Questo articolo è un post del blog di Erin Bromage, professore associato di biologia all’università del Massachusetts di Dartmouth, specializzato in immunologia. Da quando è stato pubblicato, il 6 maggio, è stato visto più di tredici milioni di volte.
In questo momento pare che molte persone stiano tirando un sospiro di sollievo, e non sono sicuro del perché. Una curva epidemica ha una fase ascendente relativamente prevedibile, e dopo aver raggiunto l’apice anche la fase discendente può essere intuibile.
I dati relativi alla Cina e all’Italia mostrano che la curva della mortalità cala lentamente e che le persone continuano a morire per mesi. Supponendo di aver raggiunto il picco dei decessi, intorno ai settantamila, è possibile che nelle prossime sei settimane ci siano altri settantamila morti mentre la curva scende. Questo è quello che può succedere in un contesto di confinamento.
Ora negli Stati Uniti ci sono singoli stati che stanno allentando le misure restrittive, dando al virus più occasioni per diffondersi, e ogni previsione perde validità. Capisco le ragioni dietro la riapertura delle attività economiche ma, come ho già sottolineato, l’economia non potrà riprendersi se prima non risolviamo i problemi legati alla biologia.
Sono poche le zone che hanno registrato un declino stabile nei contagi. Anzi, il 3 maggio erano in aumento nella maggioranza degli stati che, malgrado tutto, hanno avviato la riapertura. Come semplice esempio della tendenza negli Stati Uniti, se si tolgono i dati di New York e si osserva il resto del paese, il numero di casi giornalieri aumenta. Dunque, l’unica ragione per cui la curva del totale di nuovi casi negli Stati Uniti sembra piatta in questo momento è perché l’epidemia di New York era molto grande e ora è stata contenuta.
Questo significa che nella maggior parte del paese la riapertura getterà benzina sul propagarsi del virus. Non posso fare nulla per cambiare le decisioni delle autorità, ma posso provare a spiegarvi come evitare le situazioni più rischiose.
Dove è più facile ammalarsi?
Sappiamo che la maggior parte dei contagi si verifica nelle abitazioni: di solito una persona contrae il covid-19 all’esterno e lo porta in casa, dove i contatti prolungati con i familiari favoriscono la trasmissione.
Ma quali sono i contesti esterni in cui è più facile essere infettati? Sento parlare spesso dei supermercati, delle passeggiate in bicicletta e dei runner sconsiderati che non indossano le mascherine… Ma davvero sono queste le situazioni a rischio? In realtà non è così. Mi spiego.
Per contrarre il covid-19 è necessario essere esposti a una dose infettiva di virus. In base agli studi sugli altri coronavirus sembra che per trasmettere la malattia sia sufficiente una piccola dose. Secondo alcuni esperti sarebbero sufficienti mille particelle infettive di Sars-cov-2. È importante sottolineare che questi dati non sono stati verificati al livello sperimentale, ma possiamo comunque usarli per illustrare le modalità di trasmissione del virus. Il contagio può verificarsi con l’inalazione di mille particelle virali attraverso un singolo respiro (o toccandosi gli occhi), attraverso dieci respiri con cento particelle virali ciascuno o ancora cento respiri con dieci particelle virali. Ognuna di queste situazioni può portare a un’infezione.
Quanto virus finisce nell’ambiente?
Bagni
I bagni abbondano di superfici che sono toccate continuamente, dalle maniglie ai rubinetti. Di conseguenza in questi ambienti il rischio di trasmissione può essere elevato. Ancora non sappiamo se le persone rilascino materiale infettivo nelle feci o solo frammenti di virus, ma di sicuro lo scarico del water vaporizza i famigerati droplet (goccioline) che veicolano il virus. Fino a quando non avremo maggiori informazioni sui rischi, vi consiglio di usare i bagni pubblici con estrema prudenza, facendo attenzione sia alle superfici sia all’aria.
Colpo di tosse
Un singolo colpo di tosse rilascia circa tremila goccioline, che possono viaggiare a ottanta chilometri all’ora. La maggior parte delle goccioline è di grandi dimensioni e precipita rapidamente a causa della gravità, ma alcune possono restare nell’aria e attraversare una stanza in pochi secondi.
Starnuto
Un singolo starnuto rilascia circa trentamila goccioline che possono raggiungere la velocità di 300 chilometri all’ora. Le goccioline degli starnuti sono generalmente piccole e coprono grandi distanze (attraversano facilmente una stanza). Se una persona ha contratto il covid-19, le goccioline di un singolo colpo di tosse o di uno starnuto possono disperdere nell’ambiente fino a duecento milioni di particelle virali.
Respiro
Un singolo respiro rilascia tra le cinquanta e le cinquemila goccioline. Nella maggior parte dei casi i droplet sono lenti e precipitano immediatamente. La respirazione nasale rilascia una quantità di goccioline ancora più bassa. È importante notare che la scarsa forza di esalazione di un respiro impedisce l’espulsione delle particelle virali provenienti dal tratto respiratorio inferiore. Diversamente dai colpi di tosse e dagli starnuti, che rilasciano una grande quantità di materiale virale, i droplet respiratori presentano livelli contenuti di virus. Non abbiamo ancora dati certi relativi al Sars-cov-2, ma possiamo basarci sulle caratteristiche della comune influenza. Diversi studi hanno dimostrato che una persona affetta da influenza può rilasciare fino a 33 particelle infettive al minuto, ma per semplificare i calcoli prenderò come punto di riferimento 20 particelle al minuto.
Ricordate la formula: infezione = quantità di virus x tempo
Se una persona starnutisce o tossisce, quei duecento milioni di particelle virali si diffondono in ogni direzione. Alcune particelle restano nell’aria, altre si depositano sulle superfici mentre la maggioranza precipita al suolo. Quindi se vi trovate a conversare a distanza ravvicinata con un’altra persona che improvvisamente starnutisce o tossisce, è abbastanza facile capire come sia possibile inalare mille particelle virali e infettarsi. Anche se lo starnuto o il colpo di tosse non sono diretti verso di voi, alcuni droplet infetti (i più piccoli) possono restare sospesi in aria per qualche minuto, riempiendo di particelle virali ogni angolo di una stanza di dimensioni ridotte. Basta entrare in quella stanza pochi minuti dopo il colpo di tosse o lo starnuto e fare qualche respiro per inalare una quantità di particelle virali sufficiente ad ammalarsi. Tuttavia, se ci limitiamo alla respirazione – con 20 particelle virali al minuto e anche ammettendo che ogni singola particella finisca nei vostri polmoni, caso improbabile – servono comunque cinquanta minuti per assumere le mille particelle necessarie per il contagio.
Quando parliamo, la quantità di goccioline respiratorie rilasciate nell’atmosfera aumenta di quasi dieci volte, portando il conto delle particelle virali a circa duecento al minuto. Anche in questo caso, presupponenendo di inalare tutte le particelle, per raggiungere la dose minima infettante bisognerebbe parlare faccia a faccia per circa cinque minuti. La formula “quantità x tempo” è alla base del tracciamento dei contatti. Qualsiasi persona con cui un individuo infetto abbia parlato a distanza ravvicinata per più di dieci minuti è un potenziale caso di contagio. Lo stesso vale per chiunque condivida uno spazio con una persona infetta per un arco di tempo prolungato, per esempio un ufficio.
Per questo è estremamente importante restare a casa quando si manifestano sintomi riconducibili alla malattia. I colpi di tosse e gli starnuti producono una dose infettante talmente elevata da contagiare potenzialmente un’intera stanza piena di persone.
Qual è il ruolo delle persone asintomatiche nella diffusione del virus?
Le persone con sintomi non sono le uniche a poter diffondere il Sars-cov-2. Sappiamo che almeno il 44 per cento dei casi di contagio – la maggioranza di quelli avvenuti all’interno di comunità – è provocato da persone che non presentano sintomi, ovvero le persone asintomatiche o presintomatiche. Un individuo positivo può disperdere il virus nell’ambiente per almeno cinque giorni prima della comparsa dei sintomi della malattia.
Le persone infette sono presenti in ogni fascia d’età, e ognuna diffonde una carica virale diversa. L’immagine qui sotto mostra che a prescindere dall’età (asse x) si può presentare una carica virale di dimensioni estremamente variabili (asse y).
