di fitofarmaci: dithianon, bupirimate e captano. Servono a combattere la ticchiolatura e l’oidio del melo, due malattie fungine che nei registri dei trattamenti dei coltivatori altoatesini sono tra le cause più frequenti del loro impiego. Gli esperti sostengono che né la ticchiolatura né l’oidio incidano sulla qualità delle mele e che, se consumati, non sono dannosi per gli esseri umani. Ma formano una crosta sulla superficie della mela che va contro le richieste del mercato e quindi bisogna evitare queste due infezioni fungine.

Raccolta delle mele in val Venosta, Alto Adige (Alex Rowbotham, Alamy)

Senza difetti

Anche solo per via dei costi, sostiene Gritsch­,­ nessun coltivatore spruzzerebbe mai un pesticida non necessario. Per necessario intende tutto quello che è indispensabile a vendere le mele. Il discorso non vale solo per l’Alto Adige: in Europa le disposizioni sull’aspetto e le caratteristiche delle mele sono molte. Il regolamento dell’Unione europea 543/2011, per esempio, stabilisce nel dettaglio come dev’essere fatta una mela: colore, dimensioni e superficie. Poi ci sono altre indicazioni per i diversi marchi di qualità “e le disposizioni della grande distribuzione da osservare nei vari paesi”, spiega Oberkofler. “La grande distribuzione compra le nostre mele e le rivende come frutta da tavola – e ce le paga come tali – solo se corrispondono a questi standard”.

Secondo l’agenzia tedesca per l’ambiente, è colpa della grande distribuzione, che pretende dai produttori della frutta senza difetti, andando oltre le norme europee sulla commercializzazione. “La melicoltura è tra i settori che dà più importanza a certe caratteristiche, come le dimensioni, il colore e i difetti estetici. Per questo bisogna usare così tanti fitofarmaci”, spiega uno studio dell’agenzia.

L’anello debole

La grande distribuzione respinge le accuse. I supermercati Lidl garantiscono di aver “fissato per frutta e verdura dei valori massimi di fitofarmaci e contaminazione”. I residui dei principi attivi sono tollerati solo “in concentrazioni pari a un terzo del tetto fissato per legge”.

Unione europea
Non solo mele
I cinque frutti con il maggiore aumento dell’uso di pesticidi, percentuale di residui di pesticidi (Fonte: Pan-Europe (Pesticide Action Network), Eurobserver)

E allora, di chi è la responsabilità di quest’uso dei pesticidi in funzione estetica? Dei coltivatori? Dei burocrati europei, dei politici? Delle catene di supermercati? Dei consumatori? Da questo circolo vizioso, ci dice una fonte del commercio all’ingrosso, c’è un’unica via d’uscita: “Bisognerebbe andare a fare la spesa con una consapevolezza diversa, non pensando solo all’aspetto dei prodotti”.

E i coltivatori, che le mele le producono? “Sono l’anello più debole di questa catena”, conclude. ◆sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati