09 settembre 2010 00:00

L’estate 2010 è stata una delle più calde di sempre. E il caldo, scusate la banalità, non conosce confini né blocchi stradali. Solo che ai posti di controllo è ancora più intollerabile, soprattutto per le decine di migliaia di musulmani che digiunano per il Ramadan.

Al check point la maggior parte di queste persone ha più di 45 anni (le donne) e di 50 (gli uomini), cioè l’età consentita per passare senza permesso per andare a pregare alla moschea di Al Aqsa. Da un mese, ogni venerdì, di prima mattina, centinaia di autobus lasciano gli angoli più remoti della Cisgiordania, carichi di persone che hanno bevuto l’ultimo sorso d’acqua e mangiato l’ultimo boccone due o tre ore prima. La temperatura è già di 32 gradi.

Fino a tarda sera, per altre dieci o dodici ore, faranno la fila ai posti di controllo, circondate da soldati israeliani armati che ne verificano la carta d’identità. L’aria è soffocante, la terra infuocata, il sole incandescente. I pellegrini scendono dagli autobus palestinesi, superano lentamente il posto di controllo e salgono sugli autobus israeliani. Quando scendono vicino alla città vecchia e cominciano a marciare verso Al Aqsa, la temperatura ha raggiunto i 37 gradi. Poi devono compiere il percorso inverso.

Guardo con ammirazione questi anziani che hanno conosciuto guerre, espulsioni, arresti e la morte prematura dei loro cari. La loro perseveranza – dodici ore al caldo, senza acqua, circondati da soldati di un paese ostile – è un tratto nazionale.

*Traduzione di Nazzareno Mataldi.

Internazionale, numero 863, 10 settembre 2010*

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