La quantità di virus diffusa da una persona infetta cambia durante il corso della malattia e differisce da un individuo all’altro. La carica virale solitamente aumenta progressivamente fino alla comparsa dei primi sintomi. Subito prima di manifestare i sintomi, l’individuo infetto rilascia la dose massima di virus nell’ambiente. È interessante notare che il 99 per cento della carica virale che potrebbe essere rilasciata nell’ambiente proviene da appena il 20 per cento delle persone infette.
Il nocciolo della questione: dove sono i pericoli derivanti dalla riapertura?
Se vi chiedo dei focolai, quali sono i primi che vi vengono in mente? La maggior parte delle persone indicherebbe le navi da crociera, sbagliando. I focolai sulle navi, per quanto gravi, al momento non rientrano tra i cinquanta peggiori casi registrati.
Mettendo da parte la drammatica situazione delle case di riposo, notiamo che negli Stati Uniti i focolai peggiori sono esplosi nei penitenziari, durante le cerimonie religiose e negli ambienti di lavoro come gli impianti per la macellazione della carne e i call-center. Qualsiasi ambiente chiuso con una scarsa circolazione dell’aria e un’elevata densità crea problemi.
Alcuni dei più importanti contesti di superdiffusione
- Macellazione della carne: negli stabilimenti per il confezionamento della carne gli operai lavorano a stretto contatto e devono comunicare a distanza ravvicinata a causa del rumore assordante dei macchinari, in un ambiente climatizzato che favorisce la sopravvivenza del virus. Al momento negli Stati Uniti si contano 115 focolai in 23 stati, con oltre cinquemila casi di contagio e venti decessi.
- Matrimoni, funerali, compleanni: rappresentano il 10 per cento degli iniziali eventi di contagio accertati.
- Incontri di lavoro: i grandi incontri a distanza ravvicinata come la Conferenza Biogen di Boston alla fine di febbraio.
In questi giorni torniamo al lavoro e ricominciamo ad andare al ristorante, quindi è opportuno analizzare i rischi potenziali in questo genere di ambienti.
Ristoranti
Alcuni studi epidemiologici hanno analizzato approfonditamente gli effetti della presenza di un singolo individuo infetto all’interno di un ristorante (vedi sotto). La persona infetta (A1) ha cenato al tavolo con otto amici. L’incontro è durato tra i 60 e i 90 minuti. Durante il pasto l’individuo asintomatico ha rilasciato livelli contenuti di virus nell’aria attraverso il respiro. Il flusso dell’aria (determinato dalle diverse fonti di ventilazione del ristorante) andava da destra verso sinistra. Circa il 50 per cento dei commensali dell’individuo A1 ha sviluppato sintomi di covid-19 nei sette giorni successivi. Il 75 per cento delle persone sedute nel tavolo “sottovento” ha contratto la malattia. Perfino due delle sette persone sedute al tavolo “sopravento” sono state infettate dal virus, mentre nessuna delle persone sedute ai tavoli E ed F ha contratto la malattia, probabilmente perché si trovavano fuori dal flusso d’aria del condizionatore e a destra della ventola posizionata alla sinistra della sala.
Ambienti lavorativi
Un altro ottimo esempio è un focolaio in un call-center. Un singolo dipendente positivo si è presentato al lavoro all’undicesimo piano di un palazzo, dove lavoravano altre 216 persone.
Nel corso di una settimana 94 individui (43,5 per cento, le sedie blu) sono stati contagiati. Novantadue hanno sviluppato i sintomi del covid-19, mentre appena due sono rimasti asintomatici. Da notare che la trasmissione si è verificata soprattutto in un lato dell’ufficio, mentre nell’altro il contagio è stato estremamente ridotto. Non è stato possibile stabilire il numero esatto di persone contagiate attraverso la respirazione e di quelle che hanno contratto la malattia a causa del contatto con le superfici (maniglie, distributori d’acqua fredda, pulsanti dell’ascensore eccetera), ma l’esempio dimostra che la convivenza in uno spazio chiuso per un periodo prolungato aumenta le possibilità d’infezione. Altri tre dipendenti che lavoravano in piani diversi dell’edificio hanno contratto il covid-19, ma gli autori dello studio non hanno trovato un collegamento tra i loro casi e il focolaio all’undicesimo piano. È interessante notare che nonostante i ripetuti contatti tra i dipendenti di piani diversi negli ascensori e all’interno delle sale comuni il focolaio sia stato in gran parte limitato a un unico piano. Questo aspetto evidenzia l’importanza della quantità di virus e del tempo di esposizione nella diffusione del Sars-cov-2.
