Ho scoperto il pop coreano a dodici anni. Prima ero cresciuta ascoltando la musica che mi circondava, quella dei miei genitori e dei miei amici, dal pop in spagnolo come le canzoni di Julieta Venegas o Lila Downs alla musica classica che mio padre metteva su quando lavorava. Scoprire il k-pop da sola è stata una vera emozione, nuova: era la prima volta che ascoltavo della musica che sentivo completamente mia. Ho trovato qualcosa che stavo cercando da tempo, ragazze e ragazzi dall’aspetto etereo che cantavano brani orecchiabili, accompagnati da coreografie elaborate e appariscenti. Una boccata d’aria fresca, quello di cui avevo bisogno. Quell’espressione artistica, quel mix tra musica pop e slanci sperimentali, i costumi e il perfetto equilibrio tra un’arte familiare e una completamente sconosciuta, mi hanno convinto a esplorare questo mondo.

Mostrai subito un video musicale ai miei genitori che furono impressionati dallo stile unico trasmesso dalla combinazione di ballo e canto, e soprattutto dal numero di componenti della band (gli idols, idoli, come li chiamano i fan in senso quasi religioso). Erano gli ormai famosi Bts (Bangtan Sonyeondan), che nel 2017 avevano vinto la categoria Top social artist ai Billboard music awards. Pensavo che fossero all’apice della loro carriera, invece la loro ascesa planetaria era appena cominciata. Ero lì mentre sbocciavano, e io crescevo insieme a loro. Il pop coreano ha giocato un ruolo fondamentale nel mio passaggio dall’infanzia all’adolescenza. È stato uno spartiacque, che ha provocato un cambiamento radicale nella mia visione del mondo e nella mia identità.

La girl band k-pop Blackpink in una scena del documentario Blackpink: light up the sky. (Netflix)

La mia famiglia e i miei amici pensavano che sarebbe stata una fase passeggera, motivata dell’aspetto fisico di cantanti senza molto altro da offrire. Riducevano il mio interesse a una banale quanto imbarazzante cotta adolescenziale. Ma eccomi qui, cinque anni dopo, ancora sopraffatta e affascinata dall’inarrestabile onda del pop coreano. La mia non è stata una fase passeggera, e perché come me tanti ragazzi in tutto il mondo hanno trovato rifugio in queste melodie?

L’estetica dell’hallyu, l’onda coreana, è in grado di parlare a persone provenienti da ogni angolo del mondo. La carica visiva del k-pop è innegabile. Con l’aumento delle aspettative del pubblico, la qualità della fotografia e della produzione è in continua evoluzione e cattura l’attenzione di un numero sempre maggiore di persone. È un invito accessibile all’arte contemporanea. La mia amica venezuelana Sarah mi ha detto: “Nel k-pop non c’è molta varietà concettuale. Ma è la performance che permette all’artista di brillare”.

Gli Exo durante la cerimonia di chiusura delle olimpiadi invernali di Pyeongchang, in Corea del Sud, il 25 febbraio 2018. (Sergei Ilnitsky, Epa/Ansa)

Creatività contagiosa

Anche la qualità di questo genere musicale è difficile da spiegare. È qualcosa che ho compreso solo riascoltando molte volte le canzoni, dedicando tempo ai gruppi che mi interessavano, per vedere cosa potevano offrire. L’insieme dei suoni e dei livelli di volume crea un’esperienza così completa che è impossibile non ascoltare ogni brano più di una volta. La profondità dei pezzi cresce a ogni ascolto ed è molto gratificante scoprire i vari livelli. Per esempio il singolo Feel my rhythm delle Red Velvet ha campionato estratti di un’aria di Bach, adattandoli a una melodia dance-pop vivace con un ritmo trap. È un esperimento interessante per un pubblico curioso di conoscere tutte le barriere che questo genere può infrangere. Il pop coreano ispira milioni di persone. Chiunque, guardando i video di centinaia di gruppi può avvicinarsi al canto, alla danza o al design. Sarah dice: “Guardare i contenuti prodotti dai fan è affascinante, la passione per il k-pop genera arte”. Sono due anni che ballo da sola grazie al pop coreano, e la pratica ha rafforzato la mia disciplina. Lavoro su ogni passo fino a memorizzarlo, imparo le coreografie per riprodurre gli stili dei vari gruppi: studiarli non è solo divertente, ha anche ispirato la mia danza. Caricando le mie coreografie su internet, ho creato la mia comunità. Migliaia di persone che interagiscono con me e condividono i miei gusti. Mi conforta e ho imparato molto nel corso degli anni.

