Incoraggiato dal cambio di potere a Damasco, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, grande protettore della ribellione siriana, ha approfittato della nuova situazione per lanciare i ribelli filoturchi dell’Esercito nazionale siriano (Sna) all’assalto di diverse città del nordest della Siria, precedentemente controllate dalle forze curde. Scacciati da Tall Rifaat domenica 8 dicembre e da Manbij il giorno successivo, i combattenti curdi rischiano ora di esserlo da Kobane dagli ausiliari turchi. Martedì 10 dicembre decine di attacchi aerei hanno preso di mira la regione di Kobane, dove l’Sna è sostenuto da jet da combattimento e droni armati di Ankara.

A differenza dei ribelli del gruppo islamista Hayat tahrir al Sham (Hts), che durante la loro fulminea offensiva in tutta la Siria hanno fatto ogni sforzo per risparmiare la popolazione civile favorendo i negoziati per far uscire i combattenti curdi dall’aeroporto di Aleppo – che questi ultimi controllavano– l’Sna ha seminato il caos nelle città conquistate. “Al momento, migliaia di persone stanno fuggendo da Kobane per paura dell’Esercito nazionale siriano affiliato alla Turchia. Questa paura è molto più grande di quella ispirata da Hayat tahrir al Sham, che finora non ha commesso violazioni, massacri o attacchi contro i civili. Al contrario, l’Sna riceve le sue direttive dal governo turco e sta procedendo all’eliminazione dei curdi”, ha sottolineato Ahmad Arag, segretario generale dell’Alleanza nazionale democratica siriana, contattato telefonicamente martedì ad Aleppo, nel nord della Siria.

Sostenuti dagli Stati Uniti per il loro ruolo nella lotta contro il gruppo Stato islamico (Is), i combattenti curdi, che controllano una vasta area nella Siria orientale, sembrano essere gli sconfitti in questo nuovo scenario. L’offensiva dell’Sna è pienamente in linea con il piano ideato anni fa da Erdoğan, desideroso di allontanare il più possibile i curdi dalla zona di confine. Lunedì il presidente turco ha espresso la sua gioia per il successo dei suoi alleati sul terreno, accusando i curdi siriani di voler “trasformare il caos in opportunità”.

Il suo progetto, in cantiere da diversi anni, mira a estendere verso est la “zona cuscinetto” all’interno della Siria già conquistata dall’esercito turco tra il 2016 e il 2019, lungo buona parte del confine comune, che si estende per un totale di novecento chilometri.

Impedire la nascita di una regione curda siriana autonoma è la priorità delle autorità di Ankara, timorose che la febbre separatista possa diffondersi tra i curdi nel suo paese. A guidare l’azione del governo è soprattutto il fatto che le Forze democratiche siriane (Fds), guidate da combattenti curdi, sono legate al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), che conduce una lotta armata per l’autonomia dei curdi in Turchia.

L’altro punto delicato agli occhi dei turchi è il sostegno dato da Washington alle Fds, addestrate da novecento soldati statunitensi presenti nella Siria orientale. Si tratta di un contingente che Erdoğan vorrebbe veder andare via dal paese, ma per il momento questo rimane un desiderio. “Gli Stati Uniti manterranno la loro presenza nell’est della Siria e adotteranno le misure necessarie per prevenire una recrudescenza dell’Is”, ha dichiarato domenica Daniel Shapiro, assistente segretario alla difesa degli Stati Uniti per il Medio Oriente. Secondo una fonte ufficiale turca, citata dall’Agence France-Presse, il segretario di stato americano Antony Blinken visiterà Ankara venerdì.

Il senatore repubblicano Lindsey Graham ha minacciato Ankara di sanzioni in caso di abusi contro i combattenti curdi, pur approvando il suo progetto espansionistico. “La Turchia merita di avere una zona cuscinetto demilitarizzata tra la Siria nordorientale e la Turchia per proteggere i suoi interessi”, ha scritto sul suo account X.

“Sosteniamo l’idea della zona cuscinetto, a condizione che vi siano dispiegate forze internazionali e che la Turchia non vi partecipi, perché il suo obiettivo è attaccare i curdi e disgregare la loro amministrazione, com’è successo ad Afrin (dove nel 2018 l’esercito turco e i suoi affiliati hanno scacciato le milizie curde delle Unità di protezione del popolo) e in più di duecento villaggi e città curde nelle campagne intorno ad Aleppo nord”, ricorda Ahmad Arag.

Disposti a fare concessioni alla Turchia, che fa parte della Nato, gli Stati Uniti hanno negoziato con Ankara l’uscita dei curdi siriani dalla città di Manbij, a quaranta chilometri dal confine turco. Si tratta di un via libera all’estensione della zona cuscinetto, come auspicato dalla Turchia. I curdi stanno per essere abbandonati dagli statunitensi?

“Al momento tutto è possibile. Anche in passato ci hanno deluso. Ma la cosa più importante ora è il pericolo rappresentato da forze radicali come il gruppo Stato islamico, che è ancora attivo. Tutti i nostri partner hanno sempre giustificato la loro presenza in Siria con la lotta contro l’Is, che rappresenta un pericolo. L’altro pericolo è rappresentato dai gruppi ribelli legati alla Turchia. In alcune foto e video abbiamo notato che i combattenti di questi gruppi indossavano sulle loro uniformi i simboli dell’Is”, ha spiegato al telefono Kamal Akif, portavoce dell’amministrazione curda per le relazioni internazionali nel nordest della Siria.

Secondo Akif, “l’opzione migliore per gli statunitensi è quella di prendere sul serio il rischio dell’ascesa di questi gruppi, che potrebbe spazzare via i risultati ottenuti negli ultimi anni”. Desideroso di rassicurare gli alleati curdi, martedì il Pentagono ha inviato il generale Michael Kurilla a visitare diverse basi nella Siria orientale.

Essendo diventata un “attore chiave in Siria”, come vantato dal quotidiano turco Milliyet, la Turchia non ha intenzione di abbandonare il suo piano per cacciare i combattenti curdi dal nord del paese. “Per Ankara il Pkk è una questione esistenziale, mentre per Washington è marginale”, afferma Gilles Dorronsoro, esperto di Turchia e docente alla Sorbona di Parigi. “Erdoğan non cederà e gli Stati Uniti si trovano in un periodo di transizione, senza una politica chiara. Inoltre, sappiamo che i droni turchi hanno preso di mira il Pkk per anni in Siria, e gli statunitensi non hanno avuto nulla da ridire. In realtà, le regioni curde non sono una priorità per loro, perché la lotta contro il gruppo Stato islamico si svolge in quelle arabe”.

Gli autori e le autrici di questo articolo sono Ghazal Golshiri e Marie Jégo.

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