Coro
Il coro dell’università dello stato di Washington. In un contesto in cui esisteva già la consapevolezza del virus ed erano stati presi provvedimenti per limitare il contagio (per esempio evitando le strette di mano) i componenti del coro hanno cercato di prendere precauzioni ulteriori evitando i contatti e mantenendo le distanze durante le prove. La direzione ha addirittura consigliato a tutti i componenti di restare a casa se avessero sviluppato i sintomi del covid-19. Eppure un singolo individuo asintomatico ha contagiato la maggior parte delle persone presenti alla prova del 10 marzo, quando il coro ha cantato per due ore e mezza all’interno di una sala chiusa delle dimensioni di un campo di pallavolo. Il canto vaporizza i droplet respiratori in modo estremamente efficace, più di quanto non faccia una normale conversazione. Inoltre la respirazione profonda durante il canto facilita il passaggio dei droplet in profondità nei polmoni. La prova ha esposto i partecipanti a una quantità elevata di virus per un periodo di tempo sufficiente a diffondere il contagio. Nell’arco di quattro giorni 45 componenti del coro su 60 hanno sviluppato i sintomi del covid-19. Due di loro hanno perso la vita. Il più giovane tra i contagiati aveva 31 anni, ma l’età media era di 67 anni.
Sport al chiuso
Anche se potrebbe trattarsi di un contesto specificamente canadese, vale la pena citare un evento super-diffusore che si è verificato durante una gara di curling in Canada, dove un torneo con 72 partecipanti ha creato un focolaio. Il curling prevede un contatto stretto tra gli atleti in un ambiente freddo, con una respirazione profonda per un tempo prolungato. Dei 72 partecipanti al torneo, 24 hanno contratto il covid-19.
Feste di compleanno e funerali
Per capire quanto siano semplici le catene del contagio, vi racconterò cosa è accaduto a Chicago. Il nome del protagonista, Bob, è inventato. Bob è stato infettato dal virus senza rendersene conto. In seguito ha condiviso un pasto da asporto con due familiari, servendosi da contenitori in comune. La cena è durata tre ore. Il giorno successivo Bob ha partecipato a un funerale, abbracciando parenti e altre persone per manifestare il suo cordoglio. Nell’arco di quattro giorni entrambi i familiari con cui aveva condiviso la cena si sono ammalati, insieme a un terzo parente che aveva partecipato al funerale. Ma il percorso di Bob non si è fermato. Successivamente l’uomo ha partecipato a una festa di compleanno insieme ad altre nove persone, abbracciandole e condividendo con loro il cibo per tre ore. Sette persone sono state infettate dal virus. Nei giorni successivi anche Bob ha cominciato a mostrare i sintomi della malattia. È stato ricoverato, intubato ed è morto. Ma la sua eredità gli è sopravvissuta: tre persone che aveva contagiato durante la festa di compleanno sono andate in chiesa, dove hanno cantato e si sono passate il cestello delle offerte. Diversi partecipanti alla messa si sono ammalati. In definitiva Bob è stato direttamente responsabile del contagio di 16 persone di età compresa tra cinque e ottantasei anni. Tre di loro hanno perso la vita.
Secondo le stime attuali la diffusione del virus all’interno della famiglia e della comunità attraverso funerali, feste di compleanno e funzioni religiose sarebbe all’origine del focolaio di covid-19 a Chicago.
Fa riflettere, giusto?
Elementi in comune tra i focolai
Analizzare questi diversi focolai ci permette di evidenziarne i punti in comune. Tutti i contagi si sono verificati in spazi chiusi, con un’elevata densità e un’abbondanza di conversazioni, urla e canti. I principali ambienti del contagio sono le case, i luoghi di lavoro, i trasposti pubblici, gli eventi sociali e i ristoranti. Nel complesso in questi contesti è avvenuto il 90 per cento dei contagi. Al contrario, la diffusione attraverso lo shopping sembra responsabile per una piccola percentuale dei contagi tracciati.
È importante notare che nei paesi che svolgono un tracciamento adeguato è stato registrato solo un focolaio collegato a un evento che si è svolto all’esterno (meno dello 0,3 per cento dei contagi accertati).
