13 luglio 2021 12:43

Mezz’ora, otto tracce, alcune strumentali. Dieci anni di pausa dall’ultimo disco dei Casino Royale, se si esclude Quarantine scenario, un album collaborativo uscito lo scorso anno a fare da presa diretta sulla quarantena. Otto pezzi scritti prima della pandemia, con la tensione dell’aspettativa. Sono riferimenti numerici e temporali per fornire un orientamento, un po’ come si pone di fare Polaris, il nuovo disco dei Casino Royale. Nuovo? È una trasmissione nervosa ma costante quella della band guidata da Alioscia Bisceglia, e il fatto che non suoni del tutto nuova nei suoi codici, flussi e tempi non è un difetto, perché oppone a suo modo una difesa dall’idea di consumo.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Ma se non c’è il nuovo c’è qualcosa di diverso in queste tracce, soprattutto in quelle con un’integrazione sinistra di pianoforti e archi come in FVDL (Interlude), una specie di controparte classica, spaziale e senza parole che rafforza i messaggi neanche tanto cifrati in brani come Ho combattuto e Fermi alla velocità della luce. Polaris è attraversato da un senso di smarrimento e ricerca, di assalto da fermi, e fa venire in mente i movimenti lenti e rallentati dei film cyberspace degli anni novanta, che avevano una colonna sonora aggressiva ma in realtà proponevano movimenti eleganti, di fusione con il circostante, prima che qualcuno sfilasse una lama per squarciare la matrice. Cinematico, a suo modo fatto di una timida trascendenza, Polaris potrebbe espandersi dal vivo e riportare le persone ai concerti, appena uscite da questo tempo, ma già spaventate e sedotte dal prossimo.

Questo articolo è uscito sul numero 1417 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it