22 giugno 2021 16:44

In tutto il mondo il giornalismo deve fare i conti con una crisi di fiducia. I motivi di questo fenomeno sono numerosi e vari. Prima di tutto, le persone che si fanno eleggere per poter rubare e appropriarsi delle risorse pubbliche attaccano i giornalisti per nascondere le loro malefatte. In Sudafrica i politici beccati con le mani nel sacco si difendono dicendo che si tratta di “notizie false”, per screditare i giornalisti e sviare l’attenzione dell’opinione pubblica. C’è anche chi non si fida dei mezzi d’informazione perché è convinto di essere a sua volta un giornalista, solo perché ha un profilo sui social network. La sfiducia aumenta quando i mezzi d’informazione non riescono a riflettere le esperienze di vita e la voce dei comuni cittadini.

A volte, però, anche i giornalisti non si dimostrano all’altezza del loro mestiere. Non tutte le storie sono facili da raccontare. Alcune sono complesse, dipendono da informazioni riservate, presentano molteplici punti di vista, vari protagonisti o vengono da fonti da cui non bisogna farsi manipolare. Ma ci sono storie che è impossibile fraintendere, e tra queste dovrebbe esserci la notizia del parto di dieci gemelli.

La notizia “esclusiva” sulla coppia di Thembisa, una località vicino a Pretoria, che avrebbe festeggiato la nascita di dieci neonati è stato un disastro clamoroso: pubblicata dal quotidiano Pretoria News e dal sito Iol, entrambi del gruppo Independent Media, è poi andata in scena su un palcoscenico mondiale. Non si è trattato di giornalismo, ma avrà comunque conseguenze pesanti sul rapporto di fiducia tra i mezzi d’informazione e il pubblico, portando alla luce spaccature profonde.

Intanto non dovremmo usare il termine fake news ma chiamare le cose con il loro nome. In questo caso dovremmo parlare di una vergognosa bugia.

Più di dieci giorni dopo aver dato la notizia, il gruppo Independent Media ha pubblicato vari articoli senza fornire una singola prova del fatto che la donna fosse realmente incinta di dieci bambini e che questi fossero effettivamente nati.

Giornalismo significa fare molte domande, ripetutamente, a persone diverse, valutando le prove e giungendo a una conclusione indipendente. È per questo che gli articoli vengono controllati nelle redazioni. Esiste un’intera struttura che serve a far emergere le domande che il reporter potrebbe aver tralasciato, valutandone gli eventuali pregiudizi. Altrettanto importante è mettere in questione le motivazioni di una fonte.

Le prime crepe
Il primo campanello d’allarme è la strana coincidenza con un evento simile: l’eccezionale gravidanza è saltata fuori un mese dopo il parto di nove gemelli in Mali. Una circostanza estremamente rara. Eppure, nell’intero mese in cui la testata ha aspettato a pubblicare la notizia, nessuno ha cercato un singolo medico che potesse confermare di avere in cura la donna e dare prova della miracolosa gravidanza e del conseguente parto.

Poi è arrivata una serie di articoli pubblicati per coprire la bugia iniziale, privi di empatia e utili solo ad aumentare la confusione.

Un articolo accusava la presunta madre di non voler rivelare dove si trovava e dipingeva il padre come un uomo amorevole che voleva disperatamente vedere i propri figli (e pazienza se lo stesso uomo, senza preoccuparsi del covid-19, ha volato per oltre 1.500 chilometri pur di incassare un assegno da un milione di rand, proprio mentre i suoi bambini, nati prematuri dopo 29 settimane, in teoria stavano lottando per sopravvivere).

All’indomani della pubblicazione del primo articolo, il Pretoria News ha lanciato una raccolta fondi per la coppia, con tanto di dati bancari, proprio nel momento in cui cominciavano ad apparire le prime crepe nella storia. Poi il padre ha mandato tutto all’aria dichiarando di non credere che i bambini fossero davvero nati. Il gruppo Independent Media ha rintracciato la madre, che ha promesso di mostrarli al mondo quando sarebbe stata pronta. Poi, come se la faccenda non fosse già abbastanza confusa, il giornale ha ribadito la veridicità della storia e ha chiesto alle autorità di sapere dove si trovassero i bambini.

Restare in silenzio significa permettere che una bugia non sia contrastata e che nessuno sia messo davanti alle proprie responsabilità

Il giornalista Piet Rampedi, autore dello scoop iniziale, ha chiesto al pubblico di fidarsi di lui e ha lanciato un’indagine sulla storia esclusiva che lui stesso aveva firmato. La sua testata ha diffuso insinuazioni su presunti atti di negligenza e incompetenza in ospedale, su incubatrici malfunzionanti, che avrebbero potuto causare la morte dei bambini prima o dopo la nascita. Tutto questo è un insulto a quei sudafricani poveri che hanno realmente dovuto aver a che fare con le carenze del nostro sistema sanitario.

La settimana scorsa le autorità sanitarie della provincia del Gauteng, dove si trova Tembisa, hanno rilasciato un comunicato dichiarando di non avere alcuna informazione in merito a un parto di dieci gemelli in una struttura pubblica o privata della provincia.

La vicenda, inoltre, non supera un test della trasparenza: tutte le parti interessate, una volta contattate, hanno invitato i giornalisti e perfino i funzionari del governo a contattare Rampedi, il giornalista che ha scritto il primo articolo.

È evidente che qualcuno ha mentito. Nel migliore dei casi il giornalista ha creduto a una storia inventata di sana pianta, tralasciando le basi del proprio mestiere. Nel peggiore, si tratta di una truffa nei confronti di tutti quelli che hanno voluto aiutare una famiglia in difficoltà.

Il giornalismo è alle corde, la circolazione dei quotidiani è in calo (prima della pubblicazione della notizia, la tiratura di Pretoria News era di 1.800 copie al giorno), la competizione per i click in rete è spietata e gli introiti pubblicitari si sono ridotti sensibilmente, creando una crisi esistenziale per i mezzi d’informazione. Ma sicuramente non riusciremo a uscirne abbassando il livello.

Di certo non possiamo incolpare le fonti per la scarsa qualità del giornalismo. La vicenda in questione ha mostrato che le divisioni all’interno del settore, spesso alimentate dai partiti, hanno coinvolto parte dell’opinione pubblica.

I social network sono stati tappezzati di insulti contro i giornalisti che avevano osato sollevare dubbi contro Rampedi. Questi professionisti sono stati denigrati e accusati di essere gelosi “del miglior giornalista del paese”, che a detta loro aveva osato affrontare l’establishment.

In questo strano capitolo ci sono stati momenti in cui molti giornalisti avrebbero voluto sottrarsi al dibattito per preservare la propria sanità mentale, ma restare in silenzio significa permettere che una bugia non sia contrastata e che nessuno sia messo davanti alle proprie responsabilità.

Ma più di ogni altra cosa abbiamo bisogno di un pubblico attento, sempre pronto a sottolineare quando il giornalismo è insufficiente e a difendere i professionisti che si impegnano per offrire un servizio adeguato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito Eyewitness News.

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