12 giugno 2017 18:02

Mi chiedono qual è stato il tema più difficile da affrontare in tanti anni di esperienza come giornalista. Mi trovo ad Amsterdam e i miei interlocutori sono uno storico e un regista, entrambi ebrei e alle prese con temi legati al nazismo e all’antisemitismo, quindi il senso della domanda mi appare chiaro. Non sono interessati alle difficoltà tecniche o professionali, ma a quelle emotive. Rispondo senza esitazioni: “È stato quando mi sono resa conto della pianificazione. Tutto è voluto, calcolato e nascosto. E quando viene scoperto è ormai troppo tardi, e loro possono esclamare: ‘Ma funziona così da anni!’. È una pianificazione subdola”.

“Niente di ciò che accade oggi ai palestinesi è frutto del caso o di un errore umano”, spiego al pubblico che mi ascolta in occasione di una serie di conferenze nei Paesi Bassi per i cinquant’anni dell’occupazione israeliana: la povertà, la frammentazione dei territori e della società, la carenza di acqua in estate, le difficoltà per raggiungere i terreni agricoli che si trovano oltre la barriera di separazione, l’espropriazione dei terreni vicino alle colonie. La lista è lunga e ogni categoria può essere accompagnata da numerosi esempi. Ma il tempo è poco, quindi chiedo ai miei ascoltatori di fidarsi di me e di cercare i miei articoli online.

I miei due amici ebrei olandesi capiscono perfettamente perché la pianificazione è emotivamente dura. Probabilmente si immedesimano. Parlare di “pianificazione subdola” fa venire in mente orrendi stereotipi antisemiti. Vai a spiegare al mondo che è una caratteristica degli occupanti in generale, non degli ebrei.

(Traduzione Andrea Sparacino)

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