Torniamo al pensiero originale di questo mio intervento
Gli spazi chiusi e affollati, con un ricambio limitato o con il ricircolo dell’aria, presentano un elevato rischio di trasmissione del virus. Sappiamo che la presenza di sessanta persone in una stanza grande quanto un campo da pallavolo ha provocato numerosi contagi. Lo stesso vale per un ristorante e un call-center. Le linee guida sul distanziamento sociale sono inefficaci negli spazi chiusi in cui si trascorre molto tempo, come dimostra il fatto che nei casi analizzati sono state infettate anche persone posizionate a diversi metri di distanza.
Il concetto fondamentale è quello dell’esposizione prolungata al virus. In tutte le situazioni prese in esame le persone sono state esposte al virus presente nell’aria per un periodo prolungato (ore). Anche se si trovavano a 15 metri di distanza (coro e call-center) e la dose infettante era ridotta, il contatto prolungato con il virus è stato sufficiente a provocare il contagio e in alcuni casi la morte.
Le regole del distanziamento sociale servono a proteggere l’individuo in caso di breve esposizione o di interazioni all’aperto. In queste circostanze, a due metri di distanza e con uno spazio aperto capace di ridurre la carica virale, il covid-19 non ha il tempo sufficiente per diffondersi. Il sole, il caldo e l’umidità sono tutti fattori che ostacolano la sopravvivenza del virus e minimizzano il rischio di trasmissione all’aperto.
Quando valutiamo il rischio di contagio (respiratorio) nei supermercati e nei centri commerciali dobbiamo considerare il volume dello spazio (elevato), il numero di presenti (ridotto) e la quantità di tempo che le persone trascorrono in quello spazio (la giornata intera per i dipendenti, circa un’ora per i clienti). Gli elementi connaturati all’atto di fare la spesa – la scarsa densità, l’elevato volume dello spazio e il tempo limitato che si trascorre all’interno del negozio – fanno in modo che la probabilità di ricevere una dose infettante sia ridotta. Per i dipendenti, invece, aumenta la probabilità di ricevere la dose infettante e di conseguenza il lavoro diventa più rischioso.
Ora che riprendiamo l’attività lavorativa e cominciamo a uscire più spesso, magari per tornare in ufficio, faremmo meglio a valutare attentamente il nostro ambiente di lavoro: quante persone ci sono? Qual è il ricambio dell’aria? Per quanto tempo resteremo in quell’ambiente? Se lavorate in un grande ufficio insieme a molte persone fareste meglio ad analizzare attentamente i rischi (volume, persone, flusso d’aria). Se il vostro lavoro vi impone di parlare (o peggio, urlare) a distanza ravvicinata dall’interlocutore dovete assolutamente riflettere su quali potrebbero essere le conseguenze. Se invece lavorate in uno spazio ventilato con pochi dipendenti il rischio è piuttosto basso.
Se vi trovate all’aria aperta e incrociate un altro passante, ricordate che per il contagio sono indispensabili “quantità e tempo”. Per rischiare di contrarre la malattia dovreste entrare in contatto con il respiro dell’altra persona per almeno cinque minuti. Probabilmente i runner rilasciano una quantità più elevata di virus a causa della respirazione profonda, ma nel loro caso la velocità del passo comporta un minore tempo di esposizione. Mantenere le distanze fisiche è importante, ma resta il fatto che in queste situazioni il rischio di contagio è molto basso. Ecco un ottimo articolo di Vox che analizza approfonditamente i rischi legati alla corsa e agli spostamenti in bicicletta.
In questa analisi mi sono concentrato sul contagio respiratorio, ma non dimenticate le superfici. I droplet devono pur depositarsi da qualche parte. Lavate spesso le mani e smettete di toccarvi il viso.
Oggi cominciamo ad avere la possibilità di muoverci più liberamente, entrando in contatto con più persone in un numero maggiore di spazi. Questo significa che i rischi per noi e per le nostre famiglie sono concreti. Anche se siete paladini del ritorno alla vita normale, fate la vostra parte e indossate una mascherina per ridurre la quantità di quello che rilasciate nell’ambiente. In questo modo aiuterete tutti, a partire da voi stessi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è un post uscito sul blog del professor Erin Bromage. È stato ispirato da Covid-19 superspreader events in 28 countries: critical patterns and lessons, un articolo di Jonathan Kay in Quillete.
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