Anche la moda è stata condizionata dall’hallyu. Molte tendenze occidentali sono state influenzate dalla k-fashion, la moda coreana, e questo si riflette nello stile degli adolescenti. Gli stilisti dell’industria k-pop usano gonne a pieghe, abbigliamento casual molto largo o accessori come semplici corsetti per sperimentare e creare costumi più accattivanti.

Una comunità reale

Grazie al k-pop ho collezionato molti ricordi ed esperienze. Cercavo persone con i miei stessi interessi e nel corso di una lunga spedizione online le ho incontrate. Il pubblico ha imparato pian piano a conoscere e accettare il k-pop, ma le idee sbagliate sono ancora molto diffuse. Nel 2017 non mi sentivo libera di parlare dei miei gusti con i miei amici, perché nessuno di loro ascoltava il k-pop. Nei social network, invece, potevo scegliere con chi farlo. Con attenzione, ho costruito relazioni, entrando in sintonia con molte persone grazie agli interessi che ci accomunavano.

Ho amici che vivono in Asia, in Europa e in Sudamerica. Fortunatamente ho conosciuto anche persone di Città del Messico, che ho potuto incontrare dal vivo e che sono diventate le mie amicizie più care: ci lega l’amore profondo per qualcosa che era incompreso nella nostra cerchia di conoscenze, ma la spinta è venuta dal k-pop.

Un altro fattore che accomuna molti fan è collegato alla salute mentale della nostra generazione, con le ripercussioni della pandemia sulle relazioni interpersonali l’ansia e la depressione sono sempre più diffuse. Molte persone non cercano nel k-pop solo una via di fuga ma anche un’ancora di salvezza. Nella comunità c’è molto sostegno e amore. Il k-pop non è solo una musica, non è solo un fenomeno commerciale. È la sensibilità che spinge ad ascoltare le uscite più stravaganti per trovare la bellezza che sta ai margini. Per gli appassionati stranieri è anche un modo per conoscere un’altra cultura e le sue tendenze artistiche.

Le persone della mia generazione sembrano cercare scappatoie dalla pressione della vita reale. Per molti dei miei amici, il k-pop è stato prima una via di fuga e poi è diventato un rifugio. Alcuni hanno fatto proprio il messaggio che non bisogna arrendersi e che vale la pena impegnarsi per seguire le proprie aspirazioni. Questa idea gli ha ricordato che possono divertirsi, ha cambiato il loro modo di pensare, di creare e persino di esprimersi. Li ha aiutati a prendere decisioni importanti anche nello studio e nel lavoro. In breve, il k-pop ha arricchito la vita dei suoi fan a livelli emotivi profondi.

Alla ricerca di sé

Qualche mese fa ho avuto una voglia irrefrenabile di andare in Corea del Sud. Avevo bisogno di realizzare un desiderio che coltivavo da anni e di esplorare il paese che aveva tanto attirato la mia attenzione durante l’adolescenza. È merito del k-pop se ho deciso di studiare il coreano. Ho imparato a leggere e scrivere in hangeul da sola e da tre anni faccio lezione con la mia bravissima insegnante Yeoreum. Grazie a lei ho acquisito le competenze linguistiche minime per affrontare il viaggio e forse per stringere qualche amicizia. Sono arrivata a Seoul dopo un volo di più di venti ore, avevo sedici anni, ero sola e molto emozionata.

Era primavera nella capitale. I fiori e gli alberi appena sbocciati mi hanno dato un caldo e bellissimo benvenuto. Piccoli dettagli hanno reso l’esperienza completamente diversa dalla mia vita in Messico, anche se ho notato alcune somiglianze. Sono rimasta sorpresa nel trovare le azalee, come quelle che crescevano a casa mia, ma con il fiore più appuntito.

Sono rimasta solo sette giorni, ma fortunatamente ho avuto l’opportunità di visitare una mostra nella sede della Hybe Entertainment, una delle aziende di intrattenimento più importanti, e il 1Million Dance Studio, dove lavorano i coreografi più famosi. Soprattutto sono stata entusiasta di incontrare e poter ballare con gli insegnanti che avevo conosciuto sullo schermo. Mi sono anche esibita per un piccolo pubblico a Hongdae, un’area di Seoul nota per le performance urbane. È stato magico.

Ho incontrato anche persone provenienti da paesi diversi, sempre pronte a chiacchierare delle loro esperienze in Corea. Ho conosciuto una ragazza taiwanese arrivata a Seoul da pochi mesi che studiava il coreano da dieci anni e mentre stavo andando a Hongdae, ho sentito dei ragazzi parlare spagnolo: erano messicani di Sinaloa come me innamorati del k-pop. La diversità e la varietà di stili che ho incontrato mi ha commosso, lasciandomi con un’enorme voglia di tornare. Ho avuto la conferma che la mia passione è servita a qualcosa. Sull’aereo di ritorno per il Messico da Vancouver ho sentito alcune ragazze parlare di k-pop, gli ho detto che venivo dalla Corea e mi hanno invitato con entusiasmo a sedermi insieme a loro durante il lungo viaggio. Esperienze come questa sono state possibili solo grazie all’amore che nutro per questo genere musicale.

Questo viaggio mi ha permesso di riconsiderare il mio amore per la Corea. Senza idealizzare il paese, sono stata in grado di riconoscere le sue virtù e i suoi difetti. Spesso il mio inconscio mi riporta a Seoul, ai vagoni della metropolitana tranquilla e ben tenuta o alle strade pedonali piene di verde. Mi riporta a quel senso di sicurezza, alle mille possibilità di esplorare un mondo nuovo. Penso a quella settimana tutta per me, dedicata a esplorare il mio interesse per una cultura che mi affascina fin da quando ero bambina. Per me e per molti altri giovani, questa musica, questa fonte di ispirazione e questa arte chiamata k-pop sono una parte fondamentale della nostra identità e del nostro modo di esprimerci. ◆fr

Valentina Granados Garone ha diciassette anni e studia arte a Città del Messico.

Da sapere
La Corea del Sud

◆ Dagli anni sessanta ha visto succedersi diversi colpi di stato militari. Solo nel 1993 è tornata ad avere elezioni democratiche, con la nomina alla presidenza di Kim Young-sam.
◆ Ha quasi 52 milioni di abitanti, che la rendono uno dei paesi più densamente popolati al mondo. L’area metropolitana della capitale Seoul conta venti milioni di abitanti.
◆ Il tasso di fecondità è tra i più bassi del mondo (0,8) e l’aspettativa di vita è tra le più alte. Si stima che attualmente il 17,5 per cento della popolazione abbia più di 65 anni.
◆ È il decimo paese al mondo per spese militari e l’ottavo esportatore di armi a livello globale. Nel 2021 ha stanziato 50,2 miliardi di dollari per la difesa, equivalenti al 2,8 per cento del pil. Il servizio militare è ancora obbligatorio per gli uomini e dura tra i 22 e i 25 mesi.

◆ I diritti umani dei cittadini sudcoreani sono rispettati. Ma secondo alcune organizzazioni, la discussa “legge di sicurezza nazionale”, in vigore dal 1948, minaccia la libertà d’espressione e di stampa garantita dalla costituzione. L’incidenza della violenza domestica è molto alta, così come le molestie sessuali. La differenza salariale tra uomini e donne è ancora molto diffusa.
The Korea Times, Politico, Sipri


Da sapere
Industria miliardaria

Hallyu è una parola coniata negli anni novanta per indicare la crescita della popolarità della cultura di massa sudcoreana all’estero. All’epoca la Cina cominciava ad aprirsi al mondo e “temeva l’introduzione massiccia della nostra cultura pop”, ricostruisce il sito d’informazione coreano Pressian. Per screditarla, coniò il temine hanliu, letteralmente “corrente fredda”. I mezzi d’informazione coreani, poi, sostituirono il carattere han che vuol dire freddo con l’omofono che significa Corea del Sud. Era nata l’“onda coreana”. Nel 2019 quello coreano era il settimo mercato culturale del mondo, con oltre 110 miliardi di euro di fatturato, quasi 10 miliardi di esportazioni e 680mila posti di lavoro (dati Ocse). Il gruppo di punta finora sono stati i Bts, una boy band che suona dal 2013 e che ogni anno porta quasi 3,5 miliardi all’economia sudcoreana. La loro musica ha conquistato gli adolescenti di tutto il mondo, tanto che il loro ultimo concerto ha totalizzato oltre 50mila presenze fisiche e quasi cinquanta milioni onlin­ e, scrive Kstarnews. L’evento si è svolto lo scorso 15 ottobre e segna anche la fine di un’epoca: i ragazzi sono stati richiamati al servizio militare obbligatorio e non torneranno a esibirsi prima del 2025. Jeon Jung-kook, uno dei componenti della band, ha cantato alla cerimonia di apertura della Coppa del mondo Fifa 2022 in Qatar.


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Questo articolo è uscito sul numero 1488 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati